Spettabile presidente
Ordine dei giornalisti di Milano
Milano, li venerdì 20 marzo 1998
Oggetto : Richiesta di azione disciplinare nei confronti di Agostino Gramigna, iscritto al n. 4611 dell'albo dei giornalisti di Milano, per un articolo dileggiatore apparso su Sette (supplemento del Corriere della Sera) del 19/3/98, a pag. 92.
Spettabile presidente,
Agostino Gramigna, in un articolo pubblicato a pag. 92 di Sette del 19 marzo 1998, mi ha complessivamente dipinto come una sorta di minus habens, in aperta contraddizione con le fonti da cui ha tratto la gran parte delle notizie ivi riportate : un articolo di Sebastiano Messina, pubblicato sulla Repubblica del 20 febbraio 1998, a pag. 17 ; il sito Internet del Comitato per la difesa dei referendum elettorali e del collegio uninominale ; un colloquio avuto con me.
Facendomi parlare come forse lui è convinto che debbano parlare i ragionieri-studenti-fuoricorso-di-Scienze-Politiche, eccedendo in superficialità e nell'uso di ammiccanti aggettivi, travisando e manipolando ampiamente le mie dichiarazioni (al punto di farmi dire l'esatto opposto di quanto avevo invece affermato), Gramigna traccia di me un profilo tanto grottesco da rendere quasi incomprensibile ai lettori perché un'intera pagina di carta patinata di Sette mi sia stata dedicata.
Ecco la parafrasi dell'articolo di Gramigna, redatta secondo le impressioni di diversi lettori di Sette all'uopo interpellati :
"Emilio Colombo, figlio di un impiegato leghista (e pure separatista) e di una casalinga [dunque di misere origini, ndr], ha studiato da ragioniere per diventare studente fuoricorso a Scienze Politiche.
Poche letture [non dimentichiamo che è ragioniere e figlio d'un leghista separatista che va perfino a votare alle elezioni padane, ndr], consuma la sua pigra adolescenza a Novara, tra le nebbie padane.
Ventotto anni, il Colombo non s'interessa di politica, al punto di sognarsi di festeggiare con D'Alema la vittoria elettorale dell'Ulivo e di covare con Marco Nardinocchi un uovo referendario. Un Azzeccagarbugli, insomma, ma di quelli piccoli [perché poi lo sia e su quali basi, non è dato sapere, ndr].
Facciamo ora un passo indietro : il Colombo, scarsamente coltivato [in quanto ragioniere, ndr], non sa che fare da grande e quindi si iscrive a Scienze Politiche a Milano [e chi ha orecchi intenda, ndr], come i fancazzisti pari suoi [meglio farglielo dire, perché suona più vero, ndr]. Si esprime in modo grossolano: "controcommi", "professorone". Poveretto, proprio non ne farà, di strada.
Ma in fondo, che pretende ? Cronico fancazzista, non ha grandi mire. Nel marzo 1999, vuole forse laurearsi ? No, preferisce continuare a cazzeggiare, aspettando la sentenza della corte sui referendum. Poi, se ne andrà a Parigi. E, si capisce, non certo a studiare alla Sorbona [domanda non posta, ma suona troppo bene, ndr]: piuttosto, a cazzeggiare per distrarsi dalla sua vita cazzeggiante.
[Se questo è un uomo, cari lettori...]. "
FATTI
Sono assurto agli onori e ai disonori delle cronache per aver elaborato, insieme con Marco Nardinocchi, il quesito referendario per abolire la quota proporzionale del 25% dalle leggi elettorali di Camera e Senato. Per questa ragione, sono stato citato in diversi articoli, sulla Stampa, il Mattino, il Corriere della Sera e la Repubblica. Il 16 febbraio, il Corriere della Sera pubblicò una breve intervista (con una mia foto da me fornita, risalente a otto anni fa, a dimostrazione della mia sete di notorietà). Il 20 febbraio, sulla Repubblica fu pubblicato un esaustivo articolo-intervista di Sebastiano Messina. Non avendo compiuto nessuna prodezza da Guinness dei primati, non restava un gran che da scrivere, su di me.
