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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 24 marzo 1998
L'ARROGANZA DEL POTERE
di EUGENIO SCALFARI

da LA REPUBBLICA, 23 Marzo 1998

PERSONALMENTE non appartengo a quella pur vasta categoria di italiani che hanno in odio i partiti. Anzi riconosco in essi uno strumento indispensabile di attuazione della democrazia politica.

Sono anche consapevole che i partiti hanno un costo e che quel costo eccede di molto le possibilita' di autofinanziamento sostenibile dai loro soci e simpatizzanti.

E' vero che quel costo puo' essere molto contenuto rispetto alle dimensioni esorbitanti raggiunte durante l'infausto decennio degli anni Ottanta; ma esso deve comunque esser messo a carico della collettivita' se si vuole che i partiti abbiano un minimo di radicamento sul territorio e adempiano alle funzioni di orientamento del consenso che la democrazia richiede.

EPPURE sono anch'io rimasto profondamente scosso e indignato (e l'ho scritto ripetutamente su questo giornale) dai colpi di mano con i quali tutti i partiti - assolutamente tutti senza eccezione alcuna - hanno cercato di trafugare un cospicuo numero di miliardi dalle casse dello Stato, per di piu' in una fase in cui l'intera comunita' nazionale veniva sottoposta a una rigidissima dieta pur di rimettere in linea la nostra dissestata e spensieratissima finanza pubblica e riuscire a far parte del gruppo di testa che costituira' l'Unione economica europea.

Assistere a questa sorta di furto con destrezza perpetrato contro la fede pubblica dal sistema dei partiti, e' stato uno spettacolo rivoltante sicche' non si puo' che approvare di tutto cuore la decisione del presidente della Repubblica di rinviare alle Camere la legge che esse avevano approvato in un batter d'occhio, affinche' riflettano su quanto hanno deliberato e lascino cadere una così indecente decisione.

Il capo dello Stato non puo' cassare una legge approvata dai due rami del Parlamento; puo' soltanto rifiutare di firmarla se scorge in essa un difetto di costituzionalita' e di copertura finanziaria. Questo e' appunto il caso: il provvedimento che stanzia in favore dei partiti 110 miliardi nell'esercizio 1998 non ha copertura e Scalfaro correttamente l'ha rinviato al mittente. Ma non e' mistero per nessuno che il capo dello Stato si sia fatto interprete - al di la' del problema tecnico della copertura finanziaria - anche della protesta morale di larghissimi settori d'opinione e abbia voluto richiamare i partiti con un gesto solenne a un piu' corretto esercizio della loro attivita'.

Gli sia data piena lode per questa sua decisione che interpreta il comune sentire del paese, gia' del resto manifestato con schiacciante maggioranza in un referendum popolare di pochi anni fa il cui risultato e' tuttora legislativamente vigente.

* * *

Il referendum sopra ricordato abrogo' la legge che aveva istituito il finanziamento pubblico dei partiti nell'ormai lontano 1974. Converra' forse ricordare come e perche' quella legge fu approvata col consenso di tutti i democratici di buona fede.

Prima che essa entrasse in vigore i partiti avevano provveduto in vari modi al proprio finanziamento: quelli della maggioranza governativa attraverso regalie sottobanco provenienti da enti pubblici, imprese parastatali, Confindustria e imprese private, ne' erano mancate erogazioni di provenienza americana piu' o meno camuffate sotto sigle di copertura; il Pci si era sostentato in parte attraverso il contributo dei propri militanti e delle feste dell' Unita' e in piu' larga misura con denaro sovietico versato direttamente da partito a partito o attraverso la privativa del commercio Italia-Urss conferita a ditte direttamente collegate al Pci. Quanto all'Msi, esso aveva beneficiato di contributi versatigli da alcuni imprenditori privati e anche dall'Eni di Enrico Mattei che infatti dispose piu' d' una volta dei voti missini per le sue spregiudicate scorribande politiche e parlamentari.

QUESTA situazione era ben nota a tutti ma opinione pubblica, giornali e magistratura avevano deciso (con qualche meritevole eccezione) di chiuder gli occhi come di fronte a un fenomeno ineluttabile. Le cose andarono percio' avanti in questo modo fino a che scoppio' il cosiddetto scandalo del petrolio. Si scoprì cioe' che l'Unione petrolifera finanziava sistematicamente i partiti di governo per mantenere a certi livelli il prezzo della benzina e ottenere altri consistenti favori. La stampa lancio' una vigorosa campagna di denuncia; il presidente dei petrolieri, Vincenzo Cazzaniga, fu arrestato, i partiti ammisero le loro colpe.

