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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 23 gennaio 1998
LA PESANTEZZA DELL'ETERE

CORRIERE DELLA SERA, Venerdi', 23 Gennaio 1998

di FRANCESCO MERLO

Non e' certo una novita' dell'era dell'Ulivo: la Rai e' il ripostiglio nel quale sono stati ficcati a forza come fossero sottosegretari all'informazione i piu' paludati e i piu' pomposi, le ancelle politiche piu' servili d'Italia. Ne' puo' stupirci troppo che qui divampi quella guerra tra D'Alema e Prodi che da tempo cova in tutte le altre stanze del Palazzo. Si sa che i camerieri sono piu' litigiosi dei padroni; le serve non hanno creanza perche' stanno in cucina e non in salotto.

Siciliano, Cavani, Scudiero... E' cosi' che avviene in Rai: ci si dimette su autorizzazione, proprio come si viene nominati. Presidente, consiglieri e direttori vari sono infatti molecole che girano attorno al politico di riferimento, come tanti sistemi planetari in miniatura. Ma gli italiani sanno bene tutto questo, e importa poco che Enzo Siciliano non sia un letterato del livello di Balzac o che la Cavani non sia la nostra Rene' Clair.

La cronaca politica gia' prefigura le prossime mosse, ma noi siamo certi che - venga Angelo Guglielmi o Massimo Fichera o Pinco Pallo - andra' comunque a finir male. C'e' infatti un paradosso che e' solo della Rai dell'Ulivo, una novita' che rende piu' crudeli ma soprattutto inutili le consuete baruffe, quel tirarsi i capelli nel bagno per poi dichiarare ai giornali e al mondo intero, come ha fatto sino alla fine Enzo Siciliano: "Siamo i piu' bravi, siamo come la Juventus". La crisi dell'informazione e dell'intrattenimento Rai, superata dalla Fininvest proprio quando Berlusconi ha perduto tutte le sue battaglie politiche, e' la stessa che sta devastando l'intero universo della comunicazione di sinistra. Nella lenta agonia della Rai c'e' la morte dei giornali di partito, c'e' la malattia incurabile di una scuola ideologica che pure e' stata importantissima nella storia e nel progresso del paese, ci sono le inquietanti cifre di vendita dell'Unita', del manifesto, di Liberazione. Questa volta a viale Mazzini so

no in crisi un modello, un sistema, un'epoca.

La Rai, come tutti sanno, e' infatti il piu' grande dei giornali di partito, in un certo senso li riassume tutti, e' il luogo di sublimazione e di resurrezione dell'Avanti! e del Popolo, il reparto di rianimazione dell'Unita', la camera iperbarica che tiene ancora in vita l'informazione guidata, finalizzata. E' la cultura che ci ha formato tutti, di cui siamo ancora impregnati. E dunque la Rai e' innanzitutto l'ideologia che non crede all'autonomia dei saperi, alla specificita' dei mestieri e delle professioni. Andate a rileggervi la prima intervista di Enzo Siciliano, appena nominato presidente. Dopo aver parlato a lungo di Pasolini e di Moravia confesso' che non capiva e non vedeva mai la televisione e promise che il suo primo atto sarebbe stato quello di studiare "con Liliana Cavani un programma che riavvicini gli italiani al cinema". Diventava presidente della televisione e si preoccupava di riportare gli italiani al cinema! Era serio?

Certo che era serio. La presunzione dell'informazione ideologica a tesi sta infatti nel ritenere che si possa fare televisione e che si possa informare con la farraginosita' pachidermica del saggio accademico e la presunzione del militante. La comunicazione a tesi e' ormai il contrario dell'eleganza, della grazia, dell'agilita'. E non e' soltanto un problema di telegiornali. Persino Alba Parietti, che fisicamente e' il piu' apprezzato dei prodotti Rai, e' una bellezza a tesi, una bellezza supponente che vuol rimandare all'intelligenza, all'emancipazione... L'Italia che si e' liberata delle ideologie cerca invece le bellezze gratuite, e alle bandiere contrappone la leggerezza, la freschezza, la mancanza di rigidita' che vengono solo dalla non appartenenza. Non si tratta qui solo di contrapporre la Parietti alla femminilita' piu' moderna di Alessia Marcuzzi, ne' la specificita' televisiva di Maurizio Costanzo a quella cartacea di Marcello Sorgi, o l'agilita' catodica di Enrico Mentana ai reportage scritti di L

ucia Annunziata. Ma di scoprire che persino il grande Renzo Arbore, che e' grande perche' e' entrato nella piccola storia della comunicazione, e' l'obesita' della comicita' a tesi.

Per immaginare una televisione che funzioni bisogna dunque immaginare il contrario della Rai. Non e' piu' una questione di dosaggi, non si tratta di sapere se la cultura del Ppi deve prevalere su quella del Pds, se Prodi deve avere piu' camerieri di D'Alema o se don Sturzo deve mandare a casa Carlo Marx. L'accademia paludata, la prosopopea ancillare, la convinzione profonda che la Rai, la comunicazione e l'informazione servono solo a legittimare opzioni ideologiche: oggi sono queste le nostre catene.

 
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