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Conferenza Rivoluzione liberale
Arpa Siena - 23 agosto 1998
mi e' parso un articolo stimolante per il pur flebile dibattito sul terrorismo arabo; lo affido soprattutto alle riflessioni di Vatinno

da La Stampa

Domenica 23 Agosto 1998

LA GUERRA

DEL FUTURO

IL TERRORISMO ISLAMICO PUNTA ALL'ARABIA SAUDITA

PER far fronte alla sfacciataggine omicida dell'Internazionale islamica di Osama bin Laden, e alla rappresaglia decisa giovedì da Clinton contro le basi terroriste in Afghanistan e Sudan, l'antico Arthasastra non avrebbe avuto i dubbi che affliggono alcuni governi europei come l'italiano o il francese. Redatto più di duemila anni fa in India, il trattato politico di Kautilya avrebbe suggerito la ritorsione bellica, per non apparire agli occhi del nemico "una potenza le cui intraprese periclitano, e il cui destino è il declino". E siccome il terrorista islamico è insidioso - la sua forza è nella mobilità che lo apparenta al pirata anonimo, è nella convinzione teologica che lo rende impermeabile a lenti negoziati o calcoli politici - avrebbe consigliato la via più speditiva, efficiente: la via del " castigo silenzioso ", dell'eliminazione fisica compiuta da consumati agenti segreti, come raccomandato nella sezione quinta dell'Arthasastra.

Il castigo silenzioso è stato per molti anni il metodo prediletto dai servizi israeliani, e non di rado fu applicato con successo. E' più difficile per l'amministrazione americana, perché i suoi servizi segreti sono meno efficienti e la sua democrazia più esigente. Inoltre è più difficile perché il terrorismo islamico è una pirateria inedita, non somiglia che parzialmente alle piraterie palestinesi o occidentali: bin Laden la guida, la finanzia, l'addestra nelle sue Accademie del Terrore protette dai Taleban afghani, ma le ramificazioni sono mondiali e il suo potere è quello di una Internazionale teologico-politica con basi in Sudan e Iran, in Pakistan Kashmir e Libia, in Algeria, Egitto e nei territori palestinesi, in Arabia Saudita e altri emirati del Golfo. Il castigo silenzioso può sempre esser utile, ma in ogni caso un conflitto aperto si sarebbe imposto anche per l'astuto Kautilya. Un conflitto lungo e intramezzato da numerose battaglie, come ha detto Madeleine Albright venerdì: una guerra cui non ci s

ottrarrà, perché "purtroppo questa sarà la guerra del futuro", e attorno ad essa si deciderà il nostro declino o la nostra sopravvivenza politica.

Non esiste dunque il dilemma descritto dalla diplomazia italiana, e da Romano Prodi. Non esiste una rappresaglia americana moralmente comprensibile, e disgiunta da questa morale un'esigenza politica di " dialogo costruttivo " con gli Stati tutori del crimine teologico. La rappresaglia attuata con l'invio dei missili Tomahawk è già un segnale politico, per chi ha la volontà di intenderlo. E' già una risposta geopolitica ai messaggi lanciati a più riprese da Osama bin Laden e da organizzazioni affiliate. Le sue parole sono assai chiare, come lo sono i vocaboli dei manifesti terroristi successivi all'attentato in Kenya e Tanzania. L'obiettivo - ripetono i manifesti - è "il Jihad, la Guerra Santa, contro gli ebrei e i crociati". I crociati sono cristiani occidentali, e più precisamente gli americani, "installati nei Luoghi Santi dell'Islam". Lo scopo è di "liberare questi Luoghi Santi": non un unico Luogo - non solo Gerusalemme come dicevano i primi terroristi religiosi - ma tutti i Luoghi dell'Islam e dunque an

che La Mecca. Gli americani devono smettere innanzitutto di influenzare - con la propria occupazione, con le proprie strategie di alleanze - l'Arabia Saudita.

Qui è il fine autentico delle imprese criminogene di bin Laden, su questo punto del mondo si concentrano le sue azioni falsamente religiose, a questo gli servono le argomentazioni teologiche e il riferimento a Dio: le sentenze religiose contro l'Occidente, le continue mortifere fatwa , sono usate per rovesciare la monarchia di re Fahd, nella nazione che maggiormente gli sta a cuore: l'Arabia Saudita. Osama bin Laden è un integralista sunnita, la sua nazionalità è saudita, e l'ex combattente antisovietico in Afghanistan fu cacciato da Riad nel '94 perché la sua opposizione era divenuta troppo pericolosa per la famiglia reale. Con l'aiuto dei suoi crimini contro i civili e quindi contro la specie umana, bin Laden combatte una sua sanguinosa campagna elettorale, e vuol precipitare la caduta di un regno giudicato troppo contaminato dagli invasori crociati, troppo compromesso con il gran federatore degli emirati che è il potere americano. Come già una volta nella guerra del Golfo, l'Arabia Saudita è al centro del

