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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 9 gennaio 1998
LA VOCE DELLA DIRETTA
Salvate la radio dei radicali

(anche da Pannella)

CORRIERE DELLA SERA Venerdi', 9 Gennaio 1998 PRIMA PAGINA

RADIO RADICALE

di FRANCESCO MERLO

E' il piu' affascinante dei paradossi dell'informazione italiana, il piu' Felicemente insensato dei suoi successi. E' infatti una specie di radio-antiradio, senza musica, senza pubblicita', senza intrattenimenti leggeri. Fatta di parole, soltanto di parole, di prosa di palazzo, Radio Radicale e' "il parolaliberismo", che sembra un neologismo pannelliano ma in realta' era gia' il programma dei futuristi. Anche loro volevano la parola in presa diretta, la parola-pensiero, la parola che non conosce mediazione. E infatti, piu' o meno dal 1975, da quando fu messa in piedi da Rolando Parachini, che e' il fratello di Mirella, la compagna di Marco Pannella, Radio Radicale trasmette e archivia parole ufficiali.

Giorno e notte, senza interruzioni, da vent'anni manda in onda soltanto cose che universalmente sono considerate come barbosissime: le sedute della Camera, i processi, le conferenze stampa, i congressi dei partiti, e, ben prima di Striscia la notizia, persino i bisbigli della presidenza, come quella volta che la signora Iervolino mormoro' "che noioso!", e probabilmente si riferiva al discorso di Nicola Mancino. Andreotti, che stava a casa malato, telefono' ai suoi colleghi: "Personalmente, sarei pure d'accordo con il senso profondo dei vostri sussurri, ma e' meglio evitarli perche' qui gli italiani sentono tutto".

Radio Radicale e' come l'Ulisse di Joyce che diventa radio: e' il flusso continuo che travolge impedimenti, ostacoli, forme, obblighi e compromessi. Anche le interviste politiche, realizzate dal piu' bravo cronista di Montecitorio, Roberto Iezzi, non hanno limiti di tempo, e tra i 955 parlamentari non ce n'e' neppure uno, fosse pure l'ultimo dei peones, che non ami intensamente Radio Radicale e che non sia stato intervistato almeno una volta, come conferma la responsabile del modernissimo archivio digitale, la signora Gabriella Fanello Marcucci, ex dirigente democristiana del Centro Sturzo. Ma la Marcucci non e' la sola a smentire il mito della radio fatta esclusivamente da ultraradicali.

A occhio, la gran parte dei 18 redattori, dei tecnici e degli impiegati vota a maggioranza per l'Ulivo, ci sono alcuni accesi fan di Rifondazione, e il leader del comitato di redazione, vale a dire del sindacato dei giornalisti, il combattivo Emilio Targia, e' considerato un pannelliano antipannelliano, che polemizza duramente con Pannella, ovviamente in diretta radio. I giornalisti sono pagati poco, due milioni al mese di media, ma non c'e' lavoro nero, e i contratti, che non sono quelli della Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana) sono tuttavia legali, gli stessi applicati in tutte le piccole radio e televisioni, anche se tutti vorrebbero guadagnare di piu'. Per il resto pure qui, come in tutte le redazioni, c'e' il caporedattore di ferro, che chiamano "il colonnello" benche' si tratti di una bella e corteggiata signora, Ada Pagliarulo, moglie di Giandomenico Caiazza, l'avvocato storico della radio nonche' di Chicchi Pacini Battaglia. C'e' poi l'esperto di economia, Paolo Martini, centoventi ch

ili e una grande barba nera da profeta, che si picca d'essere il piu' profondo conoscitore mondiale della vita e delle opere di Enrico Cuccia. E ci sono le vecchie glorie che ogni tanto ritornano, da Marco Taradash a Laura Cesaretti.

