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Conferenza Rivoluzione liberale
Barletta Amedeo - 29 aprile 1998
Message: 5
Date: Tue, 28 Apr 1998 18:11:36 +0100

From: Giovanni Cerchia

Subject: (no subject)

Lo scambio di opinioni tra Sandro ed Amedeo sul comunismo italiano è di

un

certo interesse e non può essere liquidato con una battuta o poche

righe di

commento. Certo, occorrerebbe, in primissima istanza, uno sforzo

collettivo

per sgombrare il campo da certi picchi polemici così tipici di una parte

della cultura liberaldemocratica italiana.

Agli inizi degli anni 70,ad esempio, Giorgio Bocca < in un suo libro sul

terrorismo italiano < si attardava a spiegare il fenomeno della lotta

armata

con le egemonie comunista e cattolica. Le grandi ideologie dominanti,

secondo questo autore, erano tali da favorire un clima di intolleranza

ed

una ricerca di risposte totalizzanti: 'Da poco < scriveva il

giornalista <

si è trovato persino un nome per il padre del terrorismo rosso:

cattocomunismo [S] per il modo totalizzante, proprio dei cattolici e dei

comunisti, di porsi di fronte alla vita e alla società, perché è

cattolico e

comunista il bisogno di risposte totali e definitive, il rifiuto del

dubbio,

la sostituzione del dovere ragionato con la fede, il bisogno di chiesa,

di

autorità, di dogma, giustificato dal solidarismo sociale e l attesa

dell immancabile paradiso, in cielo o in terra .

La citazione è tratta da un libro pubblicato nel 1978 (vent anni fa,

l anno

del rapimento Moro e dell elezione di Pertini: i miei primi ricordi

politici

veri) da una casa editrice tutt altro che sconosciuta, la Rizzoli di

Milano.

Ma, se non bastasse, vi consiglio la lettura dell ampia produzione di

Giorgio Galli che, con il suo modello interpretativo della nostra

dinamica

politica (il "bipartitismo imperfetto") sottolineava la inadeguatezza di

fondo delle due principali sub-culture italiane < la cattolica e la

comunista < ad interpretare al meglio un'esperienza

democratico-rappresentativa. Fatto che ha impedito l'innesco, nel

sistema

politico italiano, di quella dialettica di alternanza a livello di

esecutivo

che è elemento indispensabile in un corretto gioco democratico. In altre

parole, secondo Galli, il PCI si è prima castrato non puntando alla

rivoluzione sull onda della Resistenza per, poi, e per le medesime

ragioni,

non impegnarsi nella costruzione delle condizioni di un alternanza

democratica, autoconfinandosi all opposizione.

Tesi quanto meno discutibili, a mio modestissimo parere. La democrazia

repubblicana che nasceva dalle ceneri del fascismo e dallo slancio

resistenziale era certamente segnata dal monopolio politico del

'sistema dei

partiti , soprattutto di quei grandi partiti di massa insediati in

larghe

aree del Paese come strumenti di aggregazione sociale, prim ancora che

di

mobilitazione politica. Un quadro che escludeva e marginalizzava le

grandi

tradizioni laiche (tra le quali quella radicale, che si individuava come

nuovo soggetto politico autonomo nel 1955, dopo una scissione dal

partito

liberale del gruppo legato a Pannunzio). La stessa sovranità popolare

sancita nell art. 1 della Costituzione subiva questa presenza e, nella

sostanza, risultava mediata dall azione dei partiti. La sovranità, in

altre

parole, spettava al popolo, ma veniva di fatto esercitata da queste

speciali

associazioni che conosciamo con il nome di partiti politici. Ma poteva

essere altrimenti in un Paese non solo devastato dalla guerra, ma privo

di

un vero e proprio tessuto unitario, di un compiuto senso

dell appartenenza

nazionale. Gli italiani, prima di sentirsi tali, guardavano a se stessi

in

mille altri modi: per appartenenze regionali, politiche, professionali,

confessionali.

L egemonia politica esercitata dal PCI e dalla DC era, in questo senso,

effetto e non causa della scarsa nazionalizzazione (vi invito a leggere

quello che Paolo Farneti, studioso non certo comunista, ma

liberalsocialista, scriveva circa il ritardo secolare italiano nel

processo

di Nation-building): un egemonia, cioè, esercitata dalle due grandi

culture

politiche nazionalmente sleali, poiché trovavano la propria

legittimazione

in referenti internazionalistici (il movimento operaio internazionale e

il

suo stato guida; l universalismo cattolico < il significato etimologico

della parola 'cattolico è 'universale < saldamente ancorato al suo

papa-re). In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una doppia lealtà.

Questa era la vera anomalia, innervata nel sangue e nella carne della

storia

concreta del nostro Paese. La 'prima repubblica (che brutta

espressione)

vedeva i cittadini partecipare alla vita politica per 'appartenenze

separate : si era comunisti o cattolici o socialisti prim ancora di

essere

italiani. In questo quadro, i grandi partiti di massa rappresentarono

quel

collante che la storia italiana non aveva ancora fornito: furono

garanzia

per la nazionalizzazione e l integrazione democratica delle masse nello

Stato, processo che Mussolini aveva tentato (fallendo) per via

totalitaria e

burocratica.

