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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Marco - 9 marzo 1998
QUALI LOTTE E LEGGI SUBITO PER LA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA PER LA RIVOLUZIONE LIBERALE - Nota per il seminario

PREMESSA

Lo sviluppo esponenziale di internet, ed in generale dei dispositivi multimediali che si stanno moltiplicando intorno ad esso, non è in discussione, e non pare un processo reversibile.

Rispetto a tale sviluppo, quale può essere il ruolo dello Stato di diritto?

Schematicamente individuerei tre tipi di problemi:

1) Come far sì che il diritto non rimanga fuori dalla rete, ossia come permettere al diritto in senso ampio (cioè comprendente tutti i momenti di discussione, decisione ed applicazione del diritto) di essere accessibile in rete;

2) Come far sì che la rete non sia uno spazio senza diritto, ossia come definire le regole della rete stessa;

3) Come far sì che la rete sia uno spazio accessibile ad un numero più elevato possibile di cittadini;

1- IL DIRITTO IN RETE

Se gli organi giurisdizionali, legislativi ed esecutivi non investiranno nelle immense opportunità che lo sviluppo tecnologico offre in termini di accessibilità ai cittadini, lo sviluppo di internet rischierà di rafforzare lo sviluppo di una società ademocratica, in perenne conflittualità con le istituzioni democratiche. Ciò comporterebbe da un lato uno "svuotamento" del valore del diritto nella società (nella misura in cui il diritto diventa inapplicabile o anacronistico), dall'altra esporrebbe al rischio di reazioni autoritarie e proibizioniste da parte di uno Stato che non è più in grado di capire le implicazioni dello sviluppo tecnologico proprio perchè ne è estraneo.

Si può dunque per prima cosa andare a vedere come sia possibile evitare che il diritto rimanga "sconnesso" dai nuovi sistemi delle comunicazioni.

Su questo il seminario ha già individuato due risposte fondamentali:

- La trasmissione in rete dai luoghi di dibattito, decisione ed applicazione del diritto ad ogni livello;

- La facoltà di esercitare buona parte dei propri diritti di cittadinanza per via telematica attraverso la firma elettronica;

La prima risposta implicherebbe un intervento finanziario massiccio, diretto o indiretto, da parte dello Stato. Infatti si tratterebbe di adattare alle nuove tecnologie il principio irrinunciabile della "pubblicità" della vita istituzionale , senza che ciò debba o possa essere subordinato a valutazioni di redditività economica. E dunque necessario definire e quantificare gli investimenti necessari, in modo da trasformare questa idea in proposta politica concreta.

Se da un lato la pubblicità in rete degli atti istituzionali metterebbe nelle mani del cittadino una risorsa immensa di informazioni che lo porrebbero nelle condizioni di conoscere per deliberare, la seconda risposta individuata dal convegno, quella della firma elettronica, apre la strada ad un utilizzo non solo passivo delle nuove tecnologie, ma ad un potenziamento delle facoltà di partecipazione attiva del cittadino nella vita istituzionale. Basti pensare alla possibilità di accedere direttamente dal proprio computer alle procedure della Pubblica amministrazione, nonchè alle possibilità di utilizzare per via telematica gli strumenti della democrazia diretta. In tal caso quello che serve non è tanto un piano di investimenti pubblici, quanto una serie di accorgimenti giuridici per il "riconoscimento" della firma elettronica e di riorganizzazione della macchina Statale. Da quanto emergeva dal convegno, i problemi tecnici sono del tutto risolti o risolvibili, e si tratta dunque di porre il problema politico de

ll'approvazione urgente degli atti legislativi necessari.

Sempre in questo contesto si inserisce la proposta, avanzata dal gruppo radicale al Parlamento europeo, di accesso per via telematica agli strumenti diretti della cittadinanza europea, cioè la petizione al Parlamento europeo ed il ricorso al Mediatore dell'Unione europea.

La questione del "voto elettronico" non mi pare invece debba rientrare in questo contesto, in quanto mi pare poco proponibile l'espressione diretta del voto via internet (anche per motivi di segretezza del voto stesso). Si dovrebbe piuttosto cercare di automatizzare il meccanismo pratico di espressione e conteggio dei voti, attraverso "apparecchi per la votazione" di tipo elettronico, ma anche semplicemente di tipo meccanico, come avviene oggi negli Stati Uniti.

IL DIRITTO DELLA RETE

Le leggi attualmente in vigore nei rispettivi Stati nazionali sono ovviamente valide anche per quanto "accade" su internet. In pratica però il carattere prevalentemente o parzialmente transnazionale, privato ed anonimo dei dati trasmessi in rete, insieme alla quantità degli stessi, rende concretamente inapplicabili o difficilmente applicabili una parte consistente degli attuali sistemi legislativi.

Chi crede nella forza del legge contro la legge del più forte deve battersi perchè la rete non sia un luogo "fuorilegge". Questo però non vuol certo dire che l'impegno politico debba semplicemente essere teso ad intervenire sulla rete per rendere applicabili le leggi esistenti, ma anzi in molti casi è opportuno difendere "almeno" la rete dall'assurdità della normativa esistente, per puntare poi a riformare o semplicemente abrogare le normative stesse.

