Ricevo e con piacere posto la seguente lettera aperta di Donato De Renzis, con la preghiera di prestare attenzione ad essa ed all'appello conclusivo.
Marco Nardinocchi
LETTERA APERTA
ALL'ON. MARCO PANNELLA
Carissimo Marco,
pochi mesi sono trascorsi da quella difficile stagione, la cui asprezza
fu felicemente contrassegnata dalla metafora (o divenuta tale)
dell'interrogativo "ma perch ". Molte, per non dire tutte, delle
difficoltß incontrate dal nostro movimento credo siano tutte dentro la
risposta al "ma perch " e allo scioglimento del suo connotato
metaforico. Pi· di un qualcuno ha sostenuto, e tra questi Gregory
Bateson, che bisogna resistere alla tentazione, o alla pretesa, di
voler sciogliere, o risolvere, razionalmente il contenuto di quella
cultura, che veste gli abiti e le immagini del linguaggio delle
metafore. Non prudente, anzi pu essere pericolosamente temeraria, la
pretenziosa volontß di ridurre in termini di solare razionalitß, ci
che si presenta con i lineamenti deformati e mediati di un velo, che
opacizza i contorni e rende l'oggetto sfumato e non identificabile.
Meglio il dionisiaco che l'apollineo, perch col pretendere di tradurre
il primo con gli strumenti del secondo, si potrebbero evocare i
riflessi di quelle mostruositß da noi espulse e espunte e la cui
immagine non saremmo capaci di reggere e sopportare. Ma questo, pi·
propriamente, dovrebbe valere per le ritualitß delle religioni, le
quali tutte, in vario grado, hanno bisogno delle culture dei tab· per
impedire, e forse a ragione nel loro ambito e per le terapie che esse
assicurano alle nevrosi collettive, di chiudere i diritti della ragione
entro confini circoscritti.
LE RAGIONI DEL POSSIBILE CONTRO IL PROBABILE.
Spesso tu ami affermare le ragioni del "possibile contro il probabile."
Io penso che questa contrapposizione contenga qualche elemento di
rigiditß di troppo. Il problema sta sempre, come tu insegni, nella
contestualizzazione. Metodologicamente credo che esistono due modalitß
del modo d'essere della probabilitß nella vicenda politica e negli
accadimenti umani e sociali.
Per la prima di questa la probabilitß la semplice, inerte e
inespressiva forma, che assume lo "status quo". Essa il sembiante
mortale che pu assumere la vita, una sorta di sepolcreto imbiancato,
una umanitß di anime morte, deambulanti senza meta o scopo se non
quello dell'utile immediato, di chi folgorato dall'evidenza dell'albero
rimane cieco di fronte alla foresta. In tali circostanze non so quanto
possa valere il principio del "fare ci che si pu nell'accadere del
ci che deve". Penso che in tali circostanze l'azione "il fare," pur
apparendo come determinato dalla possibilitß del soggetto, sia in
realtß fortemente condizionato dalla mera probabilitß. E ci credo sia
dimostrabile, se si considera che in questa formula l'elemento di
volontarismo, in qualche misura finisca per prevalere sulla riflessione
razionale, l'eccesso di soggettivitß sul contenuto dell'oggetto, il
pathos della metafora sul logos del discorso. La letteratura marxista,
ha rappresentato storicamente e teoricamente questo luogo traducendolo
nella formula della " presenza dell'oggettivitß dei bisogni nelle
masse, ma nella mancanza della soggettiva consapevolezza di essi".
