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Conferenza Rivoluzione liberale
Scarabelli Annalisa - 27 gennaio 1998
Commercio
Premesso che ho letto frammentariamente le opinioni apparse in questa

conferenza, voglio sottoporvi alcune considerazioni.

In nome di un malinteso rispetto della democrazia, c'è chi sostiene

che i promotori del referendum debbano fare i conti con il risultato negativo

di questo. Io non vedo nessun motivo per tenerne conto.

Se siamo convinti, al di là dell'opinione maggioritaria, della bontà

di una liberalizzazione del commercio, dobbiamo prendere atto di due elementi: il nostro

convincimento ed il nostro essere minoranza. A meno che in noi non giochino

inconsapevolmente due idee di matrice giacobina e totalitaria:

- quella leninista di partito-stato, per cui dobbiamo ottenere ad ogni

costo una coincidenza tra paese reale e paese legale, senza spazio per

le opinioni minoritarie, se non nella misura in cui le riteniamo opinioni

maggioritarie illegittimamente marginalizzate dal "regime";

- quella roussoiana, matrice della prima, secondo la quale la maggioranza può

tutto ed ha sempre ragione perchè illuminata dalla "Volontà Generale" e

legittimata dal "Contratto Sociale".

Insomma, in una situazione a maggioranza talebana dobbiamo farci

talebani anche noi, per malinteso spirito democratico o, a partire dalle

nostre convinzioni, contrapporci ai talebani?

La politica è, tra le altre cose, lotta, metaforicamente all'ultimo

sangue, tra la tendenza al conformismo di maggioranze acquiescenti e la

spinta all'innovazione di élites minoritarie, delle quali, immodestamente,

facciamo parte.

Ciò che ci distingue da un gruppo rivoluzionario "classico",

al di là della natura dei contenuti (i miei sono liberali), è il metodo

nonviolento. Null'altro. Quindi chissenefrega del risultato del referendum!

Perdere non significa avere torto così come vincere non significa avere

ragione!

Inoltre vi è una confusione di identità e di ruolo: non siamo noi,

"parte" che ha voluto il referendum per vincerlo, a tradirne il risultato,

bensì chi legifera nonostante.

E'il governo che, secondo me, ammesso e non concesso che tecnicamente

abbia operato bene (ho dei dubbi),ha il dovere di tener conto della volontà

maggioritaria senza giocare (grazie all'insipienza dell'opposizione) due

parti in commedia.

Il secondo ordine di riflessioni attiene ai concetti di democrazia

e di libertà.

All'interno del mondo liberale esiste una corrente di pensiero che

sostiene che l'unica attività "naturale" dell'uomo sia lo "scambio". Mi pare

questa una risposta abbastanza dignitosa all'eterno dilemma natura-cultura.

Se assumiamo come punto di partenza questo postulato, con tutta

l'arbitrarietà insita nel concetto stesso di postulato, dobbiamo derivarne

che, in una prospettiva autenticamente liberale, gli "scambi" non possano

essere limitati dallo Stato e il loro risultato, la proprietà, debba essere

considerata un diritto naturale inalienabile.

Se siamo in accordo su questa semplice prospettiva non possiamo non

leggere qualsivoglia limitazione della libertà di commercio come lesione

di un diritto naturale inalienabile in nome della pretesa corporativa di

alcuni (i commercianti) e ai danni di coloro che vorrebberlo diventarlo.

In altre parole, chi ha vinto il referendum non ha chiesto maggior

libertà per se, ma minor libertà per gli altri: una vittoria illibertaria

e illiberale. Inoltre un referendum non è un sondaggio di opinione e chi

l'ha voluto per vincerlo non può sentirsi vincolato da una sconfitta.

Inoltre dove va a finire la libertà del consumatore? Limitando

il commercio si limita la possibilità di scelta, si altera il meccanismo

di formazione dei prezzi (che, guarda caso, salgono), si perviene ad

un'allocazione sub-ottimale delle risorse.

E' mia opinione che questioni come quella del commercio, non possano

essere oggetto di metodo "democratico", così come, in un condominio,

l'assemblea non può, a maggioranza, a pena di nullità, modificare

la consistenza delle singole proprietà. Considero politicamente nullo e

insignificante il risultato del referendum, sebbene tutt'ora continui a

ritenere che promuoverlo sia stato utile, se non altro per aver sollevato

il problema.

Un'ultima riflessione sulla quale attendo lumi da esperti di

diritto amministrativo. Se il rilascio di una licenza commerciale realizza

il soddisfacimento di un interesse legittimo dovrebbe conseguirne che la

licenza non può essere "venduta". Come si configura allora il commercio

delle licenze dissimulato da cessione dell'avviamento?

Davide Perazzelli

 
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