1. In primo luogo, i fatti, come scriveva un celebre giornalista. Stiamo vivendo una "Grande Crisi" del capitalismo. Su questo dato di fatto non ci sono più dubbi; stiamo nel bel mezzo di uno di quei periodi storici che fanno da spartiacque nell'economia, nella politica, nella civiltà dei popoli, della nazioni, delle istituzioni. Sarebbe perciò auspicabile che il dibattito politico, economico, civile cercasse, almeno, di essere all'altezza dei tempi.
2. Le ricette "neoliberiste" cominciano ad essere seriamente sotto accusa. Appare evidente infatti che non riescono a dar conto della effettiva natura della crisi mondiale. Perché ad esempio la crisi si sta espandendo come un incendio nella prateria del mercato globale? Perché sono colpiti per prime esattamente quelle economie che non hanno nel loro attuale Dna il Welfare? Quale deve essere il ruolo di Stati Uniti ed Unione Europea? E delle famose Istituzioni Finanziarie Internazionali, Fmi, Banca mondiale, Wto?
3. Appare confermato che la Grande Crisi deriva da un gravissimo deficit di domanda effettiva nei paesi emergenti, ovvero dall'esistenza di gravi disuguaglianze sociali, economiche e di classe, nonché dall'assenza di un minimo di sistema di sicurezza sociale pubblica, fatti questi che determinano appunto una grave carenza di domanda interna in detti paesi. Per ora la domanda dell'economia usa e la ripresina europea (nonchè i "noccioli duri" delle domande interne rispettive) hanno evitato una vera e propria Grande Depressione Globale. Ma di fronte alle onde lunghe della recessione di un terzo dell'economia mondiale (e al rallentamento ciclico dell'economia locomotiva nordamericana) appare necessario una "reflazione" (una seria politica di sostegno della domanda globale) da parte delle economie "atlantiche", Europa unita in testa. Questa "reflazione" per varie ragioni non potrà non riguardare il settori dei beni di investimento: dovrà quindi essere caratterizzata da investimenti pubblici (da trovarsi in una di
minuzione delle attuali spese correnti degli stati sociali, per quello che riguarda l'Europa) e in diminuzioni del carico fiscale.
4. La Grande Crisi non potrà non comportare (e prima lo farà meglio sarà...) anche riforme sociali, economiche strutturali nei paesi emergenti: welfare pubblico e separazione fra industria e finanza; ovvero più liberalismo economico (quello vero, anti-monopolistico e anti-intrecci) e più riformismo sociale (o socialdemocratico...per usare una "brutta parola"...). La Grande Crisi non potrà non comportare che una riforma economica globale ed una nuova Architettura del Governo mondiale della finanza, insomma una riforma del Fmi e delle altre istituzioni finanziarie internazionali, un nuovo ruolo per livelli ed istanze trans et sovranazionali. Dovrà in particolare comportare una fortissima e strettissima concertazione fra Unione Europea e Stati Uniti. Specialmente se domani il Giappone dovesse risultare incapace di attuare fin da subito l'indispensabile riforma bancaria.
5. Dalla Germania agli Usa, con ritardi, vischiosità, confusioni peraltro, ci si sta cominciando a porre questi grandi temi. Ed in Italia?