Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 18 lug. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Rivoluzione liberale
Radio Radicale Radio - 26 maggio 1998
Critica Marxista n. 1-2/1996 (sintesi testo)
Il sistema delle comunicazioni

di Vincenzo Vita

Non servono difese del passato, ma neppure nuove retoriche liberiste

I mass media sono un fenomeno anticipatore e richiedono

una sinistra critica e più attenta: né apocalittica né integrata

LE PECULIARITA' DELLA SITUAZIONE ITALIANA

In Italia lo stato delle cose è particolarmente inquietante. Arretratezze e oligopoli sono la carta da visita di un sistema tanto potente nei suoi intrecci extramediali (politica, finanza, lobbies) quanto debole strutturalmente.

Inoltre, il vecchio asse pubblico-privato è in via di superamento, a causa di una fortissima spinta privatizzatrice.

La crisi finanziaria tocca tutti i settori, a cominciare dal più classico, l'editoria. La prevista fusione tra Gemina e Ferfin, entrata in crisi prima di nascere, è emblematica, per i risvolti giudiziari che ha assunto e per la crisi che ha investito la Rcs Rizzoli. Il caso ha, inoltre, riaperto il tema delle concentrazioni anche nella carta stampata. Il problema del controllo di alcune testate storiche dell'editoria italiana (Corriere della Sera, Stampa, Messaggero, Gazzetta dello Sport) è tornato di attualità, ridando centralità alla spesso dimenticata editoria scritta, poco presente nelle

politiche di riforma e, ed esempio, negli stessi capitoli di spesa previsti dalla legge finanziaria in corso. L'annunciato (ancorché rinviato) trust dell'editoria si unisce agli altri già esistenti: RAI, Stet-Telecom, Fininvest-Mediaset, con la assai discutibile (e poco discussa) vicenda del salvataggio ad opera del gruppo di Berlusconi di un intervento a dir poco opinabile delle banche.

La concentrazione in Italia e negli altri paesi dell'occidente sembra segnare la situazione odierna dei media. E' una concentrazione pesantissima, ma figlia di un sistema povero e sempre piùdominato dal capitale finanziario. Anche la crisi della Olivetti ha rilevanti riflessi in sé e per i destini del gruppo editoriale Espresso-Repubblica, anch'esso peraltro influenzato dalla galassia di Mediobanca.

La grande ristrutturazione internazionale trova l'Italia, dunque, popolata di colossi che hanno conquistato posizioni di quasi-monopolio, pur in assenza di una adeguata struttura finanziaria e soprattutto di una presenza importante nei mercati internazionali.

Nel riprendere seriamente la discussione, evitando certe analisi apodittiche del passato, ma al tempo stesso rifuggendo dalla retorica liberista, occorre in primo luogo interrogarsi a fondo sui processi di privatizzazione.

Innanzitutto, perché privatizzare? Privatizzando, si usa dire, si amplia il mercato, compresso per troppo tempo dai monopoli pubblici. Potrebbe essere vero, considerando - però - un mercato astratto che - ad esempio in Italia - non si vede concretamente. Certamente il mercato non è

aiutato dal mantenimento del monopolio sia pubblico sia privato che frena senza dubbio l'evoluzione.

Qual' è la soluzione, quindi? Il punto di partenza di un progetto improntato ad uno sviluppo equilibrato e orientato ad arricchire le opportunità critiche dei cittadini non può continuare ad essere la natura societaria delle aziende interessate. Pubblico e privato non sono - entrambi - riproducibili come sono cresciuti in una precedente era tecnica e in un'altra temperie storico-politica: le risorse produttive insite nelle tecnologie della comunicazione non rendono credibile il mantenimento dello spazio nazionale. Così, l'idea di intervento pubblico nel mercato

limitato all'ambito nazionale deve essere ricollocata e ripensata; non per negarla, bensì per superarne la forma antica, tradizionalmente legata all'equazione servizio pubblico = azienda a (totale) partecipazione statale. La STET, per parlare del caso più clamoroso, non può

continuare a rimanere tutta pubblica.

Non è in discussione, quindi, la privatizzazione. E' il modo in cui viene condotta a richiedere molte specificazioni. E chiarezza sui tempi. Perché il processo deve esaurirsi in un periodo così veloce, quale quello annunciato? L'entrata nel mercato di British Telecom è durata 9 anni. Ora, nel Regno Unito convivono tre gestori telefonici nazionali e molteplici operatori concessionari locali del servizio televisivo via cavo. In Francia e in Germania i vecchi monopoli pubblici procedono con molta prudenza sulla strada della privatizzazione, mentre in USA e in Giappone esistono colossali progetti pubblici o semi-pubblici di sviluppo: le autostrade informatiche nei primi, il programma per realizzare entro il 2010 una grande base multimediale fondata sulla fibra ottica nel secondo.

