Fenomenologia del ministro della Giustiziadi FRANCESCO MERLO
CORRIERE DELLA SERA mercoledi', 14 Gennaio 1998
Ha reinventato la politica del silenzio, la cacofonia dorotea, il rumore parassita. Si tratti dell'amnistia o del caso Previti, della morte di Ilaria Alpi o della droga, del caso Sofri o della carcerazione preventiva, il nostro ministro della Giustizia costruisce sempre strane macchine di precisione dove le parole sono accuratamente scelte per annullarsi tra loro: "L'ipotesi della somministrazione controllata d'eroina da molto tempo dibattuta sul piano etico e politico e' estranea all'ipotesi giudiziaria in senso stretto anche se ovviamente gli effetti possono poi riflettersi su un compimento o meno dei reati contro il patrimonio".
Rileggetelo attentamente. Torna, e nel nostro ministro piu' laico e piu' tecnico, quel costume democristiano, quel linguaggio arcivescovile che ispirarono a Leonardo Sciascia Todo Modo e Il contesto, quell'afasia evasiva che veniva dalle sacrestie, dall'interloquire solitario tra il demone e il santo. Ed e' inutile insistere, chiedere a Flick che cosa pensa di un'ipotesi, chiara e semplice, sulla quale si sono espressi tutti, dai procuratori ai parroci, dai presentatori televisivi ai politici, da Francesco Saverio Borrelli sino a Walter Veltroni, che non e' certo un cuor di leone. Hanno parlato tutti, anche quelli che dovrebbero tacere. Ma ha taciuto lui che, solo, avrebbe dovuto parlare.
Signor ministro, vuole essere piu' preciso? "Il tema della somministrazione controllata della droga fa parte di un piu' ampio discorso sulla riduzione del danno che e' da molto tempo allo studio e sul quale si discute in Italia come da altre parti". Ancora una volta, sono frasi che somigliano a quelle complicate operazioni algebriche il cui risultato e' zero. Al punto che sull'universo afasico di Flick e' fiorita in poco meno di due anni una vasta letteratura d'occasione, una pubblicistica ironica e divertita. Si e' scritto che Flick viene da Fluck che vuol dire "rappezzare", e i Flick raccontano compiaciuti di quel loro avo piemontese che per sfondare Porta Pia manda un ordine agli artiglieri: "Ca tiru, ca tiru nen, che tirino e che non tirino". Il suo sottosegretario Giuseppe Ayala dice di lui: "E' un piacere ascoltare il suo silenzio". Ma davvero e' un piacere?
Intanto in lui non c'e' nulla di nodoso e solitario, non e' come Martinazzoli che sul tema delle riforme rispondeva cosi': "La nostra memoria e' fatta di cenere e di vento; lungo la frana dei giorni e dei sentimenti, accadono, in un anno, tante cose che vogliono essere inseguite e abitate". Flick non deve difendere nessuna misantropia da paesano, non e' di quelli che cercano la compagnia per esibire la propria solitudine come faceva Aldo Moro. Nei salotti, per esempio, e' davvero un brillante chiacchierone. E' un colto avvocato che cita e si diverte, dice pure le parolacce e conosce a memoria Palazzeschi: lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli e ghiribizzi. Solo in politica diventa afasico, balbetta, forlaneggia.
Cosa c'entra Flick con Forlani? Convinti com'erano che parlando chiaro in Italia sarebbero arrivati i russi, i democristiani cercavano forse di attutire il rumore di un Paese arrabbiato, i tamburi delle strategie destabilizzanti, le bombe di Piazza Fontana, la lotta di classe, il selvaggio avversario che studiava Stato e rivoluzione nelle scuole sindacali di Ariccia e nei seminari di partito. I posteri diranno se quell'afasia democristiana ha davvero avuto una funzione civilizzatrice. Di certo Moro voleva svelenire e disarmare un eterno dopoguerra: "Rivoluzione? Vedrete che un giorno anche le parallele convergeranno". Ma oggi da dove viene l'afasia del ministro Flick? Quali russi lo minacciano? In nome di quale saggezza da due anni non si esprime mai su nulla? Di quale politico e di quale pretore si spaventa?
Via, signor ministro: scelga un argomento a caso e tiri fuori una di quelle belle frasi piene e rotonde che le hanno insegnato al liceo Arecco di Genova. Buttando nella pattumeria due anni di parole flaccide come meduse.