Premesso che ho letto frammentariamente le opinioni apparse in questaconferenza, voglio sottoporvi alcune considerazioni.
In nome di un malinteso rispetto della democrazia, c'è chi sostiene
che i promotori del referendum debbano fare i conti con il risultato negativo
di questo. Io non vedo nessun motivo per tenerne conto.
Se siamo convinti, al di là dell'opinione maggioritaria, della bontà
di una liberalizzazione del commercio, dobbiamo prendere atto di due elementi: il nostro
convincimento ed il nostro essere minoranza. A meno che in noi non giochino
inconsapevolmente due idee di matrice giacobina e totalitaria:
- quella leninista di partito-stato, per cui dobbiamo ottenere ad ogni
costo una coincidenza tra paese reale e paese legale, senza spazio per
le opinioni minoritarie, se non nella misura in cui le riteniamo opinioni
maggioritarie illegittimamente marginalizzate dal "regime";
- quella roussoiana, matrice della prima, secondo la quale la maggioranza può
tutto ed ha sempre ragione perchè illuminata dalla "Volontà Generale" e
legittimata dal "Contratto Sociale".
Insomma, in una situazione a maggioranza talebana dobbiamo farci
talebani anche noi, per malinteso spirito democratico o, a partire dalle
nostre convinzioni, contrapporci ai talebani?
La politica è, tra le altre cose, lotta, metaforicamente all'ultimo
sangue, tra la tendenza al conformismo di maggioranze acquiescenti e la
spinta all'innovazione di élites minoritarie, delle quali, immodestamente,
facciamo parte.
Ciò che ci distingue da un gruppo rivoluzionario "classico",
al di là della natura dei contenuti (i miei sono liberali), è il metodo
nonviolento. Null'altro. Quindi chissenefrega del risultato del referendum!
Perdere non significa avere torto così come vincere non significa avere
ragione!
Inoltre vi è una confusione di identità e di ruolo: non siamo noi,
"parte" che ha voluto il referendum per vincerlo, a tradirne il risultato,
bensì chi legifera nonostante.
E'il governo che, secondo me, ammesso e non concesso che tecnicamente
abbia operato bene (ho dei dubbi),ha il dovere di tener conto della volontà
maggioritaria senza giocare (grazie all'insipienza dell'opposizione) due
parti in commedia.
Il secondo ordine di riflessioni attiene ai concetti di democrazia
e di libertà.
All'interno del mondo liberale esiste una corrente di pensiero che
sostiene che l'unica attività "naturale" dell'uomo sia lo "scambio". Mi pare
questa una risposta abbastanza dignitosa all'eterno dilemma natura-cultura.
Se assumiamo come punto di partenza questo postulato, con tutta
l'arbitrarietà insita nel concetto stesso di postulato, dobbiamo derivarne
che, in una prospettiva autenticamente liberale, gli "scambi" non possano
essere limitati dallo Stato e il loro risultato, la proprietà, debba essere
considerata un diritto naturale inalienabile.
Se siamo in accordo su questa semplice prospettiva non possiamo non
leggere qualsivoglia limitazione della libertà di commercio come lesione
di un diritto naturale inalienabile in nome della pretesa corporativa di
alcuni (i commercianti) e ai danni di coloro che vorrebberlo diventarlo.
In altre parole, chi ha vinto il referendum non ha chiesto maggior
libertà per se, ma minor libertà per gli altri: una vittoria illibertaria
e illiberale. Inoltre un referendum non è un sondaggio di opinione e chi
l'ha voluto per vincerlo non può sentirsi vincolato da una sconfitta.
Inoltre dove va a finire la libertà del consumatore? Limitando
il commercio si limita la possibilità di scelta, si altera il meccanismo
di formazione dei prezzi (che, guarda caso, salgono), si perviene ad
un'allocazione sub-ottimale delle risorse.
E' mia opinione che questioni come quella del commercio, non possano
essere oggetto di metodo "democratico", così come, in un condominio,
l'assemblea non può, a maggioranza, a pena di nullità, modificare
la consistenza delle singole proprietà. Considero politicamente nullo e
insignificante il risultato del referendum, sebbene tutt'ora continui a
ritenere che promuoverlo sia stato utile, se non altro per aver sollevato
il problema.
Un'ultima riflessione sulla quale attendo lumi da esperti di
diritto amministrativo. Se il rilascio di una licenza commerciale realizza
il soddisfacimento di un interesse legittimo dovrebbe conseguirne che la
licenza non può essere "venduta". Come si configura allora il commercio
delle licenze dissimulato da cessione dell'avviamento?
Davide Perazzelli