Il dibattito sulle riforme e la stanchezza degli elettoriDa IL CORRIERE DELLA SERA, 13 maggio 1998
di PAOLO FRANCHI,
Forse Mario Segni esagera quando afferma che la proposta di legge elettorale cui sta lavorando Sergio Mattarella e' uno schiaffo inferto dalla partitocrazia ai cittadini. Ma esagera soprattutto perche', almeno sinora, la pressione dell'opinione pubblica per un'ulteriore, radicale trasformazione in senso maggioritario del nostro sistema politico non sembra paragonabile neanche alla lontana con la spinta referendaria del '91 e del '93. La rivoluzione, se di rivoluzione si e' mai trattato, e' stanca; i cittadini, che a torto o a ragione se ne erano sentiti protagonisti, in gran parte ormai disincantati e disillusi. Come se non bastasse, gli stati maggiori, diciamo cosi', "rivoluzionari" si spendono in discussioni e distinguo. Fondati, certo, ma di difficilissima comprensione per un uditorio presumibilmente incline a messaggi piu' semplici e chiari. Proviamo a riassumere per sommi capi, correndo coscientemente i rischi del caso. Il padre di tutti i referendum, Marco Pannella, e' notoriamente fautore di un sistem
a elettorale uninominale maggioritario a un turno, e dunque si fa promotore di ben tre consultazioni popolari in tal senso. Segni, Luigi Abete, Achille Occhetto e vari liberali di Forza Italia, promotori dell'altra iniziativa referendaria, a proposito di turno secco e doppio turno preferiscono tenersi sul vago, anche perche' in materia non la pensano tutti allo stesso modo, anzi. Antonio Di Pietro, anche lui, eccome, della partita, e' invece strenuo sostenitore del doppio turno di collegio: e quindi alla raccolta delle firme per questo referendum ne associa una seconda in favore di una legge di iniziativa popolare pro doppio turno. Non basta. Un altro referendum, stavolta sul cosiddetto scorporo, lo ha in serbo il costituzionalista della Sinistra democratica Stefano Passigli. Che esorta, nell'attesa, a firmare solo per la legge dipietrista. Chiediamo scusa in anticipo per errori e omissioni. Ma ci chiediamo pure quante elettrici e quanti elettori tengano ancora a mente, giunti a questo punto, qual e' il tema
esatto del contendere, e cioe' l'abolizione o meno del venticinque per cento di quota proporzionale cosi' come lo garantisce la legge attualmente in vigore. A destra, al centro e a sinistra, gli entusiasti fautori della nuova proposta Mattarella sul doppio turno di coalizione, che mette nero su bianco la sostanza dell'accordo di casa Letta, fanno comunque mostra di ignorarlo, il merito del problema. Non si capirebbe altrimenti cosa puo' indurre un fine costituzionalista come Leopoldo Elia a vedere una risposta ai quesiti referendari antiproporzionalisti in una legge che porterebbe addirittura a quota quarantacinque per cento i deputati non eletti su base uninominale e maggioritaria.
Il punto di vista di questo giornale, favorevole a un sistema elettorale maggioritario fondato sul doppio turno di collegio, e integrato da una ragionevole quota proporzionale che garantisca qualcosa di piu' del "diritto di tribuna" per forze politiche significative che non intendano coalizzarsi, e' noto da anni. Cosi' come sono note le critiche, anche assai aspre, mosse su queste colonne, in primo luogo da Giovanni Sartori, al maggioritario a turno unico caro a Pannella, certo, ma anche a tutti coloro, e non sono pochi, che caldeggiano (o sognano) un'evoluzione in senso bipartitico, piuttosto che bipolare, della democrazia italiana. E tuttavia un'opinione pubblica consapevole, nelle forme in cui questa puo' esprimersi anche attorno ai tavoli dei referendum, ben prima del compito di pronunciarsi nel merito dell'assetto politico e istituzionale prossimo venturo, ha quello di indicare una direzione di marcia. Di chiarire prima di tutto, insomma, se e' un esito in senso compiutamente maggioritario della nostra
transizione che comunque vuole, esercitando sul Parlamento la piu' esplicita delle pressioni in questo senso; o se ormai di tutto questo si appassionano pressoche' solo gli aficionados. Nel secondo caso, che non ci sentiamo affatto di escludere, sara' bene mettersi sin d'ora l'anima in pace. Lasciando la politique politicienne a scegliere tra il fallimento delle riforme e riforme fallimentari.