[Unione Sarda 13 agosto 1998]
"Violante fece nominare Caselli"
"Così con i processi si poteva dare il colpo finale alla Dc"
Nel Palazzo di giustizia rimbomba ancora quel maledetto colpo di pistola. Ma il day after del suicidio del giudice Luigi Lombardini è altrettanto carico di tensione, pronto ad esplodere. Un nome, pronunciato ieri mattina nella sala dell'Hotel Mediterraneo a Cagliari, ha fatto da detonatore. Luciano Violante, presidente della Camera, entra come un ciclone nella vicenda di Silvia Melis e nella tragedia di Luigi Lombardini. Il magistrato, che martedì ha scelto di togliersi la vita nel suo ufficio, rivelò che quando nel '92 fece domanda per il posto di Procuratore della Repubblica al tribunale di Palermo, venne accantonato. E fu scelto Caselli. Perché? Perché esisteva un piano per colpire al cuore e mortalmente la Democrazia cristiana con processi pilotati. Evidentemente Lombardini non era adatto per quel ruolo. Il regista dell'operazione? Nichi Grauso prima ammette che si tratta di un'alta carica istituzionale. Poi, per evitare il coinvolgimento di Scalfaro o di Mancino (presidente del Senato) pronuncia il nome
che durante una giornata segnata da fax, da agenzie di stampa che battono freneticamente reazioni e denunce, fa sobbalzare: Luciano Violante. Quel nome e i retroscena della guerra sotterranea che avrebbero segnato il patto tra politica e magistratura, li ha fatti a Grauso proprio Lombardini, davanti ad altri testimoni, che possono confermare in qualsiasi momento.
E' questo è solo il siluro di più alto livello nel giorno dopo di una tragedia che, nella valanga di polemiche, ora travolge tutto e tutti.
Lombardini sapeva tante cose, non era un uomo qualunque. E così sempre Grauso ha rivelato che il magistrato principe nella lotta ai sequestri di persona, stava per ottenere la costituzione di un grosso latitante, un'altra vittoria per lui che era stato estromesso dalla guerra contro il banditismo e portato in seconda linea, senza nemmeno un grazie. Cesare Corda giornalista di Mediaset, era presente a quelle rivelazioni e sapeva che Lombardini tutto questo aveva deciso di dire in una conferenza stampa, fissata proprio per ieri. Non l'ha potuto fare.
E, ultima esplosione, un dossier scritto da Lombardini, le sue ultime ed amare memorie dopo che i suoi colleghi del tribunale di Palermo gli avevano gettato addosso un'accusa infamante, quella di essersi impossessato del denaro del riscatto di Silvia Melis. "Aveva scritto tutto", ha rivelato Gianni Massa, giornalista dell'Agenzia Italia molto vicino a Lombardini "e mi aveva detto di aver preparato un memoriale e di averlo consegnato a Grauso. Era sereno e tranquillo: poi sarebbe andato in ferie". Purtroppo non è andata così. E anche quel memoriale, letto da Nichi Grauso, ha aggiunto altra benzina ad un fuoco che resterà acceso per tanto tempo.
C'era l'avvocato Luigi Concas, ieri mattina durante la conferenza stampa al fianco di Nichi Grauso. Legale sia di Lombardini che di Grauso, anche Concas ieri ha preferito rompere il silenzio. E sono arrivati altri implacabili siluri sul Pool palermitano. Se non bastasse, durante la conferenza stampa finisce che due giornalisti per poco non se le diano di santa ragione, che alcuni agenti della Digos controllassero tutto nemmeno tanto in segreto, che sul volto di Grauso e di Concas comparissero ombre di tristezza parlando di Lombardini. E della sua tragica fine.
LE ULTIME ORE
Concas: "Avevamo la possibilità che Lombardini non rispondesse ad alcuna domanda. Non ha voluto seguire la mia linea, e io ho rispettato la sua decisione. "E' tempo di fare chiarezza", mi ha detto "preferisco rispondere". Ma forse nemmeno lui si aspettava di rimanere per sei ore di fila davanti a cinque colleghi che implacabili si davano il cambio sparando una domanda dopo l'altra. Diciamolo con franchezza: l'interrogatorio di Lombardini martedì non doveva essere fatto, siamo nel periodo feriale. Il Gip di Palermo, però, doveva dimostrare la massima urgenza e ha dato l'assenso all'interrogatorio con due premesse inesistenti: una perquisizione nella casa di Grauso che non è mai stata fatta; e paventando la possibilità che Lombardini e Luigi Garau, il legale dei Melis, si potessero mettere d'accordo dando un'unica versione. Ridicolo: se volevano mettersi d'accordo lo avrebbero fatto prima. Eppure Lombardini mi ha detto: "Io voglio rispondere".
