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Conferenza Rivoluzione liberale
Nardinocchi Marco - 12 maggio 1998
LETTERA APERTA DI DONATO DE RENZIS

Ricevo e con piacere posto la seguente lettera aperta di Donato De Renzis, con la preghiera di prestare attenzione ad essa ed all'appello conclusivo.

Marco Nardinocchi

LETTERA APERTA

ALL'ON. MARCO PANNELLA

Carissimo Marco,

pochi mesi sono trascorsi da quella difficile stagione, la cui asprezza

fu felicemente contrassegnata dalla metafora (o divenuta tale)

dell'interrogativo "ma perch ". Molte, per non dire tutte, delle

difficoltß incontrate dal nostro movimento credo siano tutte dentro la

risposta al "ma perch " e allo scioglimento del suo connotato

metaforico. Pi· di un qualcuno ha sostenuto, e tra questi Gregory

Bateson, che bisogna resistere alla tentazione, o alla pretesa, di

voler sciogliere, o risolvere, razionalmente il contenuto di quella

cultura, che veste gli abiti e le immagini del linguaggio delle

metafore. Non prudente, anzi pu essere pericolosamente temeraria, la

pretenziosa volontß di ridurre in termini di solare razionalitß, ci

che si presenta con i lineamenti deformati e mediati di un velo, che

opacizza i contorni e rende l'oggetto sfumato e non identificabile.

Meglio il dionisiaco che l'apollineo, perch col pretendere di tradurre

il primo con gli strumenti del secondo, si potrebbero evocare i

riflessi di quelle mostruositß da noi espulse e espunte e la cui

immagine non saremmo capaci di reggere e sopportare. Ma questo, pi·

propriamente, dovrebbe valere per le ritualitß delle religioni, le

quali tutte, in vario grado, hanno bisogno delle culture dei tab· per

impedire, e forse a ragione nel loro ambito e per le terapie che esse

assicurano alle nevrosi collettive, di chiudere i diritti della ragione

entro confini circoscritti.

LE RAGIONI DEL POSSIBILE CONTRO IL PROBABILE.

Spesso tu ami affermare le ragioni del "possibile contro il probabile."

Io penso che questa contrapposizione contenga qualche elemento di

rigiditß di troppo. Il problema sta sempre, come tu insegni, nella

contestualizzazione. Metodologicamente credo che esistono due modalitß

del modo d'essere della probabilitß nella vicenda politica e negli

accadimenti umani e sociali.

Per la prima di questa la probabilitß la semplice, inerte e

inespressiva forma, che assume lo "status quo". Essa il sembiante

mortale che pu assumere la vita, una sorta di sepolcreto imbiancato,

una umanitß di anime morte, deambulanti senza meta o scopo se non

quello dell'utile immediato, di chi folgorato dall'evidenza dell'albero

rimane cieco di fronte alla foresta. In tali circostanze non so quanto

possa valere il principio del "fare ci che si pu nell'accadere del

ci che deve". Penso che in tali circostanze l'azione "il fare," pur

apparendo come determinato dalla possibilitß del soggetto, sia in

realtß fortemente condizionato dalla mera probabilitß. E ci credo sia

dimostrabile, se si considera che in questa formula l'elemento di

volontarismo, in qualche misura finisca per prevalere sulla riflessione

razionale, l'eccesso di soggettivitß sul contenuto dell'oggetto, il

pathos della metafora sul logos del discorso. La letteratura marxista,

ha rappresentato storicamente e teoricamente questo luogo traducendolo

nella formula della " presenza dell'oggettivitß dei bisogni nelle

masse, ma nella mancanza della soggettiva consapevolezza di essi".