le vere inquietudini statunitensi. Cedere all'Internazionale islamica e rifiutare di replicare alle guerre significa fingere di avere di fronte una guerra tra culture teologiche come sostenuto da Samuel Huntington, e non una guerra contro tutte le civiltà religiose. Significa dare all'integralismo una patente di totale impunità, e consegnargli non già un irrilevante territorio, ma la nazione che possiede metà del petrolio mondiale, e che è il più grande acquirente globale di armi. La stessa denominazione del Fronte internazionale dell'Islam, fondato da bin Laden - con sede in Afghanistan, con campi di addestramento e armi in Sudan - è illuminante: si chiama "Fronte per il Jihad contro gli ebrei e i crociati". I nemici da abbattere non sono semplicemente cristiani. Sono Crociati appunto, invasori delle sacre terre di Israele e Arabia Saudita.

Non solo per questo tuttavia il conflitto sarà lungo, e diverrà la guerra del futuro. La guerra per la successione negli Stati del Golfo e per l'avvenire del Medio Oriente assume una fisionomia che è nuova, e che trova impreparati gli americani e soprattutto gli europei. Gli analisti Usa parlano di una guerra privatizzata, perché i terroristi non si identificano automaticamente con Stati e governi legali. Costituiscono una rete immane, globalizzata e al tempo stesso hanno guide personalizzate: singoli individui, che creano arsenali per proprio conto e temibili Stati dentro gli Stati.

L'esperto strategico Josef Joffe, sulla Sueddeutsche Zeitung , parla di nuove guerre postmoderne, i cui assassini non sono identificabili e non rivendicano più fieramente gli attentati. Il nuovo Terrore - in Arabia Saudita o Tel Aviv, sui cieli di Lockerbie o a Nairobi e Dar es Salaam - è anonimo, senza volto. E' quello che gli conferisce speciale forza, e che mette più in difficoltà l'aggredito: perché l'agire dell'anonimo è fondato sulla sorpresa e l'impreparazione dell'avversario ed è un comportamento militare asimmetrico, che affastella vantaggi sugli svantaggi del nemico.

Questa volta tuttavia Casa Bianca e Pentagono avevano notizie circostanziate, sulle responsabilità di bin Laden, e per questo hanno potuto rispondere alla guerra con la guerra. Il gesto giunge con enorme ritardo - dopo anni di sottovalutazione dell'integralismo, di appoggio ai Taleban, di impotenza verso Netanyahu in Israele - e non è stato preparato da visite di Clinton in Kenya e Tanzania. Ma infine una risposta arriva, e questo spiega l'approvazione di governi responsabili come il tedesco e l'inglese. Non a caso la questione delle consultazioni non è neppure adombrata, a Bonn e Londra. Sia Blair che Kohl assicurano di esser stati informati, prima della rappresaglia : non direttamente da Clinton, ma da suoi assistenti. Non è escluso che consultazioni simili siano avvenute con Francia e Italia, anche se i due governi lo negano, nell'illusione forse di non apparire complici di Washington e di esser risparmiati dal Terrore.

C'è poi una questione di diritto internazionale, giustamente sollevata da Aldo Rizzo su questo giornale. Dal punto di vista legale è assolutamente lecita l'autodifesa extraterritoriale da probabili attacchi contro la propria nazione (articolo 51 della Carta Onu, che completa l'articolo 2 sul divieto della violenza). La questione giuridica si complica quando l'atto di guerra al quale si reagisce non è condotta da Stati, bensì da Fronti al tempo stesso globali e privatizzati. Secondo il giurista Jochen Frowein, direttore dell'Istituto Max-Planck a Heidelberg, sono tuttavia Stati come Afghanistan e Sudan ad aver infranto il diritto internazionale, permettendo che dai propri territori partissero azioni terroriste contro terzi. Sono loro in infrazione, quando vilmente preferiscono abbattere civili piuttosto che militari regolari.

Le nuove guerre del futuro avranno bisogno di un nuovo diritto delle genti, più sofisticato. Avranno bisogno di nuove strategie delle alleanze, con Stati che si impegnino veramente a non divenire santuari del Terrore. Avranno bisogno di risposte non equivocabili, e forse perfino di castighi silenziosi. Di tutto ci sarebbe bisogno tranne che degli ecumenici appelli al dialogo con Stati filoterroristi, lanciati da un governo italiano che non sempre sa quello che desidera: se solidarizzare con Washington, se patteggiare con Satana, se avere una politica araba, se proteggere il petrolio del Golfo, o se salvarsi illusoriamente la pelle.

Barbara Spinelli

 
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