Credo che questo rappresenti la traduzione ideologica perniciosissima
di un contenuto assiomatico, per il quale non solo esiste la veritß, ma
di questa qualcuno depositario, e suo dovere imperioso sia quella di
diffonderla. Non inutile a tale riguardo citare le parole di quello
che io ritengo essere un grande radicale di questo secolo, Bertrand
Russell. Egli scrive: "Liberale non colui il quale dice 'questo
vero'. Liberale colui che dice ' sono incline a credere che nelle
attuali circostanze questa, probabilmente sia l'opinione migliore". Con
ci non intendo assolutamente disconoscere il valore conoscitivo
intrinseco allo statuto del pathos, a vantaggio di un razionalismo
elementare, primitivistico nella sua essenzialitß, e forse, pi·
congruamente, da esprimersi e meglio comunicabile come
razionalizzazione dell'esistente. Credo che la condizione del "poter
fare" del soggetto, posta di fronte e contrapposta alla condizione
della necessitß e del dovere essere delle cose, occulti la relazione di
contesto che tra di essi si determina, perch pur vero che il poter
fare del soggetto sempre posto sotto l'azione condizionante del dover
essere della storia, o delle storie, non solo come memoria della
"cultura e delle culture o della civiltß e delle civiltß", ma anche
come memoria della vita biologica e etologica. Per concludere su questo
punto credo che se il probabile, come inerte e morta espressione delle
cose, prevale nel corso degli accadimenti, allora la stessa
possibilitß, contenuta nel poter fare del soggetto, vincolata ad essa
e da essa determinato. Nella ricorrenza di un caso siffatto, varrebbe
la pena di aspettare attivamente "tempi migliori". In tale attesa
attiva, si perderebbe sicuramente il lato estetico dell'aspettazione,
ma non quello di saggezza.
LA SCELTA DEL PROBABILE PER IL POSSIBILE
Una seconda modalitß del modo d'essere della probabilitß quella
secondo la quale il probabile tende a coincidere con il possibile.
Questo credo sia il caso che dovrebbe maggiormente interessarci. Pu
infatti accadere che il nostro possibile coincida con il probabile.
Quando ci accade non detto che la speranza del possibile si presenti
con lo stesso fascino che si produce nell'aspettazione del luogo
"possibile" che non c' , ma che si desidera ardentemente che ci fosse.
In tal caso nella deformitß del probabile, pur nella meschinitß e
povertß delle forme che esso assume, si pu nascondere una ricchezza di
motivi di vita e di bellezza, per i quali ben vale la fatica di
stringere alleanze con esso, avvicinarsi ad esso per forzare le porte
strette e le resistenze, che angustiano la realizzazione e
l'affermazione di quelle condizioni di libertß che rendono la vita
umana interessante e degna di essere vissuta. Nella irriducibilitß
della inconciliabilitß dell'opposizione del possibile contro il
probabile c' qualcosa che ha a che fare pi· con il sacro che con il
profano, pi· con il teologico che con il razionale, o ragionevole,
senso e misura nella valutazione dei fatti. Insomma l'inconciliabilitß
tra la categoria della possibilitß e quella della probabilitß e la
lotta irriducibile tra di essi, impedisce il costituirsi di una pratica
politica capace di modificare seriamente lo status quo. La frattura tra
possibilitß e probabilitß a me pare che si manifesta in questi due
anni, attraverso un nostro modo di fare politica, che ha oscillato da
un lato, tra la proposizione di un olismo dai forti richiami, delle
suggestioni da te evocate con il linguaggio che ti proprio e che si
opposto come "possibile speranza", contro il probabile del polo-ulivo,
e dall'altro un riduzionismo negli obiettivi nella concreta pratica
politica. Un'empirismo troppo ripiegato su stesso, o per meglio dire
divenire tale, non tanto e non solo per i contenuti propri di esso (mi
riferisco ai quesiti referendari della fase della richiesta di incontro
con Confindustria, e della rivoluzione dei sette milioni di partite
iva), di per s sensati e veri, nella loro intrinseca capacitß di
concreta attuazione di riforma liberale, ma inseguiti e perseguiti con
un'ostinazione, che finiva per allontanarli e allontanarci, dalla
condizione costitutiva di principi e suggestioni di natura generale e
propri del pensiero e dell'opera radicali. Ho sempre creduto che
all'epoca delle battaglie sul divorzio e l'aborto, il rischio di tale
separatezza veniva scongiurato non tanto e non solo per gli atti
politici prodotti dalla intelligenza politica radicale, ma anche perch
l'obbiettivo di per s era capace di armonizzare, come in una statua
greca, il particolare e il generale, l'esigenza concreta di un
cambiamento nelle condizioni materiali dell'esistenza e la conquista di
una condizione pi· ampia di cultura e di civiltß "del diritto e dei
dritti", come tu ami felicemente dire. Ti chiedo : quanto di
"probabile" vi era nella battaglia sul divorzio e sull'aborto? E quanto
di questo probabile era tutt'uno con il possibile in esso contenuto?
