La vicenda del mancato nulla osta della censura al film di Ciprì e Maresco
ha suscitato, anche in questa conferenza, generali e giuste proteste
circa l'arcaicità, l'illegittimità ecc.
di una simile decisione.
A questo proposito Paissan, mi pare, ha presentato, o si è proposto
di presentare, un disegno di legge che abroghi il nulla osta censorio,
lasciando libero ogni cittadino adulto di vedere
i film che preferisce (i film nei limiti del codice penale, naturalmente).
Ma il mio sbigottimento è nel constatare che, a quanto pare,
tutti, anche a sinistra, sono d'accordo nel conservare il divieto ai
minori di 18 anni.
Può sembrare un divieto scontato e marginale. A chi avrà la pazienza di
seguirmi cercherò di dimostrare che questo divieto incide pesantemente,
e repressivamente, sulla produzione cinematografica nazionale.
Occorre considerare due dati:
1) la percentuale maggiore degli incassi del film non è costituita oggi
nè dalla vendita dei biglietti nelle sale, né dal noleggio delle
videocassette,
ma dalla vendita dei diritti per la trasmissione televisiva dei film.
2) La legge Mammì proibisce che i film vietati ai minori di 18 anni siano
trasmessi in televisione A QUALSIASI ORA.
Ne consegue che un film a cui la censura appioppi un divieto ai minori
di 18 anni è, quasi sempre, da un punto di vista economico, un film
"bruciato", che non rientra dei costi di produzione.
Fino a qualche tempo fa, i produttori si difendevano presentando nelle
sale la versione del film vietata ai 18; montando una seconda versione
"tagliata", poi richiedendo un nuovo pronunciamento
della censura, per derubricare
il divieto ai 14, e vendere la nuova versione alla tv.
Un codicillo della legge sul cinema di qualche anno fa, rende improponibile
anche questo espediente, perchè oggi, per chiedere la revisione del
giudizio della censura, occorre far trascorrere circa quattro anni.
(Per far sì che il produttore fatichi a rientrare in tempi ragionevoli
dei soldi
spesi).
Il divieto ai 18 ha dunque, oggi, un valore intimidatorio nei confronti
di registi e produttori italiani,
che devono stare attenti a non affrontare
tematiche considerate scabrose, per non essere falcidiati dalla censura.
Di qui anche il generale clima rassicurante, natalizio,
inoffensivo della cinematografia nazionale.
Ci sono eccezioni naturalmente: come i film di Brass, molto commerciali
e popolari fino a qualche tempo fa, che potevano permettersi di non essere
trasmessi, almeno non in tempi brevi, in televisione.
O i film con le Parietti, le Marini, ecc., che, grazie alla popolarità
delle protagoniste, aspirano a rifarsi dei costi al cinema o con le
videocassette.
Ma quando Aurelio Grimaldi ha osato girare un film come "Nerolio", su un
episodio
di "Petrolio" di Pasolini (l'orgia sul pratone del Casilino),
non ha venduto i diritti d'antenna alla RAI e non ha trovato una
distribuzione.
Film come se ne giravano negli anni Settanta da Pasolini,
da Bertolucci, dalla Cavani, da Ferreri, ecc.
oggi sarebbero, per queste ragioni, economicamente improponibili.
Di qui, la necessità di abrogare il divieto ai minori di 18,
o il divieto di trasmettere i film vietati in tv (riservando loro magari
specifiche fasce orarie tarde).