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Conferenza Rivoluzione liberale
Vernaglione Piero - 12 giugno 1998
Si resta un po' delusi quando il giornalista di RR preferito fa una tirata contro il capitalismo, sporco e cattivo, degna di posizioni "left wing" d'altri tempi. Ci vorrebbe un saggio per replicare alle affermazioni, talvolta apodittiche, che Claudio Landi ha svolto in conferenza. Dunque solo qualche breve chiosa. Immagino che quando ti riferisci agli "autorevoli economisti" tu alluda al tentativo, fatto da Oskar Lange nel 1936, di utilizzare il modello di equilibrio generale (di mercato puro) e il suo sistema di equazioni come procedura di un Ufficio centrale del piano. Ma quello, al di là dei vizi logici, è un modello matematico e astratto. Credo che siano liberisti altrettanto seri quegli autori che, sulla base di metodologie empiriche ed induttive (i Milton Friedman, i Buchanan, i Lucas) hanno dimostrato la superiore capacità di adattamento alle preferenze individuali e la maggior efficienza allocativa di un sistema di mercato rispetto ad un modello interventista. Non intendo celebrare le "magnifiche sor
ti e progressive" di un modello di mercato puro, ma mi sembra di individuare nelle tue argomentazioni un vecchio riflesso culturale, che attribuisce al mercato le conflittualità, gli antagonismi e le imperfezioni che appartengono invece agli uomini e alla realtà necessariamente imperfetta cui danno luogo. Per cui, con un vizio metodologicamente collettivista, si personifica il mercato, che non è altro che una rete di relazioni fra soggetti, e lo si trasforma in un "moloch" ostile e distruttivo. E contemporaneamente non si rilevano le contraddizioni, le inefficienze e gli arbitrii che cinquanta anni di intervento statale hanno generato nei paesi che lo hanno attuato: aumenti costanti della spesa pubblica; incrementi intollerabili della pressione fiscale che, considerando anche la fiscalità implicita, costituita dal disavanzo pubblico, hanno raggiunto valori pari al 60% del Pil; disincentivi agli investimenti e al lavoro; aumenti del costo del lavoro determinati dalla crescita degli oneri sociali necessari per

finanziare le prestazioni del Welfare, con conseguente riduzione della domanda di lavoro; spiazzamento degli investimenti privati; gonfiamento della burocrazia in seguito all'espansione degli apparati pubblici; sprechi derivanti dal venir meno dell'incentivo ad economizzare; offerta di servizi pubblici qualitativamente scadente; corporativizzazione dei sistemi sociali; e potrei continuare. Da qualche accenno radiofonico di Pannella avevo intuito che eri un keynesiano, ma sei troppo competente di economia per non avere la consapevolezza dell'impraticabilità oggi delle vecchie ricette keynesiane, che siano le politiche economiche di stabilizzazione o l'intervento pubblico volto a colmare presunte "carenze di domanda".

Infine, una considerazione sulla crisi asiatica: la sua origine è di natura finanziaria, e, soprattutto in Indonesia, Corea e Singapore, è stata determinata dai fallimenti di banche e finanziarie che avevano prestato denaro con criteri poco economici e molto politici. E' proprio il venir meno del principio di responsabilità causato dall'eliminazione del fallimento per le aziende di credito che induce gli operatori finanziari ad investire nelle attività a più alto rischio, sapendo essi che in caso di difficoltà le autorità pubbliche o l'FMI interverranno per "salvaguardare" i risparmiatori. Dunque è proprio l'esistenza di un elemento extra-mercato a provocare l'instabilità del sistema, e non il mercato (e questo vale per l'Asia come per il Banco di Napoli).

Con stima.

 
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