Quanto di probabile vi era nelle posizioni dell'allora PCI, che si
dovette tradurre nella ragioni del possibile, al punto da doversi, suo
malgrado, e sebbene per un tempo limitato, identificare completamente
con esso? E' capitato spesso in questi ultimi due anni dover
sperimentare a fronte della liberazione di una grande quantitß di
energia nell'impegno politico, una serie ininterrotta di sconfitte. Tu
spesso hai motivato la scelta degli obiettivi e le proposte di
attivazione politica delle energie liberali e riformatrici con
riferimenti a quanto si fece nelle stagioni di lotta per il divorzio e
l'aborto. Se cosø non stato evidentemente deve esservi qualcosa di
sbagliato nella connessione tra la fase che stiamo vivendo e quella
della stagione di lotte radicali su divorzio e aborto. L'analisi dei
mutamenti di condizione storica sicuramente complessa, ma non tale da
impedirne la possibilitß Questo non il luogo per una trattazione
completa di essa. Credo per di poter dire che la frantumazione
ideologica seguita alla caduta del muro di Berlino e la caduta dei
regimi comunisti, ha sicuramente introdotto elementi forti di
de-ideologizzazione della lotta politica in Italia e di scompaginamento
delle etnie politiche di appartenenza. Le conseguenze di questo
processo devono ancora manifestarsi in tutta la loro portata. La
singolaritß e paradossalitß del caso italiano, consiste nel fatto che
l'avvio del cambiamento in senso laico e liberale, si ammantato degli
abiti e dei fasti del linguaggio e dei costumi dei post comunisti e dei
post democristiani. E' incredibile, ma nessuno avrebbe mai potuto
immaginare che la politica italiana avrebbe assunto le forme del
compromesso storico, in una condizione storico politica che ne nega
alla radice la stessa possibilitß di esistenza. Ma questo non dovrebbe
indurre a forme di pessimismo catastrofista, come sempre pi· spesso
accade, piuttosto la storia che si diverte a prendersi gioco dei
'loro', e forse anche di qualcuno dei nostri, teoremi ben costruiti, e
delle commedie piuttosto miserande di quanti, nella loro ottusa
pigrizia, riescono sempre a trovare le conferme alle proprie
'tradizioni', al pluralismo delle tante anime da cui sono vissuti, e
che, inevitabilmente, vengono da lontano e vanno lontano. Di quanti
affaticati viandanti cattolici, comunisti, democristiani,
post-comunisti, post-democristiani, comunisti democratici, verdi
comunisti, socialisti, laburisti, liberali, laici e via narrando, sono
popolate le italiche contrade. Vengono da lontano vanno lontano e per
sempre qui stanno! Forse se Radio Radicale raccontasse un po' di meno
degli approdi di questi itineranti non sarebbe male. Ma questa
un'altra 'storia'. La storia mette in scena una commedia e da noi si
assiste alla rappresentazione scambiandola per una tragedia
shakespeariana!
L'estinzione dei fuochi dell'ideologia, costituisce un processo che si
concluderß con la consunzione completa dei materiali, che ne hanno
alimentato la furia devastatrice di questi ultimi tre secoli di storia
europea e mondiale. Abbiamo buone ragioni per credere con il pessimismo
dell'intelligenza, che a dispetto di tutte le previsioni orwelliane e
di tutti i profeti di apocalissi dei 'valori', lo sviluppo della
comunicazione in tempo reale, l'estrema flessibilitß delle tecnologia
degli strumenti della trasmissione di essi, posseggano intrinsecamente
meccanismi di rifiuto di governo autoritario nel controllo dei flussi
informativi su scala planetaria. E' probabile che la grande questione
della ricerca di nuove forme di spiritualitß dell'occidente, anticipate
dalla filosofia 'demenziale' di un Nietzsche, e posta dai classici
della scienza del XX secolo, da Freud, a Monod nella forma della
ridefinizione di una " nuova alleanza" tra l'uomo e il mondo ( e forse
tra l'uomo e dio) e all'interno delle stesse relazioni tra gli
individui e le comunitß, oggi intravede i segni di un possibile e
storicamente concreto avvio.