Credo che questo rappresenti la traduzione ideologica perniciosissima

di un contenuto assiomatico, per il quale non solo esiste la veritß, ma

di questa qualcuno depositario, e suo dovere imperioso sia quella di

diffonderla. Non inutile a tale riguardo citare le parole di quello

che io ritengo essere un grande radicale di questo secolo, Bertrand

Russell. Egli scrive: "Liberale non colui il quale dice 'questo

vero'. Liberale colui che dice ' sono incline a credere che nelle

attuali circostanze questa, probabilmente sia l'opinione migliore". Con

ci non intendo assolutamente disconoscere il valore conoscitivo

intrinseco allo statuto del pathos, a vantaggio di un razionalismo

elementare, primitivistico nella sua essenzialitß, e forse, pi·

congruamente, da esprimersi e meglio comunicabile come

razionalizzazione dell'esistente. Credo che la condizione del "poter

fare" del soggetto, posta di fronte e contrapposta alla condizione

della necessitß e del dovere essere delle cose, occulti la relazione di

contesto che tra di essi si determina, perch pur vero che il poter

fare del soggetto sempre posto sotto l'azione condizionante del dover

essere della storia, o delle storie, non solo come memoria della

"cultura e delle culture o della civiltß e delle civiltß", ma anche

come memoria della vita biologica e etologica. Per concludere su questo

punto credo che se il probabile, come inerte e morta espressione delle

cose, prevale nel corso degli accadimenti, allora la stessa

possibilitß, contenuta nel poter fare del soggetto, vincolata ad essa

e da essa determinato. Nella ricorrenza di un caso siffatto, varrebbe

la pena di aspettare attivamente "tempi migliori". In tale attesa

attiva, si perderebbe sicuramente il lato estetico dell'aspettazione,

ma non quello di saggezza.

LA SCELTA DEL PROBABILE PER IL POSSIBILE

Una seconda modalitß del modo d'essere della probabilitß quella

secondo la quale il probabile tende a coincidere con il possibile.

Questo credo sia il caso che dovrebbe maggiormente interessarci. Pu

infatti accadere che il nostro possibile coincida con il probabile.

Quando ci accade non detto che la speranza del possibile si presenti

con lo stesso fascino che si produce nell'aspettazione del luogo

"possibile" che non c' , ma che si desidera ardentemente che ci fosse.

In tal caso nella deformitß del probabile, pur nella meschinitß e

povertß delle forme che esso assume, si pu nascondere una ricchezza di

motivi di vita e di bellezza, per i quali ben vale la fatica di

stringere alleanze con esso, avvicinarsi ad esso per forzare le porte

strette e le resistenze, che angustiano la realizzazione e

l'affermazione di quelle condizioni di libertß che rendono la vita

umana interessante e degna di essere vissuta. Nella irriducibilitß

della inconciliabilitß dell'opposizione del possibile contro il

probabile c' qualcosa che ha a che fare pi· con il sacro che con il

profano, pi· con il teologico che con il razionale, o ragionevole,

senso e misura nella valutazione dei fatti. Insomma l'inconciliabilitß

tra la categoria della possibilitß e quella della probabilitß e la

lotta irriducibile tra di essi, impedisce il costituirsi di una pratica

politica capace di modificare seriamente lo status quo. La frattura tra

possibilitß e probabilitß a me pare che si manifesta in questi due

anni, attraverso un nostro modo di fare politica, che ha oscillato da

un lato, tra la proposizione di un olismo dai forti richiami, delle

suggestioni da te evocate con il linguaggio che ti proprio e che si

opposto come "possibile speranza", contro il probabile del polo-ulivo,

e dall'altro un riduzionismo negli obiettivi nella concreta pratica

politica. Un'empirismo troppo ripiegato su stesso, o per meglio dire

divenire tale, non tanto e non solo per i contenuti propri di esso (mi

riferisco ai quesiti referendari della fase della richiesta di incontro

con Confindustria, e della rivoluzione dei sette milioni di partite

iva), di per s sensati e veri, nella loro intrinseca capacitß di

concreta attuazione di riforma liberale, ma inseguiti e perseguiti con

un'ostinazione, che finiva per allontanarli e allontanarci, dalla

condizione costitutiva di principi e suggestioni di natura generale e

propri del pensiero e dell'opera radicali. Ho sempre creduto che

all'epoca delle battaglie sul divorzio e l'aborto, il rischio di tale

separatezza veniva scongiurato non tanto e non solo per gli atti

politici prodotti dalla intelligenza politica radicale, ma anche perch

l'obbiettivo di per s era capace di armonizzare, come in una statua

greca, il particolare e il generale, l'esigenza concreta di un

cambiamento nelle condizioni materiali dell'esistenza e la conquista di

una condizione pi· ampia di cultura e di civiltß "del diritto e dei

dritti", come tu ami felicemente dire. Ti chiedo : quanto di

"probabile" vi era nella battaglia sul divorzio e sull'aborto? E quanto

di questo probabile era tutt'uno con il possibile in esso contenuto?