Mi pareva sereno. Alle 17.30 l'interrogatorio è terminato. Lombardini ha aspettato il verbale per firmarlo. Io mi sono allontanato dal Palazzo di Giustizia. Ho ricevuto la telefonata di un giovane collega che mi ha detto: avvocato, i magistrati vogliono perquisire l'ufficio di Lombardini. Arrivo, ho risposto. Ma Lombardini si era già sparato, da due minuti. Ho cercato di avvicinarmi a Caselli, volevo parlargli. I suoi uomini della sicurezza me lo hanno impedito quasi io fossi un delinquente. Ma io non uso armi, uso la parola".
IL MEMORIALE
Grauso: "Nel suo dossier che mi ha consegnato, Lombardini dice che non è più possibile mantenere il silenzio perché doveva difendere ciò che di più prezioso avesse: la sua attività professionale condotta per tanti anni e la sua integrità personale. Ecco, proprio per mantenere fede a quelle che sono le ultime volontà di Lombardini, io ho deciso di rendere nota una parte di questo dossier. E mi muoverò ancora, lotterò, combatterò con tutte le mie forze perché improvvisamente dalle perquisizioni che verranno compiute nella casa di Lombardini o nel suo studio, non compaiano banconote segnate messe lì strategicamente o documenti prefabbricati ad arte per accusarlo di chissà quali misfatti. Non bisogna essere ipocriti, per uccidere un uomo non è necessario impugnare una spada o una pistola. Si può essere vili ed ottenere così l'impunità davanti alle leggi. Ma non davanti alla storia". Concas: "In calce a questo dossier non c'è la firma autografa, ma è stato scritto sabato scorso in mia presenza. E Lombardini mi
ha detto: "E' necessario che venga diffuso". Sull'autenticità non permetto a nessuno di formulare sospetti".
IL LATITANTE
Grauso: "Nelle ultime settimane Lombardini mi aveva ventilato la possibilità che riuscisse a far costituire un importante latitante. Mi aveva anche chiesto di farmi carico dell'impegno finanziario necessario per convincere il latitante. Il nome di quest'uomo? Non lo posso fare, per adesso. Dico solo che Lombardini chiese ad organi dello Stato quanto la cosa potesse interessare. Gli fu risposto che per quel latitante dieci milioni erano anche troppi. L'ennesima beffa".
Chi è il latitante? Circola il nome di Pasquale Stocchino, da 26 anni alla macchia, da quando cioé venne accusato della strage di Lanusei: cinque morti. Forse vale davvero più di dieci milioni.
Concas: "E chi lo dice che Lombardini, anche se era stato estromesso dalle indagini sui sequestri non potesse fare il bene della società per convincere un latitante a consegnarsi? Per me chiunque faccia una cosa del genere è un uomo benemerito"
LE PERQUISIZIONI
Concas: "Martedì notte, poco dopo le 11, i familiari di Lombardini volevano entrare nella sua casa per prendere un abito con cui rivestire il povero cadavere. Hanno trovato la porta sbarrata. "Potete entrare con noi", hanno detto agli agenti, "dobbiamo solo ritirare un vestito". Niente da fare. I familiari di Lombardini hanno presentato denuncia per violenza privata".
CASELLI E LA DC
Grauso: "Nel '91, dopo gli attentati contro Falcone e Borsellino, Lombardini fece domanda per il posto di Procuratore della Repubblica di Palermo rimasto libero dopo che Giammanco chiese il trasferimento in Cassazione. Gli fu preferito Caselli. E Lombardini mi disse di avere le prove, di possedere i documenti che dietro la scelta di Caselli esistevano un piano ed un progetto politico che coinvolgevano persone che ora hanno un posto di primo piano tra le massime cariche dello Stato. Questa strategia prevedeva di dare attraverso i processi politici il colpo finale alla Democrazia cristiana. Nonostante Lombardini avesse maggiori requisiti e anzianità, la sua domanda non venne accolta. Chi era questa alta carica dello Stato? Sì, Lombardini pronunciò il nome di Violante. Me lo fece a voce, davanti ad altri testimoni. Ma Lombardini mi disse che aveva la documentazione, sono carte che possono fare in modo che la verità di Stato non prevalga. E aveva anche la documentazione che con Violante ordiva trame un ex alto
esponente della Dc che veniva chiamato il "Capitano di corvetta". Questo capitano voleva che Giulio Andreotti andasse sotto processo".