Chiedo: tutto questo non tocca in una qualche misura anche l'ideologia
radicale'? E' forse scandaloso parlare di una ideologia radicale. Anche
l'esperienza radicale stata dentro un mondo, in cui i furori
ideologici sembravano non trovare ragioni di risoluzione. A meno di
ritenere metodologicamente che la storia sia incapace di
condizionamenti di un qualche tipo, rispetto ad alcuni frutti della sua
propria gestazione. A me pare che il pensiero e la pratica radicale,
che in larga misura stato opera della creativitß della tua
intelligenza, nella fase di massima espressione sinergica delle
devastazioni dell'ideologia del tempo da cui stiamo uscendo, ne abbia
rappresentato la diversitß, se non al negazione pi· forte, che si
potesse immaginare. Epper paradossalmente pare che oggi nelle
condizioni migliori per la praticabilitß e lo sviluppo di quella
pratica e di quel pensiero, in un contesto di progressiva incivilimento
antiideologico, affiorano segni di una 'incomprensibile' stanchezza nel
concepire e nell'esprimere la nostra azione, che in una qualche misura
sembra ideologizzarsi e il segno di questa difficoltß 'ideologica',
testimoniato dal continuo affiorare di appelli sempre pi·
caratterizzati in senso volontaristico. Cosa pensi di questa
affermazione di Russell, secondo la quale "L'essenza della visione
liberale non sta in quali opinioni vengono sostenute, ma nel come
vengono sostenute; invece di essere sostenute dogmaticamente, esse sono
sostenute sperimentalmente e con la consapevolezza che nuovi dati di
fatto possono, in qualsiasi momento, portare al loro abbandono"? Tutte
le storie devono essere sottoposte all'usura del tempo della storia, e
quindi anche la nostra. Viviamo in un paese che nella sua epistemologia
genetica deve sempre raccontare le sue storie, come se queste dovessero
godere di uno speciale statuto atemporale e astorico, e forse
antistorico. Si perla e si straparla di tradizioni di anime, di
ricchezze di tradizioni politiche e culturali, e se ne parla cosø,
perch questo e un paese di gesuiti e di teologi. C' pi· gesuitismo e
teologia, pi· corporativismo individualistico e clericale nel laicismo
della politica nazionale di quanto ve ne sia, e dio sa quanto, nelle
sagrestie vaticane. E noi? Noi siamo fuori di questa particolare
epistemologia genetica? Siamo fuori dell'habitat antropologico
italiota? Credo che riguardo ai contenuti della memoria storica
radicale sicuramente vera la nostra estraneitß. Meno forse riguardo
al modo in cui in questi ultimi anni offriamo i nostri contenuti e
lottiamo per l'affermazione di essi. Il rischio di una nostra
ideologizzazione non riferita ai contenuti delle lotte radicali e
riformatrici, ma alla scelta delle forme dei metodi con cui ne parliamo
e combattiamo. Tali forme hanno il grave limite di espellere
aprioristicamente e sistematicamente il probabile dal possibile. Nel
far ci rischiamo di non avvertire, con la necessaria consapevolezza,
che cosø si consegue l'impossibilitß della possibilitß.
TRA SACRO E PROFANO
Anche per noi si pone un problema di aggiornamento. C' da essere assai
pi· ottimisti rispetto al destino di quanto il pensiero e la pratica
radicale hanno prodotto nella cultura e nel common sense, non solo in
Italia, ma anche in Europa. E' davvero singolare che proprio chi ha
aperto spiragli di luce nella strada della riforma e delle riforme
liberali, rischia oggi di divenire cieco rispetto a se stesso e dinanzi
a tutto quanto ha contribuito a determinare.