Il 3 marzo, ero a Roma per la messa a punto del quesito elettorale, in vista del suo deposito in Cassazione da parte del Prof. Segni e di altri, poi avvenuto il 5 marzo. Gramigna iniziò a cercarmi insistentemente. Avendo contratto l'influenza, dovetti lasciare Roma e tornare a casa. Giovedì 5 marzo, telefonai a Gramigna per sapere che cosa volesse da me. Mi parlò della sua intenzione di intervistarmi per scrivere un articolo. Gli dissi che su di me era stato già scritto tutto il possibile, soprattutto nell'articolo di Messina, e che quindi preferivo non farmi intervistare, non restando particolari inediti da rivelare al pubblico sul mio conto. Gramigna insistette ; considerando gli spropositi che in quei giorni venivano detti sui referendum, gli proposi di scrivere un articolo del tipo : " Il referendum elettorale, questo sconosciuto ", per spiegare ai più, in termini accessibili, i quesiti e le loro probabili conseguenze sulla vita politica italiana. Invitai comunque Gramigna a visitare il sito Internet de
l comitato (in cui sono contenute diverse informazioni sui quesiti referendari, e delle brevi biografie di me e di Marco Nardinocchi), perché si facesse un'idea. Ho infatti la biasimevole abitudine di attribuire ai miei interlocutori un minimo e imprescindibile quoziente di intelligenza.
Assumendo impegni più o meno vaghi, Gramigna vinse le mie resistenze e riuscì a ottenere il mio consenso all'intervista ; fissò dunque un appuntamento alla casa dei miei genitori, dove attualmente dimoro, per l'indomani alle 9h30. A questo proposito, non mancai di fargli presente che, avendo abitato in diversi luoghi, in Italia e all'estero, non era possibile stabilire un legame deterministico tra la mia dimora pro tempore e la mia evoluzione (o involuzione) personale.
Non posso nascondere di aver mantenuto forti riserve sulle intenzioni del Gramigna, dopo aver parlato con lui al telefono. Avvertivo in lui un eccessivo interesse per la mia vita privata, che intendevo salvaguardare. Non ero neppure sicuro che mantenesse l'impegno di farmi leggere l'articolo prima della pubblicazione ; sospetto poi confermato dai successivi sviluppi della vicenda.
Gramigna arrivò da me verso le 10h00 di venerdì 6 marzo, accompagnato da una fotografa e da un tecnico delle luci. Durante il colloquio, conformemente ai nostri accordi, gli parlai principalmente di giurisprudenza costituzionale e di sistemi elettorali. Vedendo a più riprese lo sguardo di Gramigna perso nel vuoto, cercai di essere il più semplice possibile nell'esposizione, senza tuttavia mancare di precisione. Lui insisteva con domande sinuose sulla mia vita privata, cui rispondevo con cautela ma con dovizia di precisazioni, onde evitare che fraintendesse le mie dichiarazioni.
Passate le 13h00, dopo aver posato per diverse foto, la casa a soqquadro per esigenze giornalistiche, dovendo raggiungere anch'io Milano, accompagnai Gramigna e i suoi collaboratori in auto. Durante il viaggio, ricordo nitidamente d'aver parlato a Gramigna di sistemi elettorali, cercando di fargli comprendere la scarsa democraticità della cd. crostata di casa Letta.
Avendo insistito affinché Gramigna intervistasse anche Marco Nardinocchi, fissammo un appuntamento per domenica 8 marzo, al bar Quadronno di Milano, dove un anno prima erano stati scritti i quesiti referendari. Fu allora che Gramigna dichiarò di non aver capito un gran che delle mie spiegazioni sui referendum, così come la fotografa -a quanto disse egli stesso-, con la quale si era consultato. Lo stesso sospetto aveva in realtà sfiorato anche me ; ragion per cui mi ero portato appresso un dischetto contenente il sito Internet, che gli consegnai perché vi desse un'occhiata senza doverlo cercare sulla rete. Dopo una breve conversazione, Nardinocchi ed io salutammo il Gramigna, al quale, tra il serio e il faceto, promisi peraltro un seguito giudiziario, nel caso avesse manipolato le mie dichiarazioni.
Secondo quanto m'aveva detto Gramigna, l'articolo avrebbe dovuto apparire su Sette in edicola giovedì 12 marzo : l'incontro era stato fissato in tempi tanto brevi anche in virtù di quella scadenza ravvicinata. Quel giorno, invece, il settimanale Sette era interamente dedicato alla celebrazione di un anniversario, credo il decimo dalla prima uscita in edicola, e non riportava quindi la mia intervista. Gramigna non s'era più fatto sentire ; io avevo cominciato a pensare che l'intervista non fosse più d'attualità, e non me ne preoccupai più.
