La procreazione assistita pone dei problemi che le regole giuridiche tradizionali non sono in grado di trattare. Vi è quindi bisogno di regole nuove, che siano il risultato della estensione dei principi giuridici condivisi ad una realtà completamente nuova. Le nuove regole dovranno assicurare che l'orizzonte delle possibilità tecnologiche venga sempre ricompreso dentro il principio fondamentale della certezza del diritto. Coloro che vorranno ricorrere alla procreazione assistita dovranno essere sempre messi in grado di conoscere le conseguenze delle loro decisioni sul piano delle loro responsabilità verso i figli generati, verso gli eventuali coniugi o conviventi, e verso la società. Questo implicherà verosimilmente un mutamento delle norme che definiscono la natura della paternità/maternità e della famiglia, anche in una direzione di non discriminazione sulla base del sesso. Noi reputiamo che questa evoluzione sia assolutamente necessaria, e che sarebbe un grave errore se, sotto la spinta di specifiche morali di stampo religioso, si finisse per lasciare vuoti e incertezze normative in presenza delle quali la procreazione assistita perderebbe parte importante della sua possibilità di aumentare le "chances" di vita di tutti. Allo stesso tempo riteniamo che un ruolo centrale debba venire attribuito alla nozione di "consenso informato", perché senza di esso i diritti degli individui che accedono alla procreazione assistita rischiano di essere dei diritti meramente formali. Più in generale, la diffusione di una informazione corretta sulle possibilità e sulle conseguenze - per genitori e nascituri - della procreazione assistita ha una funzione essenziale affinché i cittadini siano messi nella condizione di poter scegliere consapevolmente se farvi ricorso o non farvi ricorso. Dare o non dare questa informazione da parte delle istituzioni pubbliche e private non è una scelta neutrale ma ha un valore costituzionale e morale di primaria importanza. La necessità di evitare dan
ni certi o altamente probabili nei confronti di individui specifici o della società nel suo complesso è particolarmente rilevante quando si tratta di ambiti, come la procreazione assistita, in cui vengono applicate nuove conoscenze e nuove tecnologie di grandi potenzialità ma delle quali solo una parte delle conseguenze sono note. La semplice applicazione di un principio di "utilitarismo negativo", che impone di minimizzare le sofferenze umane, giustifica quindi la necessità di norme giuridiche che pongano limiti all'orizzonte delle possibilità tecnologiche. Questo significa che le norme giuridiche dovranno verosimilmente comportare dei limiti alla selezione dei gameti e degli embrioni, come pure dei limiti agli interventi di ingegneria genetica. Ma le ragioni di tali limiti non stanno nella affermazione di un principio astratto di "sacralità della vita", che come tale - si pensi alla questione dello statuto etico e ontologico dell'embrione - è riconosciuto soltanto da alcune
visioni morali, ma nella necessità di evitare conseguenze negative per la società. Questi limiti dunque non dovranno estendersi sino alla proibizione di qualsiasi intervento di tipo genetico, ma soltanto di quegli interventi che possono risultare in conseguenze negative inaccettabili, quali la discriminazione tra individui su base biologica.