Il leader radicale ha imposto i diritti civili nell'agenda politica italiana. Per questo il Paese deve essergli grato.di Gualtiero Vecellio
(L'Opinione, 23 giugno 1998)
In queste ore in cui molti trepidano per la salute di Marco Pannella, come può accadere quando ci si sente impotenti di fronte ad eventi che colpiscono persone che si conoscono da vent'anni e che in qualche modo la vita te l'hanno segnata, frugo tra carte, ritagli, lettere, appunti. E ritrovo così un vecchio articolo scritto da Arrigo Benedetti sul "Corriere della Sera"; del luglio 1974.
"Pannella digiuna", scriveva Benedetti, "ma non ha niente di Gandhi. Non è un mistico o lo è di necessità Lo conobbi quando aveva poco più di vent'anni, in Campo Marzio a Roma, nella redazione del Mondo di Mario Pannunzio. Alto, tutto spalle, esile, gli occhi vellutati, la voce calda, i capelli lisci e lunghi ricadenti sulla fronte, non si sapeva spiegare. Radicale anche lui, certo, com'erano definiti i liberali di sinistra e i superstiti del partito d'azione; però aveva un suo assillo segreto. 'Che ha Pannella? E che vuole?', si cominciò a dirlo subito. Gli anziani diffidano spesso dei giovani da cui si vedono ricercati. I miei amici l'osservavano incuriositi. Il suo attivismo, il suo essere sempre pronto a correre dove fosse rischio e passione, la smania d'eccitare le sinistre a impegni 'liberali', attraeva e impensieriva. Vuoi fare carriera? Un posto alla Rai-Tv?, Hai sbagliato uscio, Marco, batti altrove. Tutti, l'ammettessero o no, lo considerarono subito una promessa ".
Parte di questo articolo di Benedetti lo ricopio perché sono mesi che attendo - e attenderemo a questo punto invano - le scuse da Giuseppe Fiori: autore di una biografia di Ernesto Rossi nella quale si nega a Rossi e a Pannella quello che furono, quello che fecero. E Benedetti invece ricorda: "Ernesto Rossi l'osservava incuriosito. Ernesto, da quando uscì da Regina Coeli dove lo sorprese il 25 luglio, guardava tutto con scrupolo. Accade a chi, entrato in carcere giovane, n'esce dopo più di un decennio adulto, e stupisce vedendo che i ragazzi sono diventati uomini e che il mondo durante la sua assenza non si è fermato ". Pannella, scriveva ancora Benedetti, "non ha mai riposo, si sente dire; esagera, viaggia, convoca i corrispondenti stranieri, sta fermo solo per digiunare e far parlare di sé, finirà in cima ad una colonna. Dopo tanti anni, un curioso equivoco sussiste. Pannella è un libertario che difende la Costituzione, e invece lo scambiano per sovversivo. Unico particolare trascurato, attrae i giovani co
me facevano Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e altri vent'anni fa, e non li eccita alla contestazione del sistema ma al piacere della libertà. Pannella farebbe carte false per destare gli italiani da un lungo torpore. O forse solo per costringerli in molti casi a capire che dentro di loro, certi mutamenti sono già accaduti ". Aveva capito tutto, Benedetti. E tutto aveva capito Leonardo Sciascia; che di Pannella scrisse (ma sul quotidiano madrileno El Pais; quando si trattava di Pannella e dei radicali anche Sciascia sui giornali aveva difficoltà a farsi accettare): "Pannella è il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia". Diritto, legge, giustizia: tre costanti dell'agire di Pannella e dei radicali. Anche quando (lo hanno fatto mille e mille volte) deliberatamente hanno violato la legge con clamorose azioni di disobbedienza civile: se una legge è sbagliata si disobbedisce alla legge, dicono i radicali. Beninteso, si deve essere pronti a
subire le conseguenze di questo gesto. E per quante cose, questo paese deve essere grato a Pannella e ai radicali. Sono loro che hanno saputo imporre nell'agenda politica i diritti civili; sono loro che hanno saputo fare - anche dall'opposizione - una rigorosa azione di governo: la legge sul divorzio, nel 1970; ma la legge per la legalizzazione dell'aborto, grazie alla quale la donna che interrompe una gravidanza non è più condannata a farlo nella clandestinità, e ricorrendo all'"assistenza" di mammane o cucchiai d'oro; la legge che ha riconosciuto il voto ai diciottenni; il nuovo diritto di famiglia che metteva donne e uomini sullo stesso piano; l'impegno contro i tribunali e i codici militari; contro le norme fasciste sopravvissute nel codice penale; contro le leggi speciali e sostanzialmente inutili sull'ordine pubblico; contro il finanziamento pubblico ai partiti Oggi tutto sembra normale, perfino dovuto. Ma quante lotte, quanti digiuni, quante denunce, quante manifestazioni, e anche aggressioni, fermi
, arresti, botte, prima di arrivare a quel "normale"; a quel "dovuto". Come per il referendum: vero e proprio sale di ogni democrazia, eppure quanto c'è voluto prima che diventasse normale raccogliere firme e ricorrere a uno strumento che in fin dei conti è previsto dalla costituzione Per non parlare più di quella grande intuizione - e all'epoca quanto poco capita - che fu l'iniziativa contro lo sterminio per fame nel mondo, culminato con un documento politico sottoscritto da un centinaio di premi Nobel: prima, e finora unica risposta "laica", a una tragedia di cui i laici si disinteressano; e lasciano alla Chiesa per risolvere, nel bene e nel male.
O l'impegno per una Giustizia che sia degna di questo nome anche in Italia Se si decidesse di raccoglierli tutti, gli insulti e gli epiteti malevoli che gli hanno scagliato contro, se ne potrebbe fare un grosso volume: mascalzone, esibizionista, smargiasso, avventurista, squallido, inquisitore, destabilizzatore, qualunquista, fascista, demagogo, filo brigatista, pederasta, drogato. E questo perché non si è mai stancato di chiedere il rispetto del diritto, della legge e della giustizia.
A quest'uomo dobbiamo essere grati; per il molto, il tanto che ha fatto. Forse se fossimo stati meno inerti, meno passivi, meno condiscendenti, lui non sarebbe stato costretto a mettere a repentaglio mille volte come ha fatto, salute e vita. Gli siamo tutti debitori di qualcosa. E gli dobbiamo essere riconoscenti.