Il 16 marzo, nel corso di un incontro tenutosi presso il "Piccolo" di Milano, fu presentato al pubblico il primo numero del nuovo Sette. L'indomani, una persona che aveva assistito alla presentazione e letto in anteprima il numero di Sette in edicola il 19 marzo, mi parlò in termini decisamente poco entusiasti dell'articolo di Gramigna con la " mia " intervista. Subito, andai alla redazione di Sette, per leggere io stesso l'articolo. Dopo un lungo momento di stupefazione e amarezza, chiesi all'Avv. De Luca di diffidare la redazione di Sette dal diffondere tale numero della rivista. La diffida fu inviata via fax mercoledì mattina.
MOTIVI DI DOGLIANZA
Il giudizio sulla Facoltà di Scienze Politiche -attribuitomi dal Gramigna nell'articolo, con tanto di guillemets, travalicando abbondantemente i limiti della più ampia discrezionalità che si possa riconoscere al cronista-, e soltanto quello, mi ha motivato a richiedere un intervento a codesto Ordine dei giornalisti.
Tale frase è del tutto falsa e peraltro più che pregiudizievole nei miei confronti (dovendo, da fuoricorso, laurearmi, un giorno o l'altro). Discutendo con il giornalista, avevo avuto modo di constatare che egli nutriva delle riserve mentali nei confronti della Facoltà di Scienze Politiche. Nel tentativo di confutare i suoi pregiudizi (lombrosiani, più che fondati su dati di fatto), lo invitai a non scrivere frasi del tipo : " fuoricorso patologico a Scienze Politiche, la facoltà dei fancazzisti ". La frase è invece stata ritorta contro di me e trasformata in una sorta di insinuante autodafé.
Tanta enormità m'ha deciso a verificare anche il resto dell'articolo. Il modo con cui Gramigna l'ha confezionato è sicuramente censurabile sotto il profilo della violazione dell'art. 2 della legge professionale dei giornalisti 3 febbraio 1963, che impone al giornalista "il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri di lealtà e buona fede ".
In particolare, dell'articolo contesto i seguenti passaggi :
1) dichiarazione attribuita a me : " Al telefono gli uomini di Segni non capivano di che cosa parlassi ". Rispondendo a una domanda del Gramigna sui primi tentativi di far conoscere il quesito, gli dissi che, nella primavera del 1997, Marco Nardinocchi ed io mandammo dei fax a diverse personalità che potessero essere interessate all'abolizione della quota proporzionale per via referendaria dalle leggi elettorali. Per eccesso di realismo, gli dissi che ero cosciente del fatto che ai fax, in ragione della nulle credenziali che vantavamo io e il Nardinocchi, fosse riservata la sorte della cd. cestinazione d'ufficio. Gli precisai, in proposito, che in quel periodo Nardinocchi ed io avevamo avuto contatti telefonici soltanto con esponenti del movimento dei club Pannella (di cui notoriamente non ha mai fatto parte il prof. Segni, né -presumo- i suoi collaboratori), riuscendo, dopo lunghe insistenze, a far depositare in Cassazione, nel maggio del 1997 e nell'ambito di un pacchetto di 35 referendum, i nostri due que
siti elettorali. Come peraltro ampiamente palesato in diversi articoli di giornale pubblicati prima che il Gramigna m'intervistasse, ho conosciuto l'on. Segni e i suoi collaboratori soltanto nel febbraio di quest'anno, dopo che l'onorevole Peppino Calderisi e il Prof. Augusto Barbera gli avevano parlato dei quesiti referendari elettorali.
2) " La stanza del piccolo dottor Azzeccagarbugli ha le pareti rivestite di poster di paesaggi e pugnali ". Il manzoniano dottor Azzeccagarbugli, notoriamente, più che risolvere problemi, li complicava, dissuadendo la povera gente dal far valere i propri diritti. Il paragone è già di per sé fuori luogo. Ma l'aggettivo " piccolo " conclude il teorema : esso mal si concilia con il profilo d'un maturo e cronico fuoricorso ammannito prolissamente dal Gramigna. E' infatti alquanto difficile essere " piccoli " e al tempo stesso fuori corso. En passant, faccio inoltre notare che sulle pareti della stanza cui fa riferimento il Gramigna è appeso di tutto, dalla Déclaration del 1789 a riproduzioni di Guernica e affreschi di Simone Martini, passando per Van Gogh : tutti poster che difficilmente (e comunque con un'estrema banalizzazione) possono essere definiti come paesaggi. Quanto ai cd. pugnali, trattandosi di souvenirs per turisti, dubito che consistano in nient'altro che la custodia.
