Il caso Pintoda IL CORRIERE DELLA SERA domenica, 8 Febbraio 1998
di FRANCESCO MERLO
Il vietcong-garantista e' l'ultima stramberia italica, l'ultima botta di
genialita' contorta, l'ultimo ossimoro dopo il treno veloce che va piano,
il partito di lotta e di governo, la protesta di piazza contro se
stessi, e cosi' via sino alla moglie ubriaca e alla botte piena. Ma,
nella nostra galleria infinita, il vietcong-garantista e', se volete, una
figura ancora piu' affascinante, certamente piu' artistica. E forse e' una
maschera teatrale in divenire, non ancora definita, e alla fine non
necessariamente cosi' strampalata. E' infatti uno degli impossibili
camuffamenti di Dario Fo che, da quando ha ricevuto il premio Nobel,
cerca di mettersi addosso i difficilissimi panni che furono di Leonardo
Sciascia, quelli del voltairiano la cui intensita' non puo' essere
strumentalizzata da nessuno. Fo scimmiotta dunque il polemista al di
sopra delle parti, il garantista acuto e infelice, e potrebbe appunto
venir voglia di dirgli "bravo, era ora!", se avesse smesso di vestire, a
settantuno anni, anche i panni suoi piu' propri, quelli del partigiano
appunto, che si batte per la Causa, con violenza e con faziosita', quelli
del Tersite nel campo degli achei, quelli del vietcong nella giungla
della borghesia.
Ecco dunque che, dopo aver difeso Adriano Sofri, fin quasi a soffocarlo
con il suo abbraccio mortale, il geniale saltimbanco che fu ubriaco di
ideologia e' sceso in campo a favore di Ferdinando Pinto, l'impresario
teatrale accusato di avere provocato l'incendio dello storico
Petruzzelli per intascare i soldi dell'assicurazione e scalare in questo
modo la sua propria montagna di debiti. Sulla prima pagina dell'Unita' Fo
sostiene di aver conosciuto Pinto nel 1988 per la messa in scena del
Barbiere di Siviglia: "Mi ricordo di una persona amabile che mi fece una
buona impressione". E rammenta che Pinto, il cui processo di primo grado
si sta svolgendo in questi giorni a Bari, fu con lui sempre disponibile:
"Mai una volta che mi dicesse "non si puo' fare"". Insomma Dario Fo ha
"serie difficolta' a mettere insieme" il mandante dell'incendio "con quel
che di Pinto e del Petruzzelli mi e' rimasto nel cuore e nella mente".
Non e' nostra intenzione entrare qui in alcun modo nella vicenda
processuale di Ferdinando Pinto. Il Corriere certamente lo fara' a tempo
debito, come sempre. Ma e' davvero difficile non segnalare come
interessante il garantismo da vietcong di Dario Fo. Anche se le
motivazioni sono, appunto e come sempre, partigiane. "L'amabilita'", per
esempio. Pinto ci perdoni: davvero per noi rimane innocente, sino a
prova contraria. Ma la sua "amabilita'" processualmente e' solo brodaglia.
L'amabilita' e' una qualita' dei vini, assieme alla corposita', al colore e
all'annata. Ma la giustizia non e' ancora enologia. I processi non devono
mettere insieme cose che non stanno insieme, non sovrappongono contesti,
come accade a teatro o nell'arte, dove diventa capolavoro una macchina
da cucire in un obitorio. Se davvero Dario Fo vuole celebrare la propria
maturita' di settantenne passando al garantismo si occupi delle persone
che non sono "amabili" e che non sono state con lui disponibili, che non
gli hanno organizzato un buffet dopoteatro, che non hanno combattuto
insieme con lui sulle barricate del Sessantotto. Provi invece con chi
gli ha fatto, e ancora gli fa, profondamente "schifo". Difenda i diritti
di uno "schifoso" conclamato. Studi per esempio la vicenda dei due
fascisti Francesca Mambro e Giusva Fioravanti. Legga le carte del
processo Andreotti, si appassioni alla storia di Bruno Contrada. Persino
tenti, se ha coraggio, con Cesare Previti e quella sua brutta faccia di
colpevole. O magari con "l'orribile" Cito.
Il garantismo, infatti, e' una disciplina micidiale, drammaticamente
seria: va applicato contro le proprie convizioni e i propri gusti piu'
profondi. Il garantismo smonta l'evidenza, l'opinione propria e quella
piu' popolare. Il garantista guarda il bastone rotto dentro l'acqua e
pensa: finche' non mi provano che e' rotto credero' che c'e' un effetto
rifrazione. In Italia, invece, il garantismo e' oscenamente
doppiopesista. La destra e' garantista nel caso Berlusconi, la sinistra e'
garantista nel caso Sofri. Anche se, adesso, Fo supera lo steccato
destra-sinistra. "Quello mi era amico" dice in sostanza: dunque e'
innocente. Il processo, infatti, che ammette di conoscere poco, non gli
piace. Parla addirittura di "un'accusa basata su un teorema piu' che su
delle prove, sulla verosimiglianza piu' che sulla verita', che si regge su
dichiarazioni di pentiti poco o male riscontrate nella realta', sulla
ricostruzione di fatti che non reggono alla loro semplice rilettura in
ordine cronologico; qualcosa che assomiglia molto a un'altra vicenda
processuale nella quale sono impegnato, quella che ha portato in galera
Bompressi, Pietrostefani e Sofri".
Davvero non sappiamo dove arrivera' Dario Fo in questa sua nuova ricerca.
Ha portato a teatro l'utopia, il sogno del mondo capovolto, ha speso la
vita per dimostrare che il paradosso di Zenone era sbagliato e che gli
sciancati corrono di piu' del pie' veloce Achille. E' anche per questo che
ha meritato il Nobel. Sempre ha esaltato il punto di vista perdente, e
ha creduto che la verita' sta con chi occupa il posto piu' scomodo. Spesso
ha avuto torto, ma certamente ha pure avuto ragione e ragioni.
Invecchiato dentro il valore assoluto della faziosita', il nostro Nobel
sta scoprendo il garantismo attraverso l'amicizia. Se, al contrario,
scoprisse una sola nuova amicizia attraverso il garantismo sarebbe
definitivamente uscito dalla riedizione senile del Soccorso Rosso.