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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Paolo - 9 gennaio 1998
Ma anche il Dalai Lama e' un marxista...
... o almeno cosi' si e' definito in una intervista a Gianni Mina' sulla Repubblica.

Inizio con una celia - che e' tale fino ad un certo punto - qualche breve annotazione nell'ambito del dibattito "Lega anticomunista" in questa conferenza.

Alcuni caldi ed entusiastici interventi tracimano la qualita' di mezzo caldo di cui quello telematico certamente puo' insignirsi nella partizione del grande Canadese.

C'e' un passaggio, tra quelli letti qui, che mi sembra significativo.

Come i maggiori nostri - leggo - intesero aprire un gran drappo, anche noi s'avrebbe da aprire, a simbolo di volonta' e progettualita' politica, il grande striscione firmato da PR e Lega anticomunista.

E perche' una Lega? Capirei se servisse a celare ai potenziali aderenti, la troppo marcata partiticita' che alcuni annettono alla denominazione antica; capirei se servisse a favorire l'adesione e l'entusiasmo di neghittosi che si presume arriccerebbero il naso di fronte ad un aggettivo che in effetti molti idiomi considerano sinonimo di qualita' poco commendevoli.

Ma lo striscione-simbolo andrebbe firmato congiuntamente da lega e Partito, a firma congiunta, e quindi non sembra che queste siano le cautele che recano alla volonta' della Lega.

Colgo e forzo questo aspetto perche' serve; perche' il punto del come si organizza la politica, di che cosa si organizza, dei mezzi che si apprestano e' centrale. Proprio sul punto del comunismo e dell'anticomunismo. Il discrimine e' proprio li'.

Il punto di chi critica la preposizione, e la sua semantica, e' assai mal posto; ma non puo' essere trascurato. Come da quasi un secolo c'e' stato e c'e' chi si e' posto il problema di come superare, proprio in opera di conio verbale, la definizione di quel riferimento culturale di Gandhi, King, Pannella, che non puo' continuare a trarsi dalla apposizione di una preposizione alla parola che designa il concetto primario (violenza e non-violenza), allo stesso modo la questione dell'"anti" ha un suo senso, ancorche' del tutto malposta.

Facciamo soltanto e per gioco il tentativo di trovare sinonimo a quell'aggettivo - anticomunista - (parlo dell'aggettivo soltanto e non del sostantivo corrispondente) che non contenga preposizioni semanticamente negative. Cerchiamo di trovare una parola che designi bene, se volete altrettanto bene, quel che con "anticomunista" vogliamo definire. Il risultato sarebbe una molteplicita' di parole e non una soltanto, una molteplicita' di sfumature, interessi, volonta', speranze, desideri, idealita', idee. E forse la parola giusta sarebbe radicale, cioe' la definizione, il nome di una storia, di una vicenda, di una teoria-successione di fatti, atti, confronti... Una storia, date, persone; e una idea, una molteplicita' di idee che non esiste in astratto, non esiste proprio, e puo' comprendersi soltanto se se ne legge l'iter.

Cosi' come contro la fantasia, se si facesse potere, in molti dei partecipi di questa storia ci leveremmo contro l'anticomunismo, se questo si facesse potere.

Insomma, a me sembra che talvolta la memoria manchi anche a noialtri, ce ne difetti qualche parte. Non la memoria di postulati, che per fortuna abbiamo quasi sempre evitato si sedimentassero; ma la memoria e la consapevolezza del dove la nostra diversita' e la nostra ricchezza, la nostra forza risiedano. Che non e' al di fuori di noi.

Non esagero affatto, ne' ho paura di esagerare su questo punto, sul punto del mezzo, dello strumento politico e della sua intrinseca relazione con gli scopi per raggiungere i quali si crea e attrezza. Temo forse di non riuscire a farmi ben capire.

La diversita' nostra e' stata mai davvero nei valori che le definizioni che ci siamo date designavano ed evocavano? No. La diversita' nostra e' stata nel fatto che non evocavamo valori, ma battaglie. E il nome nostro e' un nome di atti e fatti, non di idee. Di un metodo, o del fatto che si pone attenzione al come, prima che o insieme al che cosa.

Il partito radicale e' il partito del come; altro e' il partito del che cosa.

La diversita' nonviolenta e' proprio in questo, e non nei perizoma di Gandhi, nell'essere prete e negro King, nel farsi giullare ascetico di Pannella.

Non ho dubbi che - con tutta la grossolanita' di questi discorsi - tutto il terrificante di Lenin, Ceaucescu, degli altri, ha radici solidissime e perfette in Marx, ma pure nei socialisti pre-marxisti. Le crociate, Bonifacio VIII e il peggio (e il meglio) di questo Papa in Gesu' Cristo. Dico in Gesu' Cristo, e non nei suoi interpreti soltanto. La secolare oligarchia teocratica tibetana in Gothama o Siddharta, che hanno pure prodotto questo magnifico Dalai Lama, e il suo grandissimo meglio. E' vero o non e' vero?

Pero', non e' che possiamo esimerci dal tener presenti almeno due cose.

Il comunismo, nel senso di quel sistema li', e' caduto per esclusive ragioni interne a quella storia. La storia diversa e' stata assente, e per lo piu' complice con alcune protezioni.

Chi e' complice oggi del gia' ex comunismo cinese che si fa nazionalismo, mentre del comunismo rimane quel che del comunismo e' davvero pericoloso?

Il punto e' nel diritto, nella legge. Nel metodo del confronto, e nella sua certezza e mutabilita'. Non e' questione di comunismo, insomma, ma piuttosto della funzionalita' della politica, delle istituzioni.

Quello di Norimberga fu il processo intentato dai vincitori contro gli sconfitti. Oggi chi sono i vincitori? E chi sono gli sconfitti?

Su cosa si innesta, e dove germoglia e si fortifica, continua a fortificarsi forse senza soluzione di continuita' quella forma di potere che ha per ragioni molto simili prodotto tutte le tragedie della storia? E' stato nella qualita' delle idee, nella qualita' intrinseca delle ideologie, delle credenze, delle religioni? No.

Anche il mercato, la liberta' producono mostri se si fanno potere, istituzioni, legge. Guardiamo invece - e cosa altro abbiamo fatto nella immanentissima storia nostra? - al rapporto tra potere e sistemi di idee, al rapporto tra potere e valori. Molto, o quasi tutto, e' li'. Chiamarlo ambito del diritto e' tanto rozzo quanto non improprio.

L'anticomunista Rossi si occupava di come abolire la miseria. Non credo peccasse di ingenuita', Rossi. Noialtri dovremmo occuparci - proprio da anticomunisti, e liberali, e mille altre cose - dovremmo occuparci del terreno e della ragione, degli interessi che consentono, e producono, le nuove raffinatissime dittature, nella inadeguatezza dello stato (non degli stati, ma dello stato) a quel che accade intorno a noi.

Mi conforta che in alcuni dei testi di questi giorni siano ben comparse le opportune necessarie attenzioni al focus vero, al fatto dei mezzi e dei fini, al discrimine che e' nello scegliere o meno di giustificare atti o scelte o sospensioni di legalita' in nome di utilita', o straordinarie contingenze. Appunto; c'entra.

Non e' affatto tutto qui.

 
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