A volte mi capita di credere che i santi e la santitß, che la 'bontß' e
l'amore' dei santi e della santitß, siano storicamente stati l'altra
faccia che in cui si pu convertire la ferocia, la crudeltß e la
spietatezza. Esse, credo che siano le due facce di un unico stato
psichico, che ha come motivazione possente la ricerca di una qualche
forma di immortalitß. Se il santo non avesse la certezza
dell'immortalitß sia pure nella forma della gloria e dell'esistenza
celeste, la quale del resto comprende e compendia, riassume e risolve,
comunque anche quella terrena, difficilmente potrebbe sostenere il peso
del martirio. In fondo nella follia della santitß c' una intrinseca
'ragionevolezza', che nasce dalla certezza che il sacrificio estremo
della vita, costituisce la condizione necessaria per vita. Nel gesto
estremo c' una sostanziale convenienza: si sacrifica la parte per
l'ottenimento del tutto, o almeno cosø si crede. La crudeltß dei
malvagi, nelle forme di pi· spietate e consumata ferocia pu produrre
un gusto e un piacere di vita, nell'orgiastico delirio di una
conquistata, mortale immortalitß. C' una curiosa e interessante
notazione psicologica di Kiekegaard a proposito della malvagitß di
Nerone. Infatti egli scrive che la tipologia di Nerone di quella che
sente la vita, e pu sentire la vita, solo facendo il male nei
confronti dei propri simili. Leggendo questo luogo di Kiekegaard mi
venne da pensare, che forse se Nerone avesse avuto la possibilitß di
sperimentare un contesto capace di favorire la santitß, probabilmente
avrebbe soddisfatto la brama di sentirsi vivo, facendo un gran bene. Ma
questo forse non che un altro modo per esprimere quella grande veritß
cosø a lungo, e paradossalmente, vilipesa soprattutto dai cristiani:
"Chi senza peccato scagli la prima pietra". E lo sapeva cosø bene chi
pronunci quella frase, che la consapevolezza del destino nihilista del
mondo, lo port a perseguire con la pi· grande ostinazione la croce.
Tant' che il buon Nietzsche con ragione pot dire: "l'unico cristiano
morto sulla croce." E verosimile che la bontß dei santi e la crudeltß
dei malvagi, pur diverse nel modo in cui sono avvertite dalla coscienza
individuale possono avere dunque una origine comune. A volte mi sono
domandato e ancora mi domando quanto nella vita politica, e nella vita
di chi pi· direttamente di essa si occupa, questi meccanismi giochino
un ruolo decisivo nelle psico- dinamiche dei gruppi organizzati e nel
rapporto tra leaderschip e supporters. Ricordo i dibattiti interni al
PCI.
C'era uno stereotipo linguistico dentro il quale chiunque interveniva
non faceva altro che dire, o meglio non dire, tutto ci che gli altri,
dal relatore in poi, dicevano, o meglio non dicevano. Ricordo quanto
fosse difficile per me capire il senso di quei flatus vocis. Era una
liturgia e si officiavano riti di religiositß lessicale. Non era un
linguaggio che usava metafore. Era qualcosa di pi·. Era lo stesso
linguaggio che si trasmutava in metafore pura e vuota di un non senso
assoluto, la cui unica conseguenza pratica era il monopolio del potere
dei chierici. Oggi poco mutato. Quale menzogna pi· grande di quella
per la quale in politica le parole sono pietre! Se si prende un
discorso di un D'Alema e gli si tolgono gli aggettivi che consentono
l'identificazione del partito di appartenenza, e li si rimpiazza con
quelli di un discorso di un Fini facile trovare nel discorso di un
D'Alema i contenuti della concezione della politica di un Fini e
viceversa. L'oscuritß di quei linguaaggi, o meglio di quell'unico
linguaggio, serve a nascondere una sola cosa, la nevrosi del potere, o
per il potere. E tra noi? V' tra noi un linguaggio o una molteplicitß
di linguaggi. I contenuti di rottura delle lotte radicali nel nostro
paese si sono espressi nell'invenzione di linguaggi, ai quali tu hai
dato il pi· straordinario contributo. Il problema per noi tutti
quello di impedire che esso corra il rischio di divenire un flatus
vocis, e questo indipendentemente dalla nostra intenzionale volontß,
che si possa rattrappire nell'impotenza estremistica dello stereotipo.