ABBANDONATO
Grauso: Adesso so che stanno facendo sul cadavere di Lombardini anche un esame tossicologico. Semmai troveranno tracce di aspirina e così dimostreranno che quest'uomo era un pazzo e che ingeriva chissà che cosa".
Concas: "Sono stato negli ultimi tempi depositario di numerosi segreti di Lombardini. Altre volte, prima a Roma - quando lì era la competenza - e poi a Palermo, Lombardini accusato di cose risibili che poi si confermarono bolle di sapone, venne sentito dai suoi colleghi. E lui parlò, raccontando episodi che avvenivano nel Palazzo di Giustizia di Cagliari. Bene, non mi risulta che siano stati aperti atti ufficiali. Mentre mi risulta che quando insieme a Lombardini venne accusato un altro magistrato cagliaritano, la Nuova Sardegna non riportò il secondo nome, facendo solo a caratteri cubitali quello di Lombardini. Contro di lui le campagne di una certa stampa si sono sprecate. Per la Nuova Sardegna solo il suo nome meritava di comparire. Sugli altri magistrati "amici", silenzio.
Grauso: Lombardini era ormai un uomo solo, abbandonato. Vi voglio raccontare un episodio. La prima e unica volta che sono stato interrogato sul caso di Silvia Melis - da Mauro Mura - raccontai tutte quelle cose che adesso fanno parte, all'ottanta per cento, delle conoscenze dei giudici sul pagamento del riscatto. E tra le altre cose nominai Luigi Lombardini. Mura quasi non volle sentire, e cambiò argomento. Rimasi perplesso, però continuai a rispondere alle sue domande. Alla fine chiesi al magistrato: perché non mi ha chiesto dell'altro su Lombardini? Rispose col silenzio. Eppure, parlandone, avrei chiarito quale ruolo Lombardini aveva avuto in tutta la vicenda. Niente. All'uscita dal Palazzo, vidi il giudice Aliquò. Allora capii tutto, capii che ogni cosa era stata già decisa, che questi magistrati non cercano la verità ma solo la plastilina per modellare tutte le loro teorie, che sono funzionali ad incrementare il potere che detengono. Ieri è toccato a Lombardini, domani può toccare a chiunque di noi. Ec
co perché la morte di Lombardini non deve essere inutile, ma deve servire a dare un colpo di maglio all'ipocrisia".
IL CASO MELIS
Grauso: Durante il sequestro di Silvia vedevo tanti bei fax, tanti bei cortei. Ma sapevo che non avrebbero avuto effetto. Per questo ho deciso di muovermi e mi sono rivolto a Lombardini per cercare di capire come. Lui era uno esperto, era come un cacciatore che quando fiutava la preda non la mollava più. Andai da lui cercando di capire. Lo feci parlare, mi diede informazioni. Poi stop, nient'altro. I nostri rapporti sono diventati più frequenti solo quando tutti e due siamo stati colpiti dallo stesso avviso di garanzia. Per estorsione".
GLI ASSASSINI
Grauso: Certo che confermo quello che ho detto martedì a caldo. Non sono paroleforti. Sono il risultato di un'indagine strana, nata male. Sono stato interrogato novemesi fa. Poi sono stato richiamato quattro mesi dopo e non se n'è fatto nulla. L'ultimavolta, a Nuoro, ricordate tutti come è finita. Come si può accettare l'arroganza diquesti magistrati che arrivano da Palermo e che credono di poter disporre dellagente perbene come piace a loro? Io dissi una volta a Lombardini: "ma è questa lamagistratura? ". Mi rispose: "no, esistono anche magistrati che fanno la loro partelavorando in silenzio". Servono norme che diano ai sardi la tranquillità di essereamministrati da una giustizia vera. Ma il pericolo che corre oggi l'Italia è di esseregovernata dai tribunali speciali. Permettetemi di dirlo. Questo non mi sembra
giusto".
E per finire un piccolo fatto ridicolo: tra le tante telefonate intercettate a Grauso, ce n'è anche una col suo direttore dell'Unione Sarda, Antonangelo Liori. I due parlavano di Lombardini. Ma gli investigatori hanno sbagliato tutto: quel Lombardini non era il giudice. Ma un medico cagliaritano.
PAOLO FIGUS