di Carmelo Palma
(L'Opinione, 18 giugno 1998)
In Germania un vasto schieramento di capi della polizia, sindaci, ministri regionali, anche di marca chiaramente democristiana, ha chiesto di adottare il 'modello svizzero' della somministrazione controllata dell'eroina. Per ragioni di fatto, e anche di principio. Non ne possono letteralmente più di ottenere risultati esattamente opposti agli obiettivi e non se la sentono più di far finta di nulla. Hanno capito che dal tunnel della droga si esce, ma da quello del proibizionismo no. E' quantomeno difficile considerarli, visto il ruolo, impenitenti libertari. Certo, c'è nella loro proposta un elemento di scandalo: danno dimostrazione di buon senso, mentre ai professionisti dell'antidroga è normalmente chiesto di dare dimostrazione di "virtù". I proibizionisti nostrani potranno anche, come spesso hanno fatto con noi, definirli 'criminali', ma rimane anche per loro il problema, e, soprattutto per loro, la responsabilità di una politica - quella proibizionista - che distrugge la legalità e alimenta la criminalità
.
In attesa che qualcuno (non mancherà, stiamone certi) interpreti questa proposta tedesca come un rigurgito "neonazista", bisognerà riflettere sul fatto che in Italia, se si eccettuano poche ed autorevolissime eccezioni, come quella del Procuratore Generale della Cassazione Galli Fonseca, e del compianto dottor Coiro, non esistono operatori della giustizia e della repressione che chiedano un cambiamento di rotta delle politiche e delle leggi sulla droga; eppure, vista l'abitudine consolidata ad intervenire su tutto con grande agio e altrettanta risonanza, non si può dire che non ne avrebbero facoltà.
A questo punto, sarebbe gradito un commento autorevole, una adesione od una presa di distanza. Lo diciamo senza ironia. Se, ad esempio, si fanno i congressi dell'Anm per organizzare l'opposizione politica ad alcune riforme della giustizia, non si capisce per quale ragione i giudici italiani, o almeno alcuni di loro, non si sentano "tenuti" ad intervenire su di una legge manifestamente criminogena. Se si alzano dolorosi lamenti per l'aggravio di lavoro che per magistratura e forze dell'ordine deriva dall'applicazione della legge Simeone-Saraceni, molto - a maggiore e migliore ragione - si potrebbe dire della legge sulla droga, che produce ogni anni centinaia di migliaia di reati, e decine di migliaia di condanne e detenzioni. A meno che tutti non considerino il proibizionismo obbligatorio come l'azione penale, non c'è davvero nessuno che abbia qualcosa da dire? Saremo ottimisti, ma ci rifiutiamo di pensare che quello di Pino Arlacchi sia il "pensiero unico", e la posizione ufficiale di tutta la magistratura e
polizia italiana sui temi della droga.
P.S. In questa fase sarebbe inutile, quasi di cattivo gusto, chiedere conto di qualcosa al Governo. Infatti, come dimostra la vicenda della legge Simeone-Saraceni, su questi temi il governo non c'è. Ci sono i Ministri, e i sottosegretari e ognuno fa e dice quello che vuole.