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Lo scambio di opinioni tra Sandro ed Amedeo sul comunismo italiano è di
un
certo interesse e non può essere liquidato con una battuta o poche
righe di
commento. Certo, occorrerebbe, in primissima istanza, uno sforzo
collettivo
per sgombrare il campo da certi picchi polemici così tipici di una parte
della cultura liberaldemocratica italiana.
Agli inizi degli anni 70,ad esempio, Giorgio Bocca < in un suo libro sul
terrorismo italiano < si attardava a spiegare il fenomeno della lotta
armata
con le egemonie comunista e cattolica. Le grandi ideologie dominanti,
secondo questo autore, erano tali da favorire un clima di intolleranza
ed
una ricerca di risposte totalizzanti: 'Da poco < scriveva il
giornalista <
si è trovato persino un nome per il padre del terrorismo rosso:
cattocomunismo [S] per il modo totalizzante, proprio dei cattolici e dei
comunisti, di porsi di fronte alla vita e alla società, perché è
cattolico e
comunista il bisogno di risposte totali e definitive, il rifiuto del
dubbio,
la sostituzione del dovere ragionato con la fede, il bisogno di chiesa,
di
autorità, di dogma, giustificato dal solidarismo sociale e l attesa
dell immancabile paradiso, in cielo o in terra .
La citazione è tratta da un libro pubblicato nel 1978 (vent anni fa,
l anno
del rapimento Moro e dell elezione di Pertini: i miei primi ricordi
politici
veri) da una casa editrice tutt altro che sconosciuta, la Rizzoli di
Milano.
Ma, se non bastasse, vi consiglio la lettura dell ampia produzione di
Giorgio Galli che, con il suo modello interpretativo della nostra
dinamica
politica (il "bipartitismo imperfetto") sottolineava la inadeguatezza di
fondo delle due principali sub-culture italiane < la cattolica e la
comunista < ad interpretare al meglio un'esperienza
democratico-rappresentativa. Fatto che ha impedito l'innesco, nel
sistema
politico italiano, di quella dialettica di alternanza a livello di
esecutivo
che è elemento indispensabile in un corretto gioco democratico. In altre
parole, secondo Galli, il PCI si è prima castrato non puntando alla
rivoluzione sull onda della Resistenza per, poi, e per le medesime
ragioni,
non impegnarsi nella costruzione delle condizioni di un alternanza
democratica, autoconfinandosi all opposizione.
Tesi quanto meno discutibili, a mio modestissimo parere. La democrazia
repubblicana che nasceva dalle ceneri del fascismo e dallo slancio
resistenziale era certamente segnata dal monopolio politico del
'sistema dei
partiti , soprattutto di quei grandi partiti di massa insediati in
larghe
aree del Paese come strumenti di aggregazione sociale, prim ancora che
di
mobilitazione politica. Un quadro che escludeva e marginalizzava le
grandi
tradizioni laiche (tra le quali quella radicale, che si individuava come
nuovo soggetto politico autonomo nel 1955, dopo una scissione dal
partito
liberale del gruppo legato a Pannunzio). La stessa sovranità popolare
sancita nell art. 1 della Costituzione subiva questa presenza e, nella
sostanza, risultava mediata dall azione dei partiti. La sovranità, in
altre
parole, spettava al popolo, ma veniva di fatto esercitata da queste
speciali
associazioni che conosciamo con il nome di partiti politici. Ma poteva
essere altrimenti in un Paese non solo devastato dalla guerra, ma privo
di
un vero e proprio tessuto unitario, di un compiuto senso
dell appartenenza
nazionale. Gli italiani, prima di sentirsi tali, guardavano a se stessi
in
mille altri modi: per appartenenze regionali, politiche, professionali,
confessionali.
L egemonia politica esercitata dal PCI e dalla DC era, in questo senso,
effetto e non causa della scarsa nazionalizzazione (vi invito a leggere
quello che Paolo Farneti, studioso non certo comunista, ma
liberalsocialista, scriveva circa il ritardo secolare italiano nel
processo
di Nation-building): un egemonia, cioè, esercitata dalle due grandi
culture
politiche nazionalmente sleali, poiché trovavano la propria
legittimazione
in referenti internazionalistici (il movimento operaio internazionale e
il
suo stato guida; l universalismo cattolico < il significato etimologico
della parola 'cattolico è 'universale < saldamente ancorato al suo
papa-re). In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una doppia lealtà.
Questa era la vera anomalia, innervata nel sangue e nella carne della
storia
concreta del nostro Paese. La 'prima repubblica (che brutta
espressione)
vedeva i cittadini partecipare alla vita politica per 'appartenenze
separate : si era comunisti o cattolici o socialisti prim ancora di
essere
italiani. In questo quadro, i grandi partiti di massa rappresentarono
quel
collante che la storia italiana non aveva ancora fornito: furono
garanzia
per la nazionalizzazione e l integrazione democratica delle masse nello
Stato, processo che Mussolini aveva tentato (fallendo) per via
totalitaria e
burocratica.