Quanto di probabile vi era nelle posizioni dell'allora PCI, che si

dovette tradurre nella ragioni del possibile, al punto da doversi, suo

malgrado, e sebbene per un tempo limitato, identificare completamente

con esso? E' capitato spesso in questi ultimi due anni dover

sperimentare a fronte della liberazione di una grande quantitß di

energia nell'impegno politico, una serie ininterrotta di sconfitte. Tu

spesso hai motivato la scelta degli obiettivi e le proposte di

attivazione politica delle energie liberali e riformatrici con

riferimenti a quanto si fece nelle stagioni di lotta per il divorzio e

l'aborto. Se cosø non stato evidentemente deve esservi qualcosa di

sbagliato nella connessione tra la fase che stiamo vivendo e quella

della stagione di lotte radicali su divorzio e aborto. L'analisi dei

mutamenti di condizione storica sicuramente complessa, ma non tale da

impedirne la possibilitß Questo non il luogo per una trattazione

completa di essa. Credo per di poter dire che la frantumazione

ideologica seguita alla caduta del muro di Berlino e la caduta dei

regimi comunisti, ha sicuramente introdotto elementi forti di

de-ideologizzazione della lotta politica in Italia e di scompaginamento

delle etnie politiche di appartenenza. Le conseguenze di questo

processo devono ancora manifestarsi in tutta la loro portata. La

singolaritß e paradossalitß del caso italiano, consiste nel fatto che

l'avvio del cambiamento in senso laico e liberale, si ammantato degli

abiti e dei fasti del linguaggio e dei costumi dei post comunisti e dei

post democristiani. E' incredibile, ma nessuno avrebbe mai potuto

immaginare che la politica italiana avrebbe assunto le forme del

compromesso storico, in una condizione storico politica che ne nega

alla radice la stessa possibilitß di esistenza. Ma questo non dovrebbe

indurre a forme di pessimismo catastrofista, come sempre pi· spesso

accade, piuttosto la storia che si diverte a prendersi gioco dei

'loro', e forse anche di qualcuno dei nostri, teoremi ben costruiti, e

delle commedie piuttosto miserande di quanti, nella loro ottusa

pigrizia, riescono sempre a trovare le conferme alle proprie

'tradizioni', al pluralismo delle tante anime da cui sono vissuti, e

che, inevitabilmente, vengono da lontano e vanno lontano. Di quanti

affaticati viandanti cattolici, comunisti, democristiani,

post-comunisti, post-democristiani, comunisti democratici, verdi

comunisti, socialisti, laburisti, liberali, laici e via narrando, sono

popolate le italiche contrade. Vengono da lontano vanno lontano e per

sempre qui stanno! Forse se Radio Radicale raccontasse un po' di meno

degli approdi di questi itineranti non sarebbe male. Ma questa

un'altra 'storia'. La storia mette in scena una commedia e da noi si

assiste alla rappresentazione scambiandola per una tragedia

shakespeariana!

L'estinzione dei fuochi dell'ideologia, costituisce un processo che si

concluderß con la consunzione completa dei materiali, che ne hanno

alimentato la furia devastatrice di questi ultimi tre secoli di storia

europea e mondiale. Abbiamo buone ragioni per credere con il pessimismo

dell'intelligenza, che a dispetto di tutte le previsioni orwelliane e

di tutti i profeti di apocalissi dei 'valori', lo sviluppo della

comunicazione in tempo reale, l'estrema flessibilitß delle tecnologia

degli strumenti della trasmissione di essi, posseggano intrinsecamente

meccanismi di rifiuto di governo autoritario nel controllo dei flussi

informativi su scala planetaria. E' probabile che la grande questione

della ricerca di nuove forme di spiritualitß dell'occidente, anticipate

dalla filosofia 'demenziale' di un Nietzsche, e posta dai classici

della scienza del XX secolo, da Freud, a Monod nella forma della

ridefinizione di una " nuova alleanza" tra l'uomo e il mondo ( e forse

tra l'uomo e dio) e all'interno delle stesse relazioni tra gli

individui e le comunitß, oggi intravede i segni di un possibile e

storicamente concreto avvio.

