("Sole 24ore" del 12/07/98)"Roma - Il diritto di satira non legittima in alcun caso l'offesa personale. Ovvero: un insulto gratuito non può essere spacciato per satirico <>. A ribadirlo è la sentenza (n. 7990/98) con cui la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Arturo Diaconale e Giancarlo Lehener, già direttore e redattore del settimanale <>, contro la condanna per diffamazione emessa a loro carico nell'aprile 1997 dalla Corte d'appello di Roma. In un articolo del marzo '94, le iniziative assunte dall'allora assessore e vicesindaco di Roma per la regolamentazione del traffico venivano criticate <>. In particolare - e sia pure in un contesto che gli autori del pezzo nel loro ricorso sostengono essere palesemente satirico - l'amministratore veniva accusato di <> e di avere un <> al posto del cervello: il tutto condito con l'esplicito invito a finanziare i suoi progetti con i metodi illeciti propri del suo partito. Secondo i giudici della Cassazione, le allusioni al <> e al <> vanno considerate senz'altro <>, mentre l'evocazione di prassi devianti nel finanziamento dei partiti <>. <>".<>("Sole 24ore" del 12/07/98)
"Roma - Una notizia falsa riportata in un titolo di giornale può bastare da sola a ledere la reputazione di una persona. E poco importa se nel pezzo, più o meno lungo, che sta sotto quel titolo, il cronista dà una versione veritiera e corretta dell'accaduto.
Ad affermarlo sono i giudici della Corte di cassazione, respingendo il ricorso presentato da Franco De Battaglia e Roberto Marino, rispettivamente direttore e redattore dell'<>, contro la condanna per diffamazione loro inflitta dal Tribunale di Bolzano, e poi confermata dalla Corte d'appello di Trento. In un articolo pubblicato sulla prima pagina del quotidiano nell'aprile del 1994, il redattore aveva riferito di indagini avviate dalla Procura della Repubblica per bancarotta fraudolenta nei confronti di due amministratori locali; il nome di un terzo, non coinvolto dalle indagini, era erroneamente finito nel titolo come percettore di una somma (trenta milioni di lire) del tutto estranea alla bancarotta.Secondo la sentenza (n. 8035/98) della Cassazione, il fatto che nel pezzo "incriminato" la vicenda fosse ricostruita correttamente non basta a scagionare il suo autore, perchè <>. Statisticamente - aggiunge la Corte a suffragio della propria interpretazione - i lettori "frettolosi", quelli, cioè, che si limitano a sfogliare il quotidiano dando una rapida occhiata ai titoli e dedicando poco spazio alla lettura vera e propria, sono forse la maggioranza.
E, comunque, il richiamo giurisprudenziale alla necessità di valutare il complesso dell'informazione fornita a mezzo stampa (l'insieme cioè rappresentato da titolo, testo letterale dell'articolo, immagini, modo di presentazione) <>, semmai nel senso che il carattere diffamatorio dell'informazione può risultare da una valutazione d'insieme del pezzo <>.Nel caso in esame, titolo, sommario e "catenaccio" del pezzo erano impostati in modo tale che <> recepiva la notizia (diffamatoria) che un non meglio individuato fallimento era stato provocato dall'ingordigia di un pubblico funzionario in realtà non raggiunto da alcun rinvio a giudizio, anzi mai sfiorato dalle indagini.".