Se questo sciaguratamente accadrß, allora avremo dato noi il contributo
pi· duraturo alla distruzione, non solo di un patrimonio di lotte, ma
di una scuola di cultura politica e di invenzione di un linguaggio
della politica, che lontano dall'essere un prodotto finito,
suscettibile, nella sua classicitß, di sviluppi e invenzioni capaci di
modificare una tradizione autoritaria di oscuritß, e oscurantismo,
nella comunicazione politica del nostro paese. L'urgenza dell'umiltß
richiede che le tante intelligenze che pure ci sono vengano messe in
condizione di poter accedere a questo patrimonio. Gli atti veri di
umiltß possono venire solo da chi capace di uno sguardo pi· ampio,
non solo sull'orizzonte della 'politica', ma della vita stessa.
Credo che forse pu esservi luogo per un tipo di santitß, che non si
pu qualificare secondo le categorie del bene e del male. Una santitß
di tipo francescana, che per certi aspetti sceglie la stupiditß
piuttosto che l'intelligenza. Stupiditß nel suo contenuto
etimologicamente pi· vero, della condizione della stupefazione di
fronte al mondo e dei suoi accadimenti. Una stupida, non violenta, e
stupita, santitß che, come quella di Francesco non rinuncia all'azione,
ma che capace di comprendere che, nella scelta generale della
rinuncia v' l'obbligo, questo si, al di lß del bene e del male, come
valore caratterizzante questa santitß, di rendere partecipe gli altri
del proprio linguaggio e dei significati che questo esprime scegliendo
e facendosi scegliere, e cogliere in questo il segno e il senso di una
pi· duratura vittoria.
UNA CONCLUSIONE
Che fare? Di certo non possiamo continuare di sconfitte in sconfitte.
Se ci accade, di certo non pu essere solo per la perfidia, che pure
c' , dell'avversario. C' qualcosa che non funzione anche in noi. A
quella che pu essere la traccia, che pu portare ai motivi di fondo
delle nostre difficoltß, penso di avervi in una qualche misura
accennata.
L'urgenza della fase che stiamo attraversando mi pare che richieda in
tempi rapidissimi di fare tre essenzialissime cose:
1)entrare senza indugi nell'attuale fase referendaria, fornendo i
moduli relativi ai cinque referendum a tutti i compagni che ne fanno
richiesta e si rendono disponibili per la costituzione di tavoli di
raccolta;
2)stringere rapporti con la neonata formazione di Democrazia Liberale,
e con quanti altri possibile, concordando con essi modalitß
organizzative e politiche per la compagna referendaria. Ci pu
consentire di sventare il rischio gravissimo che la cultura di
criminalitß giudiziaria, metabolizzi perfino la pratica referendaria e
alcuni dei temi pi· alti di libertß e di giustizia della tradizione di
lotte radicali;
3)convocare, subito, in piena campagna referendaria, una assise
nazionale per la costituzione di un soggetto politico, che ponga
seriamente il problema politico dell'unificazione dell'area radicale,
referendaria e liberale.
E' superfluo osservare che questo il modo migliore per impedire la
soppressione in corso d'opera di radio radicale.
Non so come accoglierai queste brevi e sommarie note. Di una cosa sono
assolutamente persuaso. Quello che hai fatto per tutti noi, e quello
che noi abbiamo fatto nella modestia dei nostri mezzi, verrß spazzato
via dalla memoria storica, se non si chiude una fase della storia
radicale per riaprirla sul secolo che si affaccia. Di lß del duemila
c' un villaggio, divenire sempre pi· globale. Nel quale il grande
problema sarß quello dell'informazione libera, e responsabile rispetto
alla sempre pi· necessaria diffusione delle conoscenze e alla crescita
della saggezza, o delle saggezze. In questo processo la nostra storia
diventa essenziale.
Per questo compito la tua opera essenziale. Se poi non dovesse essere
cosø, allora questo esito sarebbe una prova ulteriore del fatto che in
queste nostre cose umane, agiscono leggi implacabili, che per uno
strano e imperscrutabile destino sono destinate tutte alla distruzione.
Salvo 'post festum', impegnarsi nella ricostruzione razionale
dell'accaduto. Lo diceva qualcuno, mi pare di ricordare Hegel: "Tutto
ci che esiste degno di perire". E questo pu anche avere il valore
di una ineluttabile profezia, perch la nottola di Minerva continui a
spiccare il suo volo crepuscolare.
CAMPOBASSO 10/05/98
Con grande affetto e gratitudine
Donato De Renzis
Paolo Spina
Antonio Marchitelli