Chiedo: tutto questo non tocca in una qualche misura anche l'ideologia

radicale'? E' forse scandaloso parlare di una ideologia radicale. Anche

l'esperienza radicale stata dentro un mondo, in cui i furori

ideologici sembravano non trovare ragioni di risoluzione. A meno di

ritenere metodologicamente che la storia sia incapace di

condizionamenti di un qualche tipo, rispetto ad alcuni frutti della sua

propria gestazione. A me pare che il pensiero e la pratica radicale,

che in larga misura stato opera della creativitß della tua

intelligenza, nella fase di massima espressione sinergica delle

devastazioni dell'ideologia del tempo da cui stiamo uscendo, ne abbia

rappresentato la diversitß, se non al negazione pi· forte, che si

potesse immaginare. Epper paradossalmente pare che oggi nelle

condizioni migliori per la praticabilitß e lo sviluppo di quella

pratica e di quel pensiero, in un contesto di progressiva incivilimento

antiideologico, affiorano segni di una 'incomprensibile' stanchezza nel

concepire e nell'esprimere la nostra azione, che in una qualche misura

sembra ideologizzarsi e il segno di questa difficoltß 'ideologica',

testimoniato dal continuo affiorare di appelli sempre pi·

caratterizzati in senso volontaristico. Cosa pensi di questa

affermazione di Russell, secondo la quale "L'essenza della visione

liberale non sta in quali opinioni vengono sostenute, ma nel come

vengono sostenute; invece di essere sostenute dogmaticamente, esse sono

sostenute sperimentalmente e con la consapevolezza che nuovi dati di

fatto possono, in qualsiasi momento, portare al loro abbandono"? Tutte

le storie devono essere sottoposte all'usura del tempo della storia, e

quindi anche la nostra. Viviamo in un paese che nella sua epistemologia

genetica deve sempre raccontare le sue storie, come se queste dovessero

godere di uno speciale statuto atemporale e astorico, e forse

antistorico. Si perla e si straparla di tradizioni di anime, di

ricchezze di tradizioni politiche e culturali, e se ne parla cosø,

perch questo e un paese di gesuiti e di teologi. C' pi· gesuitismo e

teologia, pi· corporativismo individualistico e clericale nel laicismo

della politica nazionale di quanto ve ne sia, e dio sa quanto, nelle

sagrestie vaticane. E noi? Noi siamo fuori di questa particolare

epistemologia genetica? Siamo fuori dell'habitat antropologico

italiota? Credo che riguardo ai contenuti della memoria storica

radicale sicuramente vera la nostra estraneitß. Meno forse riguardo

al modo in cui in questi ultimi anni offriamo i nostri contenuti e

lottiamo per l'affermazione di essi. Il rischio di una nostra

ideologizzazione non riferita ai contenuti delle lotte radicali e

riformatrici, ma alla scelta delle forme dei metodi con cui ne parliamo

e combattiamo. Tali forme hanno il grave limite di espellere

aprioristicamente e sistematicamente il probabile dal possibile. Nel

far ci rischiamo di non avvertire, con la necessaria consapevolezza,

che cosø si consegue l'impossibilitß della possibilitß.

TRA SACRO E PROFANO

Anche per noi si pone un problema di aggiornamento. C' da essere assai

pi· ottimisti rispetto al destino di quanto il pensiero e la pratica

radicale hanno prodotto nella cultura e nel common sense, non solo in

Italia, ma anche in Europa. E' davvero singolare che proprio chi ha

aperto spiragli di luce nella strada della riforma e delle riforme

liberali, rischia oggi di divenire cieco rispetto a se stesso e dinanzi

a tutto quanto ha contribuito a determinare.