Internet è cresciuta e si è sviluppata in condizioni di anarchia quasi assoluta, o al massimo di autogestione ed autoregolamentazione non statale. Per un liberale è difficile immaginare che l'assenza di regole, siano esse regole scritte o "common law", possa non esporsi presto tardi a rischi autoritari o derive di ogni genere, magari causate dal potenziamento di sistemi pubblici o privati di controllo degli scambi attuati nella rete. E però anche vero che lo sviluppo di internet può aiutare a smantellare quella parte più che consistente di legislazione che in Italia, come altrove, opprime le libertà individuali.

Il diritto del lavoro e del commercio (con i vincoli socialdemocratici e sindacalisti in termini di obblighi contrattuali, di orari di lavoro o di apertura dei negozi, di licenze, ecc...), il diritto fiscale, i diritti civili e le libertà individuali (basti pensare alla libertà di stampa) sono già oggi rivoluzionati dallo sviluppo di internet. Si tratta di una rivoluzione che per la stragrande misura avviene per il meglio, perlomeno da un punto di vista liberale, in quanto il potere delle strutture di mediazione o di rappresentanza (Stato e parastato, corporazioni, partiti, sindacati) viene eroso dalle possibilità di azione diretta del cittadino.

Ecco perchè lo sforzo necessario per impedire che internet si sviluppi "fuorilegge" deve innanzitutto andare a sostegno dei connotati di rivoluzione liberale che internet ha dimostrato fino ad oggi di poter veicolare, opponendosi agli sforzi di conservazione esercitati dalle forze illiberali. Ciò significa che la nostra prima preoccupazione deve essere quella di difendere la rete da leggi illiberali (quelle attualmente in vigore o quelle che si preparano), cercando semmai di estendere ovunque, cioè legalizzare, quelle libertà che oggi sono "illegalmente" fruibili in rete.

Rispetto all'illiberalità delle leggi in vigore non c'è molto da aggiungere oltre a quanto già il Movimento dei Club Pannella Riformatori aveva individuato con la piattaforma referendaria.

Per il futuro il pericolo sembra invece risiedere in meccanismi (leggi, autorities, burocrazie di vario tipo) di censura o controllo statale. Più sottile, ma non meno pericolosa è l'imposizione di leggi a tutela della privacy che in realtà rischiano di strangolare le libertà di espressione e di impresa.

Quanto invece all'azione positiva del legislatore per lo sviluppo di internet, mi pare essenziale la proposta, già avanzata da Cicciomessere, di rendere "identificabili" i soggetti che operano in rete nel caso vengano commessi dei reati in rete, facendo così corrispondere al principio della responsabilità individuale quello della libertà individuale.

LA DIFFUSIONE DELLA RETE

La diffusione di internet in Italia è ancora un fenomeno marginale che interessa meno dell'uno per cento della popolazione. Questa considerazione da sola dovrebbe bastare per indurci ad affiancare, a quelle lotte e leggi per il diritto in rete e per il diritto della rete, uno sforzo anche superiore per provocare un balzo quantitativo nella diffusione delle nuove tecnologie. Alcune delle proposte emerse nella prima fase del seminario mi paiono poco convincenti. Si è infatti parlato sia di diffusione massiccia di computer in tutte le scuole italiane, sia di incentivi statali alla ricerca tecnologica.

Entrambe le soluzioni mi parrebbero destinate ad un sostanziale insuccesso, sia a causa del livello di inefficienza e corruzione delle amministrazioni pubbliche alle quali spetterebbe il compito di affrontare le scelte di investimento, sia a causa dell'enorme imprevedibilità dei percorsi seguiti dallo sviluppo tecnologico. I due fattori si rafforzano a vicenda; infatti quanto più le scelte da effettuare sono ad alto "rischio d'impresa", tanto più le amministrazioni pubbliche, fisiologicamente guidate da criteri innanzitutto politici, si trovano impreparate ad assumersi tale rischio. E se questo è vero per scelte di acquisto di massa di prodotti di largo consumo, quali sono ormai i personal computer, è ancora più vero per le scelte di investimenti infrastrutturali, ad esempio la scelta del tipo di cablaggio da installare nelle nostre città.

Corollario, o peggio giustificazione ideologica, della visione interventista del ruolo dello Stato nello sviluppo delle nuove tecnologie, è quella del diritto all'accesso universale e gratuito alla rete. Si tratterebbe dell'ennesimo diritto inesigibile, da aggiungersi al diritto alla casa, alla salute, alla scuola e a quanto altro è inscritto nel verbo socialista e socialdemocratico.

In alternativa a tale concezione si pone quella della centralità del mercato, e quindi dell'utilizzo, per la diffusione di massa delle nuove tecnologie, della leva più potente che di cui il mercato dispone, cioè quella dei prezzi. Nel caso italiano l'area di intervento più promettente per una riduzione dei prezzi delle nuove tecnologie è quella delle telecomunicazioni, attraverso la lotta allo sfruttamento della posizione dominante di cui gode telecom.

Interventi compatibili con una logica di libero mercato sono invece quelli all'esame negli Stati Unite, che prevedono la totale detassazione del mercato di internet fino al 2004 e una maggiore apertura delle frontiere all'immigrazione altamente qualificata dal punto di vista tecnologico.

Se i mezzi prefigurano il fine, la rivoluzione tecnologica può aiutare la rivoluzione liberale soltanto se impostata sullo sviluppo del libero mercato; l'alternativa politica a tale impostazione è quella della rivoluzione tecnocratica per la restaurazione burocratica. Se in Italia non ha ancora vinto la seconda è soltanto per l'incapacità della classe burocratica di utilizzare gli strumenti della potenziale tecnocrazia. Cerchiamo di non dargli una mano.

 
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