Il quadro che si presentava allora era quello di una democrazia debole,
spaventata dal conflitto, sempre lacerata da tensioni che ne
minacciavano le
fondamenta. Da qui il compromesso centrista che ha imbalsamato la
democrazia
italiana per un cinquantennio. Da qui lo stesso compromesso storico, che
Berlinguer pensò con un occhio rivolto ai fatti cileni del 1973. Da qui
anche la titubanza comunista sul referendum del 1974, al quale,
tuttavia,
diede un contributo decisivo in termini di mobilitazione e consenso.
Insomma, questo PCI è stato un protagonista della vicenda democratica
italiana; certo con mille errori ed un milione di contraddizioni; certo
con
ambiguità ed un moralismo a volte assai fastidioso. Ma ci deve pur
essere
una ragione se quel protagonismo, caro Amedeo, in fondo c è stato.
Forse a
causa di una straordinaria capacità mimetica di Togliatti? Può darsi.
L uomo
era assai intelligente, educato alla dura scuola del Komintern, del
quale
era stato segretario negli anni più bui dello stalinismo. Lo stesso
uomo,
tuttavia, che negli anni dell avvento del fascismo, mentre tanta parte
del
ceto politico liberale disertava, decideva di continuare la sua
difficile
militanza. Ed era poco più di un ragazzo quando, insieme a pochi altri,
partecipava all iniziativa di quel gruppetto di ordinovisti torinesi che
ispirarono l occupazione delle fabbriche nel 1920. Gobetti raccontava
così
quei giorni: 'Siamo di fronte a uno dei fenomeni più schiettamente
autonomistici che abbiano saputo prodursi nell Italia moderna. Chi
fuori da
ogni pregiudizio di partito, pensoso degli effetti della crisi
postbellica
che è crisi di volontà, coerenza, di libertà, confidi ancora in una
ripresa
del movimento rivoluzionario interrotto dal Risorgimento che penetri
finalmente nello spirito delle masse popolari e le svegli alla libertà,
dovrebbe scorgere in questi sentimenti e in queste prove la via maestra
della lotta politica futura [S] Essi [i giovani comunisti torinesi]
videro
nel movimento operaio un valore liberistico. Se il loro esperimento è
fallito resta tuttavia uno dei più nobili sforzi che si siano tentati
per
rinnovare la nostra vita politica .
Con questo non volgio cancellare né nascondere le tragedie che sono
parte
integrante della storia del movimento comunista italiano ed
internazionale.
Ma, forse, non solo di tragedia si tratta. Solo questo volgio dire.
Io mi iscrivevo alla FGCI verso la fine del 1981 (avevo 16 anni), dopo
quello che la pubblicistica dell epoca ricorda come Olo strappo di
Berlinguer: mi riferisco alle dichiarazioni del segretario comunista sui
fatti di Polonia e il colpo di Stato di Jaruselsky. L idea che il
socialismo
si costruisse nella libertà e nella democrazia, o non c era alcuna
possibilità di farlo, è il 'mito fondativo della scelta di campo di
tutta
la mia generazione politica. Era vero già allora, non dovemmo aspettare
l 89
per dirlo. Per questo non ho mai sopportato Occhetto e la rimozione
della
memoria che egli teorizza come base della svolta che sanciva la fine del
PCI.
Va bene leggere 'I crimini del comunismo , per quanto non sia un fatto
inedito una ricerca di questo genere, tutt altro che confinata in case
editrici semisconosciute. Quello che mi permetterei di consigliare è
anche
la lettura di altri libri: per esempio le 'Lettere dei condannati a
morte
della Resistenza . Un testo forse un fuori moda per il revisionismo a
tutti
i costi, ma certo emblematico di un etica del sacrificio e del dovere
che ha
salvato dal baratro il nostro paese. 'Una vita in schiavitù è meglio non
viverla , scriveva ai figli il comunista Pietro Benedetti il 29 aprile
1944
(anche lui non dovvette aspettare il 1989), pochi giorni prima di essere
fucilato. Un affermazione che fa il paio con quella di Gobetti che,
nella
'Rivoluzione Liberale , dichiarava il suo fastidio per l ignavia dei
più,
poiché 'solo chi sa combattere merita la libertà . Gramsci, con la
stessa
enfasi, nel 1917, dichiarava ne 'La città futura , il suo odio per gli
indifferenti.
E anche per questa ragione, per il dovere di coltivare questo
specialissimo
'odio nei confronti dell indifferenza, che bisogna continuare a
discutere,
anche animatamente. Per andare oltre lo sfogo e salvaguardare le nostre
differenze d opinione come un valore democratico irrinunciabile.
Gianni Cerchia