A volte mi capita di credere che i santi e la santitß, che la 'bontß' e

l'amore' dei santi e della santitß, siano storicamente stati l'altra

faccia che in cui si pu convertire la ferocia, la crudeltß e la

spietatezza. Esse, credo che siano le due facce di un unico stato

psichico, che ha come motivazione possente la ricerca di una qualche

forma di immortalitß. Se il santo non avesse la certezza

dell'immortalitß sia pure nella forma della gloria e dell'esistenza

celeste, la quale del resto comprende e compendia, riassume e risolve,

comunque anche quella terrena, difficilmente potrebbe sostenere il peso

del martirio. In fondo nella follia della santitß c' una intrinseca

'ragionevolezza', che nasce dalla certezza che il sacrificio estremo

della vita, costituisce la condizione necessaria per vita. Nel gesto

estremo c' una sostanziale convenienza: si sacrifica la parte per

l'ottenimento del tutto, o almeno cosø si crede. La crudeltß dei

malvagi, nelle forme di pi· spietate e consumata ferocia pu produrre

un gusto e un piacere di vita, nell'orgiastico delirio di una

conquistata, mortale immortalitß. C' una curiosa e interessante

notazione psicologica di Kiekegaard a proposito della malvagitß di

Nerone. Infatti egli scrive che la tipologia di Nerone di quella che

sente la vita, e pu sentire la vita, solo facendo il male nei

confronti dei propri simili. Leggendo questo luogo di Kiekegaard mi

venne da pensare, che forse se Nerone avesse avuto la possibilitß di

sperimentare un contesto capace di favorire la santitß, probabilmente

avrebbe soddisfatto la brama di sentirsi vivo, facendo un gran bene. Ma

questo forse non che un altro modo per esprimere quella grande veritß

cosø a lungo, e paradossalmente, vilipesa soprattutto dai cristiani:

"Chi senza peccato scagli la prima pietra". E lo sapeva cosø bene chi

pronunci quella frase, che la consapevolezza del destino nihilista del

mondo, lo port a perseguire con la pi· grande ostinazione la croce.

Tant' che il buon Nietzsche con ragione pot dire: "l'unico cristiano

morto sulla croce." E verosimile che la bontß dei santi e la crudeltß

dei malvagi, pur diverse nel modo in cui sono avvertite dalla coscienza

individuale possono avere dunque una origine comune. A volte mi sono

domandato e ancora mi domando quanto nella vita politica, e nella vita

di chi pi· direttamente di essa si occupa, questi meccanismi giochino

un ruolo decisivo nelle psico- dinamiche dei gruppi organizzati e nel

rapporto tra leaderschip e supporters. Ricordo i dibattiti interni al

PCI.

C'era uno stereotipo linguistico dentro il quale chiunque interveniva

non faceva altro che dire, o meglio non dire, tutto ci che gli altri,

dal relatore in poi, dicevano, o meglio non dicevano. Ricordo quanto

fosse difficile per me capire il senso di quei flatus vocis. Era una

liturgia e si officiavano riti di religiositß lessicale. Non era un

linguaggio che usava metafore. Era qualcosa di pi·. Era lo stesso

linguaggio che si trasmutava in metafore pura e vuota di un non senso

assoluto, la cui unica conseguenza pratica era il monopolio del potere

dei chierici. Oggi poco mutato. Quale menzogna pi· grande di quella

per la quale in politica le parole sono pietre! Se si prende un

discorso di un D'Alema e gli si tolgono gli aggettivi che consentono

l'identificazione del partito di appartenenza, e li si rimpiazza con

quelli di un discorso di un Fini facile trovare nel discorso di un

D'Alema i contenuti della concezione della politica di un Fini e

viceversa. L'oscuritß di quei linguaaggi, o meglio di quell'unico

linguaggio, serve a nascondere una sola cosa, la nevrosi del potere, o

per il potere. E tra noi? V' tra noi un linguaggio o una molteplicitß

di linguaggi. I contenuti di rottura delle lotte radicali nel nostro

paese si sono espressi nell'invenzione di linguaggi, ai quali tu hai

dato il pi· straordinario contributo. Il problema per noi tutti

quello di impedire che esso corra il rischio di divenire un flatus

vocis, e questo indipendentemente dalla nostra intenzionale volontß,

che si possa rattrappire nell'impotenza estremistica dello stereotipo.