Il quadro che si presentava allora era quello di una democrazia debole,

spaventata dal conflitto, sempre lacerata da tensioni che ne

minacciavano le

fondamenta. Da qui il compromesso centrista che ha imbalsamato la

democrazia

italiana per un cinquantennio. Da qui lo stesso compromesso storico, che

Berlinguer pensò con un occhio rivolto ai fatti cileni del 1973. Da qui

anche la titubanza comunista sul referendum del 1974, al quale,

tuttavia,

diede un contributo decisivo in termini di mobilitazione e consenso.

Insomma, questo PCI è stato un protagonista della vicenda democratica

italiana; certo con mille errori ed un milione di contraddizioni; certo

con

ambiguità ed un moralismo a volte assai fastidioso. Ma ci deve pur

essere

una ragione se quel protagonismo, caro Amedeo, in fondo c è stato.

Forse a

causa di una straordinaria capacità mimetica di Togliatti? Può darsi.

L uomo

era assai intelligente, educato alla dura scuola del Komintern, del

quale

era stato segretario negli anni più bui dello stalinismo. Lo stesso

uomo,

tuttavia, che negli anni dell avvento del fascismo, mentre tanta parte

del

ceto politico liberale disertava, decideva di continuare la sua

difficile

militanza. Ed era poco più di un ragazzo quando, insieme a pochi altri,

partecipava all iniziativa di quel gruppetto di ordinovisti torinesi che

ispirarono l occupazione delle fabbriche nel 1920. Gobetti raccontava

così

quei giorni: 'Siamo di fronte a uno dei fenomeni più schiettamente

autonomistici che abbiano saputo prodursi nell Italia moderna. Chi

fuori da

ogni pregiudizio di partito, pensoso degli effetti della crisi

postbellica

che è crisi di volontà, coerenza, di libertà, confidi ancora in una

ripresa

del movimento rivoluzionario interrotto dal Risorgimento che penetri

finalmente nello spirito delle masse popolari e le svegli alla libertà,

dovrebbe scorgere in questi sentimenti e in queste prove la via maestra

della lotta politica futura [S] Essi [i giovani comunisti torinesi]

videro

nel movimento operaio un valore liberistico. Se il loro esperimento è

fallito resta tuttavia uno dei più nobili sforzi che si siano tentati

per

rinnovare la nostra vita politica .

Con questo non volgio cancellare né nascondere le tragedie che sono

parte

integrante della storia del movimento comunista italiano ed

internazionale.

Ma, forse, non solo di tragedia si tratta. Solo questo volgio dire.

Io mi iscrivevo alla FGCI verso la fine del 1981 (avevo 16 anni), dopo

quello che la pubblicistica dell epoca ricorda come Olo strappo di

Berlinguer: mi riferisco alle dichiarazioni del segretario comunista sui

fatti di Polonia e il colpo di Stato di Jaruselsky. L idea che il

socialismo

si costruisse nella libertà e nella democrazia, o non c era alcuna

possibilità di farlo, è il 'mito fondativo della scelta di campo di

tutta

la mia generazione politica. Era vero già allora, non dovemmo aspettare

l 89

per dirlo. Per questo non ho mai sopportato Occhetto e la rimozione

della

memoria che egli teorizza come base della svolta che sanciva la fine del

PCI.

Va bene leggere 'I crimini del comunismo , per quanto non sia un fatto

inedito una ricerca di questo genere, tutt altro che confinata in case

editrici semisconosciute. Quello che mi permetterei di consigliare è

anche

la lettura di altri libri: per esempio le 'Lettere dei condannati a

morte

della Resistenza . Un testo forse un fuori moda per il revisionismo a

tutti

i costi, ma certo emblematico di un etica del sacrificio e del dovere

che ha

salvato dal baratro il nostro paese. 'Una vita in schiavitù è meglio non

viverla , scriveva ai figli il comunista Pietro Benedetti il 29 aprile

1944

(anche lui non dovvette aspettare il 1989), pochi giorni prima di essere

fucilato. Un affermazione che fa il paio con quella di Gobetti che,

nella

'Rivoluzione Liberale , dichiarava il suo fastidio per l ignavia dei

più,

poiché 'solo chi sa combattere merita la libertà . Gramsci, con la

stessa

enfasi, nel 1917, dichiarava ne 'La città futura , il suo odio per gli

indifferenti.

E anche per questa ragione, per il dovere di coltivare questo

specialissimo

'odio nei confronti dell indifferenza, che bisogna continuare a

discutere,

anche animatamente. Per andare oltre lo sfogo e salvaguardare le nostre

differenze d opinione come un valore democratico irrinunciabile.

Gianni Cerchia

 
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