Per evitare che il malcostume ormai scoperto continuasse e si estendesse, si penso' allora che solo il finanziamento pubblico potesse moralizzare la vita politica. Cos&igra ve; nacque la legge, con tanto di sanzioni penali per coloro che l'avessero violata.

Desidero onestamente ricordare l'appoggio che fu dato a questa legge da tutta l'opinione pubblica democratica e dalla maggior parte dei giornali d'informazione che la rappresentavano e le davano voce.

* * *

Passarono gli anni ma non gli appetiti e l'arroganza dei partiti che anzi crebbero a dismisura. Ben presto il finanziamento pubblico, che pure era stato fissato con criteri di notevole larghezza, non basto' piu' alle esigenze degli apparati. Questi ultimi erano nel frattempo cresciuti nel numero e nelle pretese; per di piu' nei partiti (specie in quelli di governo) rivaleggiavano le correnti, ciascuna delle quali pretendeva finanziamenti propri; infine i singoli leader miravano a migliorare la propria qualita' della vita.

A tutte queste nuove occorrenze non poteva certo bastare il finanziamento pubblico e fu così che, alla fine degli anni Settanta, nacque Tangentopoli. Nacque cioe' quel sistema di corruzione e concussione diffusa attraverso il quale le imprese pagavano partiti, correnti e singoli leader, nonche' dirigenti delle pubbliche amministrazioni e faccendieri intermediari, per ottenere favori negli appalti, nelle commesse, nei prezzi amministrati e in tutte quelle molteplici pratiche che inevitabilmente intercorrono tra gli uomini d'affari e i politici. Fino a quando...

Fino a quando Mario Chiesa, presidente del Pio Ospizio Trivulzio, fu arrestato con le mani nel sacco. L'epoca di Mani pulite era cominciata. Poco dopo un referendum popolare abrogo' il finanziamento pubblico. Intanto scomparivano la Dc, il Psi, il Psdi, il Pri, il Partito liberale. La Prima Repubblica era affondata.

* * *

Dal '93 al '97, per quattro lunghi anni, i partiti hanno fatto a meno di finanziamenti: quello privato si era di colpo inaridito; quello pubblico era stato cancellato.

La prima reazione fu quella di non pagare i debiti nel frattempo accumulati. La seconda di smantellare gli apparati. Oggi infatti gli apparati dei partiti sono diminuiti mediamente a un decimo di cio' che erano dieci anni fa; laddove c'erano mille funzionari oggi ce ne sono appena cento se non di meno.

Ma queste economie non bastano: ci sono sedi da mantenere, campagne elettorali, spot televisivi, giornali di partito. E percio' ecco riaffacciarsi di nuovo la necessita' del finanziamento pubblico.

Ho gia' premesso che personalmente non nego che l'esigenza esista, ma tra l'esigenza e l'arroganza nell'appagarla ci corre un oceano.

CIRCA un anno fa fu escogitato il meccanismo cosiddetto del 4 per mille, la meta' di quello gia' in vigore per il finanziamento della Chiesa cattolica e degli altri culti: ogni contribuente puo', nella propria dichiarazione dei redditi, destinare una quota non tassabile ai culti; l'erogazione scatta pero' sull'intero ammontare dei redditi dichiarati.

Fu previsto che un analogo meccanismo fosse utilizzato per finanziare i partiti, con la differenza che qui si preleva la quota solo ai contribuenti che dichiarano di volerlo. Ma poiche' il bisogno era urgente e l'approvazione della legge richiedeva un tempo tecnico, il Parlamento stabilì un versamento di 160 miliardi al sistema dei partiti a titolo di acconto. Nel frattempo erano in vigore dazioni per rimborsare le spese elettorali nonche' altri contributi ai giornali e alle radio di partito o supposti tali.

Avvenne pero' che, nella dichiarazione dei redditi, solo una percentuale irrisoria dei contribuenti decidesse di versare soldi ai partiti. Incuranti dello scacco subito, questi votarono un secondo acconto per 110 miliardi che e' appunto quello che Scalfaro ha ora rinviato alle Camere. E' ormai evidente che per questa strada i partiti non potranno per fortuna passare.

Resta il problema del loro finanziamento, ma esso andra' discusso alla luce del sole e con tutta l'opinione pubblica e non potra' essere frutto di c olpi di mano e di arrogante pretesa di sovranita' senza controllo.

 
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