Da IL CORRIERE DELLA SERA, 13 maggio 1998di FRANCESCO MERLO,
E' uno di quei drammi nazionali dove si annida il comico, l'incanto della frivolezza, l'abbandono del ductus logico in favore delle analogie incongrue, della magica ambiguita'. Ed e' infatti una malinconia saturnina quella che hanno suscitato Giorgio Napolitano e Giovanni Maria Flick ieri al Senato della Repubblica, con la grinta imbronciata di Cesare Salvi e di Massimo D'Alema che, "completamente insoddisfatti" per le parole dei due ministri, hanno confermato "piena e totale fiducia" a entrambi, secondo la famosa formula giuridica del "qui lo dico e qui lo nego", bene illustrata al paragrafo due, comma quarto dell'autorevole trattato "Mamma, Ciccio mi tocca; toccami Ciccio, che mamma non c'e'".
Ma nessuno che conosca le loro biografie politiche e morali puo' seriamente sostenere che i ministri Napolitano e Flick e magari pure la Cassazione e le procure di Milano, con i giudici Umberto Loi e Francesco Saverio Borrelli, siano conniventi e complici di Licio Gelli e della sua P2, o abbiano trescato con il mondo delle logge coperte. Con buona pace del Polo e delle tesi complottiste di Tina Anselmi, a corbellare candidamente governo e magistrati, servizi segreti e poliziotti e' stato il buon senso, il talentaccio piu' banale e piu' maligno del gran maestro dei falsari. Date ai Nostri un assassino "mediocre" e ve lo acchiapperanno in dieci minuti. Dategli qualcuno che loro "sentano", e sapranno come trattarlo, purche' non sia il truffatore del secolo, il burattinaio, l'uomo dai mille volti, il re della patacca, pericoloso golpista e struggente poeta che si autocandida al Nobel, diavolo che assoldava i terroristi bombaroli e Toto' che vendeva la Fontana di Trevi a Maurizio Costanzo e ad Angelo Rizzoli.
Secondo Francesco Saverio Borrelli, procuratore della Repubblica di Milano, "questo e' un caso in cui non e' possibile attribuire colpe a nessuno". La fuga di Gelli sarebbe stata dunque una cattiva azione senza autore, perche' "se ci fossero state colpe delle forze dell'ordine me ne sarei presa la responsabilita'" ha scandito Napolitano, e figuriamoci se si sente responsabile il suo collega Flick che pratica la suprema giustizia del tacere, al punto che, come ha detto di lui il suo amico e sottosegretario Giuseppe Ayala, "e' un piacere ascoltare il silenzio di quell'uomo". Sulla fuga di Gelli trionfa, su tutte, la spiegazione sorniona e dadaista di Borrelli: "Sono inconvenienti che vanno messi in conto in un sistema di liberta' e dunque viva la liberta'".
Senza che ci sia nulla dietro, ne' sotto ne' sopra, ci rimane pero', torva e bellissima, questa vicenda che, ricostruita con citrullo sussiego, sembra un discorso a vanvera, la danza rallentata e apatica di un vacillante manicomio metafisico. La sentenza, che risale al 22 aprile, e' stata spedita il 24 aprile con la posta ordinaria, che in Italia equivale al messaggio in bottiglia affidato al mare: crederci ha un sapore tardoromantico, vagamente mistico. E infatti, come ha raccontato il procuratore generale Umberto Loi, il 29 di aprile a Milano si sono ricordati che doveva ancora arrivare qualcosa per posta e cosi' qualcuno ha telefonato alla Cassazione: "Colleghi, perche' non ci mandate un fax?". Ovviamente a Milano si sono messi al lavoro di buona lena "e ci sono voluti due giorni per fare i conteggi sui condoni e sulla detenzione gia' scontata". Si arriva cosi' al Primo maggio che e' "il giorno per chi lotta con coraggio": vacanza. Il 2 maggio, poi, era sabato. E il 3 era domenica.
Infine, come una freccia dall'arco, il 4 maggio parte per Arezzo, via fax, l'ordine di cattura per Licio Gelli. Che gia' la sera del 21 aprile, giorno del suo compleanno, come avrebbe fatto qualsiasi altro pregiudicato, anche meno venerabile, aveva riunito i parenti al ristorante "Acquamatta" di Capolona e, dopo l'ultimo brindisi, si era dileguato. L'indomani mattina, quella della sentenza, i suoi avvocati avevano inondato i magistrati con un mare di certificati medici, spediti da Milano, da Arezzo e da Catania, secondo i quali Gelli soffre di tutto, vive malinconico e torvo tra depressioni e meteorismo, insufficienze coronariche e insonnia cronica.
"Fuga gravissima" aveva subito commentato Pietro Folena aggiungendo virilmente che ormai s'era distesa "un'ombra sul Viminale e sul governo". E invece anche lui ha ieri confermato "piena e totale fiducia...". Ed e' inutile rileggere gli scritti violentissimi che Folena dedicava a Gelli sull'Unita', le dimissioni che a ogni beffa del venerabile lui e il suo partito chiedevano, "le complicita' e le connivenze" che denunciavano. Sono fatti cosi' questi ragazzi che ci governavano, questi inguaribili doppiopesisti: dietro l'inadeguatezza dei loro predecessori scoprivano coraggiosamente i complotti, dietro la propria inadeguatezza coraggiosamente scoprono che esistono le cattive azioni senza autore, le malefatte senza malfattori, i colpevoli dall'innocenza adamantina.
E Licio Gelli? Adesso lo cercano nelle cliniche di tutta Italia, spediscono fax, incriminano i suoi medici curanti... A leggere le sue biografie questo settantanovenne supercriminale e' stato al tempo stesso repubblichino di Salo', partigiano e agente segreto degli americani, e' evaso persino da una prigione svizzera, e ha passato la vita fuggendo nei cofani delle auto o solo facendosi crescere i baffi. Perfettamente a suo agio nel Paese della commedia plautina, degli scambi di persona, del "paghi due e prendi tre", delle doppie facce e dei vestiti rivoltati, il vecchio gaglioffo Licio Gelli in questa vicenda e', purtroppo per tutti noi, il solo a farci una qualche, perversa forma di bella figura.