3) " Pochi libri " : per curiosità, ne ho contati un po', fermandomi al duecentocinquantesimo. Non so se dovessi abitare in una biblioteca nazionale, per soddisfare le aspettative d'un cronista dal linguaggio tanto raffinato.
4) " Emilio è cresciuto nella periferia nebbiosa di Novara, un'adolescenza pigra tra cinema e bar [...] pochi interessi ". Come ho cercato di precisare, seppur invano, al Gramigna, il quartiere dove attualmente dimoro è stato costruito non più di dieci anni fa, quando dunque la mia adolescenza era da tempo conclusa. Gli confermai inoltre che, negli ultimi anni, ho vissuto a Milano, in Toscana e a Bruxelles : notizia peraltro di pubblico dominio, essendo già stata riportata da altri. Gli aggettivi " nebbiosa " e " pigra ", inoltre, non possono che dipingere spregiudicatamente un quadro grigio e molle, come per infondere nel lettore un accresciuto stupore per il fatto che io, insieme con l'altro ragioniere Nardinocchi, sia riuscito in quest'impresa incredibile di trovare una soluzione ragionevolmente percorribile alle martoriate vicende delle leggi elettorali italiane. Sui " pochi interessi ", dirò più sotto.
5) " (veste rigorosamente in nero) " : quel giorno, in effetti, ero vestito (rigorosamente) di nero.
6) " La politica ? Non mi interessa... " : sintesi contorta (e paradossale) d'una dichiarazione un po' più articolata. Rispondendo a una domanda del Gramigna, gli avevo detto che non seguo più le cronache politiche italiane del giorno per giorno, avendolo già fatto per troppo tempo. Non sono forse gli imbecilli che non cambiano mai vita ?
7) " Perché Scienze politiche ? Ci vanno quelli che non sanno cosa fare da grandi, i fancazzisti ". Attribuendomi questa dichiarazione, il Gramigna ha raggiunto l'apice dell'indecenza. Primieramente, se avessi detto una cosa simile, sarei proprio un imbecille, essendo in prossimità della laurea : non l'avrei detto più che altro per ragioni di opportunità. Apro qui una parentesi. Marco Nardinocchi ed io abbiamo chiamato i nostri quesiti referendari " opportunisti " (alla Léon Gambetta), per manifestare il nostro rifiuto di ipotesi referendarie integraliste che prescindessero dalla giurisprudenza costituzionale vivente. Non sarei un grande opportunista, se gettassi infamia sulla facoltà che frequento, se non altro per il fatto di dover sostenere ancora quattro esami di profitto. Ma invece, come ho già detto dianzi, avevo affermato l'esatto contrario, facendogli notare che la facoltà di Scienze politiche di Milano gode di una più che dignitosa reputazione, specie all'estero, e contrariamente a credenze abbastan
za diffuse. Gli spiegai inoltre (sempre invano) che, se sono fuoricorso, è anche perché ho lavorato (da ultimo, al Parlamento europeo), prima di riprendere gli studi nel dicembre 1995.
8) " commi e controcommi ", " professorone " : nella mia lunga vita di studente (pur fuoricorso), mai ho utilizzato né l'espressione " professorone ", né quella, affatto sconosciuta alla cultura giuridica, di " controcomma ".
CONCLUSIONI
Per le ragioni sopra esposte, richiedo un intervento di codesto Ordine dei giornalisti di Milano, a postuma tutela della deontologia professionale giornalistica, nonché della verità dei fatti, più che del mio diritto all'immagine (ormai irrimediabilmente compromesso, così come -forse- i miei studi).
Resta inteso che sfido Agostino Gramigna a provare con ogni mezzo e in ogni sede le affermazioni che m'ha attribuito nell'articolo a sua firma, e a dimostrare che mi esprimo con il registro linguistico che m'ha imputato, autorizzandolo a ricorrere, se del caso, a qualunque mio scritto o dichiarazione pubblicata e non contestata.
In fede.
Emilio Colombo