Se questo sciaguratamente accadrß, allora avremo dato noi il contributo

pi· duraturo alla distruzione, non solo di un patrimonio di lotte, ma

di una scuola di cultura politica e di invenzione di un linguaggio

della politica, che lontano dall'essere un prodotto finito,

suscettibile, nella sua classicitß, di sviluppi e invenzioni capaci di

modificare una tradizione autoritaria di oscuritß, e oscurantismo,

nella comunicazione politica del nostro paese. L'urgenza dell'umiltß

richiede che le tante intelligenze che pure ci sono vengano messe in

condizione di poter accedere a questo patrimonio. Gli atti veri di

umiltß possono venire solo da chi capace di uno sguardo pi· ampio,

non solo sull'orizzonte della 'politica', ma della vita stessa.

Credo che forse pu esservi luogo per un tipo di santitß, che non si

pu qualificare secondo le categorie del bene e del male. Una santitß

di tipo francescana, che per certi aspetti sceglie la stupiditß

piuttosto che l'intelligenza. Stupiditß nel suo contenuto

etimologicamente pi· vero, della condizione della stupefazione di

fronte al mondo e dei suoi accadimenti. Una stupida, non violenta, e

stupita, santitß che, come quella di Francesco non rinuncia all'azione,

ma che capace di comprendere che, nella scelta generale della

rinuncia v' l'obbligo, questo si, al di lß del bene e del male, come

valore caratterizzante questa santitß, di rendere partecipe gli altri

del proprio linguaggio e dei significati che questo esprime scegliendo

e facendosi scegliere, e cogliere in questo il segno e il senso di una

pi· duratura vittoria.

UNA CONCLUSIONE

Che fare? Di certo non possiamo continuare di sconfitte in sconfitte.

Se ci accade, di certo non pu essere solo per la perfidia, che pure

c' , dell'avversario. C' qualcosa che non funzione anche in noi. A

quella che pu essere la traccia, che pu portare ai motivi di fondo

delle nostre difficoltß, penso di avervi in una qualche misura

accennata.

L'urgenza della fase che stiamo attraversando mi pare che richieda in

tempi rapidissimi di fare tre essenzialissime cose:

1)entrare senza indugi nell'attuale fase referendaria, fornendo i

moduli relativi ai cinque referendum a tutti i compagni che ne fanno

richiesta e si rendono disponibili per la costituzione di tavoli di

raccolta;

2)stringere rapporti con la neonata formazione di Democrazia Liberale,

e con quanti altri possibile, concordando con essi modalitß

organizzative e politiche per la compagna referendaria. Ci pu

consentire di sventare il rischio gravissimo che la cultura di

criminalitß giudiziaria, metabolizzi perfino la pratica referendaria e

alcuni dei temi pi· alti di libertß e di giustizia della tradizione di

lotte radicali;

3)convocare, subito, in piena campagna referendaria, una assise

nazionale per la costituzione di un soggetto politico, che ponga

seriamente il problema politico dell'unificazione dell'area radicale,

referendaria e liberale.

E' superfluo osservare che questo il modo migliore per impedire la

soppressione in corso d'opera di radio radicale.

Non so come accoglierai queste brevi e sommarie note. Di una cosa sono

assolutamente persuaso. Quello che hai fatto per tutti noi, e quello

che noi abbiamo fatto nella modestia dei nostri mezzi, verrß spazzato

via dalla memoria storica, se non si chiude una fase della storia

radicale per riaprirla sul secolo che si affaccia. Di lß del duemila

c' un villaggio, divenire sempre pi· globale. Nel quale il grande

problema sarß quello dell'informazione libera, e responsabile rispetto

alla sempre pi· necessaria diffusione delle conoscenze e alla crescita

della saggezza, o delle saggezze. In questo processo la nostra storia

diventa essenziale.

Per questo compito la tua opera essenziale. Se poi non dovesse essere

cosø, allora questo esito sarebbe una prova ulteriore del fatto che in

queste nostre cose umane, agiscono leggi implacabili, che per uno

strano e imperscrutabile destino sono destinate tutte alla distruzione.

Salvo 'post festum', impegnarsi nella ricostruzione razionale

dell'accaduto. Lo diceva qualcuno, mi pare di ricordare Hegel: "Tutto

ci che esiste degno di perire". E questo pu anche avere il valore

di una ineluttabile profezia, perch la nottola di Minerva continui a

spiccare il suo volo crepuscolare.

CAMPOBASSO 10/05/98

Con grande affetto e gratitudine

Donato De Renzis

Paolo Spina

Antonio Marchitelli

 
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