Periodicamente nei ricorrenti momenti di crisi, la radio piu' ufficiale d'Italia si fa piccante perche' Radio Radicale chiude e cede la parola: un minuto per ciascuna telefonata. Nasce cosi' radio parolaccia, radio bestemmia, radio insulto. Per settimane, infatti, gli italiani svuotano le stive. Quasi sempre anonima, l'Italia avvelenata si sfoga contro le donne e contro il governo, stramaledice il tempo e il Sud, le tasse e il Nord. Malgrado le tonnellate di oscenita', analizzate e studiate dalle universita' di mezzo mondo, la Democrazia cristiana si era rassegnata a Radio Radicale, sopportando persino la rabbia contro Dio. Addirittura il governo Andreotti verso' 20 miliardi, come una tantum, nel 1990. Quattro anni dopo, il governo Ciampi stipulo' una convenzione, ormai scaduta, garantendo 10 miliardi l'anno per tre anni. A questi soldi vanno aggiunti i sette miliardi di finanziamento che la Radio riceve come organo della lista Pannella, rappresentata in Parlamento dal senatore Pietro Milio, l'avvocato di Br

uno Contrada. Il bilancio e' attivo.

Ci avviciniamo cosi' alla fonte del paradosso, del miracolo. Radio Radicale, trasmettendo tutta la scena, mandando in onda persino i rumori della scena, e' con tutta evidenza il contrario di quel giornalismo-retroscena cosi' aborrito da D'Alema e da Violante, che pure di questa radio non sono certamente amici, come fa notare Pannella che considera Luciano Violante il vero grande nemico della Radio e Romano Prodi uno degli amici migliori "ma uno dei piu' ingenui". Struttura privata, finanziata dallo Stato, Radio Radicale offre il meno mediato dei servizi pubblici italiani, e' la radio che trasmette il Palazzo, anzi tutti i Palazzi, da quelli di giustizia a quelli della politica. Il radicalismo di questo servizio e' evidente: benche' militanti appassionati, i radicali sono convinti che la convenienza politica finisce col tradire la notizia, e che la notizia non si "costruisce"; e' meglio che il giornalista non scelga, non tagli e non cucini perche' solo la presa diretta difende l'autenticita'. I radicali prefe

riscono il crudo al cotto, certi che il fuoco della mediazione giornalistica alteri gli umori e i sapori veraci, e che la cottura elimini i benefici del fosforo che sta nel pesce-notizia. E' un concetto sicuramente radicale ma pure radicalmente ufficiale, ufficialissimo, e' una filosofia discutibile che piace ai politici, a tutti i politici di tutti i partiti.

E pero' non tutti i politici dell'era dell'Ulivo amano il paradosso: la piu' ufficiale delle Radio e' contemporaneamente infatti quella che fornisce la piu' appassionata, irriducibile, faziosa controinformazione. Radio Radicale e' la realizzazione del loro sogno d'informazione ma pure del loro incubo, e' il Palazzo che si alterna all'Antipalazzo, e' l'ufficialita' in mano ai barboni, e' l'artiglieria affidata al generale nemico.

Ecco, dunque, perche' questo straordinario paradosso e' diventata una merce, l'oggetto di una compravendita. Non senza rudezze mercantili, la Rai di Iseppi e di Siciliano, sventolando oggi una legge inapplicata dal 1980, vorrebbero comprare, assorbire e, comunque, sostituire Radio Radicale. E, ovviamente, vorrebbe pagarla il meno possibile, riempirla di giornalisti professionisti, naturalmente bravissimi, anche se targati secondo la geografia vincente. La Rai aggiunge, per bocca di Siciliano, che vorrebbe "rifare tale e quale la Radio, eccellente, che c'e' gia'". E i giornalisti di Radio Radicale replicano: "Ma se c'e' gia', se e' eccellente e se per giunta costa poco, perche' dovete toccarla?". Marco Pannella, che e' l'editore, vorrebbe vendere a carissimo prezzo, convinto, anche lui, di potere rifare tale e quale, di ripetere un successo che e' appunto strano, bizzarro, sorprendente e difficilmente ripetibile. Chi, come noi, vuole difendere questa Radio Radicale deve dunque chiedere che, alla fine, tutto r

imanga cosi' com'e', perche' i paradossi felici facilmente diventano mostri infelici. Difendere Radio Radicale significa difenderla dalla Rai e da una parte del potere politico. Ma un po' anche da Marco Pannella.

 
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