Dunque, l'atteggiamento che finora ha accompagnato la politica di privatizzazione va rivisto, evitando, principalmente, che il tutto si risolva con la pura e semplice sostituzione del monopolio pubblico con un monopolio privato dei network providers. Non si può ostacolare la

privatizzazione in nome di un passato che non può rivivere, ma certamente occorre tutelare gli interessi del sistema nel suo complesso (imprese di base, gestori dei servizi, utenti professionali e consumatori diffusi).

Il mercato deve essere costituito e sollecitato, non può essere proclamato come se già si fosse dispiegato.

I CARATTERI DEL NUOVO SISTEMA

Il sistema da immaginare deve favorire l'evoluzione tecnica, l'offerta e le opportunità per i consumatori, il pluralismo, l'ampiezza e la qualità dell'industria culturale. Quest'ultimo è il capitolo più dolente. La produzione è assolutamente inadeguata e di questo è necessario occuparsi. C'è un deficit pauroso tra l'Italia e i paesi più forti nell'audiovisivo (Stati Uniti in particolare), che esige una vera nuova politica culturale.

La tutela del pluralismo e la concorrenza richiedono, inoltre, la formazione dell'Autorità per le comunicazioni, che dovrebbe evitare la costituzione di nuove e più rischiose posizioni dominanti.

L'Autorità, nella versione contenuta nel progetto in discussione presso la commissione speciale della Camera dei deputati sulla riforma del sistema radiotelevisivo, è un organo rilevante, impegnativo, un'innovazione ordinamentale significativa, che dovrebbe rovesciare la consueta tendenza ad avere una miriade di leggine e nessun efficiente organo di indirizzo e controllo.

L'Autorità deve essere collegiale e di emanazione parlamentare, in grado di esercitare forti poteri sanzionatori e di aggiornare via via con una propria specifica attività il rapporto con l'evoluzione tecnologica.

L'Autorità è un punto di passaggio essenziale per progettare democraticamente lo sviluppo. Non basta, però, un migliore assetto istituzionale per consentire al mercato di allargarsi.

Una misura non sufficiente, ma certo necessaria, è costituita dalla liberalizzazione delle infrastrutture e dei servizi di telecomunicazione, su cui interviene l'inadeguato testo in fase di dibattito presso la competente commissione della Camera dei deputati. La liberalizzazione è - come è noto - imposta dalle direttive emanate in sede comunitaria e deve essere, prima ancora, un beneficio per gli utenti. La liberalizzazione va intesa nel senso giusto. Significa, infatti, aprire

a più soggetti un mercato oggi bloccato dal monopolista pubblico. Telecom Italia, nel momento in cui annuncia il "progetto Socrate" per la cablatura in cinque anni di 10 milioni di utenti, rischia di vanificare ogni ipotesi di competizione se non si introducono regole e garanzie per tutti. Anche la crisi del gruppo Olivetti non è particolarmente rassicurante ai fini della concorrenza e del pluralismo, e le alleanze con gruppi internazionali non sembrano sufficienti a risollevare le sorti

dell'azienda in assenza di una strategia che recuperi la sua capacità autonoma di progettazione e produzione.

Per questo è indispensabile che il matrimonio tra televisione e computer non si concluda con un inedito "tripolio": RAI, Fininvest, Telecom Italia. Non andremmo nel futuro, ma ripiomberemmo nei peggiori anni '80. Tra l'altro, sono i trust in grado di produrre sviluppo?

In tal senso è necessario valutare iniziative differenziate per tutelare concorrenza e antitrust: chi controlla più di due reti televisive nazionali in chiaro non può entrare nei nuovi servizi trasmessi con il cavo e il satellite. Telecom, gestore nazionale della telefonia, non potrà fare televisione finché non si determinerà un vero assetto competitivo. L'Italia, anche in questo, non può scimmiottare ora gli Stati Uniti, dopo averne eluso per anni le norme e gli indirizzi antitrust.

...

POLITICA, SVILUPPO, CITTADINANZA

...

In questo periodo molto si parla di servizio universale, cioè del diritto di tutti a ricevere determinati servizi pubblici. Senza immaginare improbabili e un po' astratti collegamenti di tutti con tutti (nulla si inventa anche in tale campo), è comunque essenziale arricchire il panorama

comunicativo. Il servizio universale significa pari opportunità per il maggior numero possibile di cittadini, da realizzare attraverso un modello di concessioni per la posa dei cavi e di autorizzazioni per la gestione delle reti, in grado di evitare che zone ricche e aree sfavorite siano suddivise in modo manicheo.

...

Il concetto di servizio universale supererà in tendenza quello di servizio pubblico, non cancellandolo, bensì dando ad esso una versione più adatta all'evoluzione accelerata dell'ambiente tecnologico. Tutti, pubblica o privata che sia la formula societaria dell'impresa, hanno obblighi di servizio in un campo dove si gioca, spesso anche con spregiudicatezza, il futuro della democrazia. Le differenze di status, di opportunità creeranno nuove divisioni sociali, certo coincidenti con la tradizionale nomenclatura dei ceti e di gruppi, ma anche "trasversali".

...

Il fatturato della RAI è di circa 4200 miliardi di lire, mentre quello della Fininvest è di circa 3400 miliardi. Siamo sicuramente di fronte ad aziende che nel settore radiotelevisivo possono competere almeno a livello europeo.

...

Non è con la concentrazione interna che si sta nella concorrenza del mercato globale. Il "duopolio" RAI-Fininvest ha bloccato risorse tecniche e disponibilità finanziarie. Senza una vera politica proiettata a ricercare alleanze internazionali, non è pensabile immaginare un futuro vero

per l'industria italiana. La Stet ci ha provato con l'accordo IBM, che però presenta ancora aspetti oscuri. La Stet, lasciato il monopolio nazionale, non sarà destinata alla sconfitta, se saprà muoversi sulla scena estera. Così la RAI.

UNA NUOVA POLITICA INTERNAZIONALE

Tra l'altro, il tema internazionale è divenuto assai delicato, terreno di un vero conflitto brutale, anche se incruento. Per vigilare sulla formazione dei trust sovrannazionali è indispensabile che la comunità europea e quella internazionale si dotino di strumenti nuovi. Non basta certo il G7. Il commissario europeo Mario Monti ha avanzato l'ipotesi (giusta) di una direttiva sulle concentrazioni. E' indispensabile, inoltre, creare un polo produttivo nazionale di cinema, audiovisivi e di nuovi servizi, che potrebbe avere in Cinecittà il proprio punto di rilancio, in accordo con una RAI riformata e ristrutturata. Il piano recentemente definito dal governo sul gruppo cinematografico pubblico è insufficiente e - per alcuni versi - influenzato dalla solita moda delle privatizzazioni.

La RAI deve ritrovare, poi, le ragioni del suo essere servizio pubblico non già nella strenua e corporativa difesa dell'attuale situazione (tre reti televisive, dipendenza dalla maggioranza politica, mantenimento dello status quo), bensì ridefinendosi in azienda leader nel "multimediale": meno presente nell'etere e capace - invece - di una seria proiezione nei nuovi servizi. Un criterio simile o la Corte Costituzionale nel dicembre del 1994.

E' necessario per il bene del paese che il "duopolio" venga superato da una architettura multipolare, con un privato a più voci, un pubblico ripensato e una presenza locale forte, organizzata in consorzi. Un'area non soggetta al mercato è pensabile nella piccola emittenza, non essendo implicati né particolari flussi di risorse, né ingenti entità di frequenze. L'editoria locale è importantissima e deve essere rilanciata con provvedimenti ad hoc.

Il "pubblico" può, quindi, avere un ruolo, a patto - però - che riconverta la sua fisionomia organizzativa e societaria valorizzando la componente produttiva e qualificando l'offerta. Inoltre, la parziale privatizzazione (pur non resa obbligatoria dal referendum del giugno 1995) non è da

eludere, se vista in un'ottica di rilancio produttivo nella nuova era comunicativa.

Per questo, è indifferibile mutare i criteri di nomina del consiglio di amministrazione, che non è certo indicato -nella sua attuale composizione - ad orientare la nuova fase. L'odierno consiglio fu

il frutto di una logica perversa, vale a dire quella dell'occupazione della RAI da parte del "Polo" all'indomani delle elezioni del marzo '94. Va restituita al Parlamento, l'organismo sovrano della vita del paese, la funzione di eleggere il consiglio. Non si può sbloccare la situazione,

comunque, promuovendo una nuova lottizzazione e tornando alla situazione precedente alla legge di riforma del giugno del '93. La RAI deve diventare più autonoma, non subalterna all'uno

o all'altro dei poli.

...

La sinistra non può rimanere inerte. Di fronte a sé ha un avvenire rigoglioso se sa coniugare l'evoluzione delle tecniche, la riproduzione del sapere, alle forme della democrazia. Occorre combattere - con un progetto di cambiamento - il rischio di un nuovo autoritarismo fondato

sull'uso plebiscitario del video.

I caratteri dell'organizzazione politica cambiano e governare un simile processo è un compito importante oggi, quanto lo fu probabilmente il passaggio al "partito nuovo". Non si tratta di scardinare il carattere di massa della nostra politica, ma piuttosto di fare entrare in una sana

dialettica le strutture classiche con le forme organizzate in rete. E' indispensabile, insomma, aggiungere un capitolo al tessuto vitale della democrazia. E', in fondo, la prima riforma costituzionali da portare a termine.

fonteweb url (testo integrale): http://www.citinv.it/pubblicazioni/CRITICA_MARXISTA/1e2-1996/articolo1.html

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail