In primo luogo, vediamo la situazione. Ieri Wall Street ha subito un nuovo crollo storico, meno 6,3 per cento. I mercati finanziari richiedono un qualche intervento di "garanzia", una qualche iniezione di fiducia da parte delle autorità politiche e monetarie. La scorsa settimana si era diffusa la "voce" di una manovra congiunta di Usa e Ue per l'abbassamento dei tassi di interesse. Ieri Paul Krugman, l'economista-guru del MIT (un noto covo di socialdemocratici...) ha rilanciato questa ipotesi. Una diminuizione dei tassi eviterebbe almeno per ora un avvitamento della recessione nei paesi dell'area europea e nordamericana; darebbe un segnale forte di coordinamento fra le due sponde dell'atlantico per il "governo" dell'economia mondiale; e forse ristabilirebbe un qualche clima di fiducia nei mercati finanziari.
Una cosa mi pare però evidente (sarà una presunzione ma mi pare che sia così...): la crisi finanziaria é ormai globale; e la crisi finanziaria rischia di diventare anche economica a causa delle crisi bancarie nel Far East, Giappone in testa, e in Russia, grazie all'ulteriore allargamento della crisi all'America Latina e agli effetti di questa situazione sulla fortissima propensione al consumo degli americani.
Non sarebbe il caso di vedere la crisi con occhi non ideologici?
Non sarebbe il caso di capire che, al di là dei discorsi di economia politica ed accademica, sta finendo un ciclo politico-economico, quello degli anni Ottanta e dell'economia reaganiana, dei consumi e degli investimenti finanziati con l'indebitamento e con i grandi incrementi dei mercati azionari? E che quindi é indispensabile ripensare la politica oltre l'economia?
Ad esempio, non ci accorge che la lotta all'inflazione che tanto ha caratterizzato politiche ed analisi economiche degli anni Ottanta e Novanta deve essere sostituito dalla lotta alla deflazione?
Detto questo devo ancora almeno due risposte.
1. Come avevo previsto, parlando di "capitale sociale" c'è chi ha capito fischi per fiaschi...potenza delle parole!
Caro Perduca, in una economia avanzata sono indispensabili, oppure no, infrastrutture, reti, ferrovie, strade, osepdali, scuole, università, laboratori, ambiente e territorio? Questo é il "capitale sociale" di un paese avanzato. Non vuoi avere infrastrutture, ospedali, università, strade e reti telematiche? Che cosa diamine c'entra questo capitale sociale con la concertazione sul costo del lavoro, di grazia?
2. Devo uno spiegazione anche all'amico Barletta e alla sua comparazione fra Polonia e Russia, argomento questo che ho toccato ma non con la dovuta chiarezza.
Caro Barletta, a parte le ovvie differenze storiche fra i due paesi che non mi metto a ricordare in questa sede, tre sono le questioni di fondo:
A: la Polonia é riuscita a costruire un sistema giuridico e un sistema di autorità di governo del mercato; la Russia no, grazie anche alle resistenze degli interessi conservatori e al peso di uno storia ben diversa.
B: la Polonia é riuscita ad avvalersi di ingenti investimenti tedeschi, graizie alla vicinanza geopolitica e geoeconomica, ed americani, grazie all'influenza delle potenti lobbies polacche d'America; la Russia ha avuto, in percentuale meno credito e specialmente si é trattato di crediti al governo per l'emergenza economica più che di investimenti per lo sviluppo e le imprese produttive.
C: ma il punto chiave é il terzo. La Polonia aveva anche ai tempi del regime comunista un settore agricolo largamente privatizzato e un tessuto significativo di industria leggera (ovvero produttitrice di beni di consumo); l'economia sovietica era un gigantesco complesso militare-industriale, non produceva come credo sia ben noto beni di consumo. Non solo: il problema storico dello sviluppo russo di questo secolo é quello dell'approvigionamento alimentare delle città da parte delle campagne: Proprio per non essere riusciti a garantire questo approvigionamento a prezzi contenuti crollò la Nep, nuova politica economica di Lenin e fu aperta la strada al massacro dei Kulaki e alla colletivizzazione forzata dell'agricoltura. La riforma eltziniana, anch'essa, non sta riuscendo a garatire uno sviluppo stabile all'agricoltura russa. Oltre la metà dei consumi alimentari russi sono soddisfatti con le importazioni pagate con i surplus dell'industria energeticxa, (gas e petrolio) e mineraria (ora, cromo, diamanti..). Il
crollo dei prezzi internazionali delle materie prime e del petrolio e la crisi bancaria degli imperi economici degli oligarchi stanno facendo saltare il "modello di sviluppo" della Russia "liberista" di Eltzin. Già nelle prossime settimane ci sarà carenza di beni alimentari nelle città russe.
La riforma liberista rischia seriamente di finire come la Nep di Lenin. Il perché é presto spiegato.
In Polonia, la liberalizzazione e le privatizzazioni hanno creato un mercato i cui consumatori hanno potuto soddisfare i bisogni alimentari, di vestiario e di edilizia (i bisogni primari) in larga parte con la produzione nazionale polacca in condizioni di sufficiente efficienza, senza cioè ricorrere a sovvenzioni statali; in Russia l'assenza totale di una industria leggera e di una agricoltura privata hanno reso impossibile questo sentiero di crescita. Ripeto: i surplus dell'esportazioni di gas e oro sono serviti a pagare il pane e il companatico (poco) dei russi e ad arricchire sfacciatamente gli oligarchi e i "mafiosi".
E' evidente che serviva e serve una diversa politica economica che ad esempio acceleri la privatizzazione dell'agricoltura e che permetta, conteporaneamente, la creazione di una decente industria leggera (orientando i surplus dell'idustria del gas e mineraria verso questo settore invece che verso il settore finanziario-commerciale).
Ecco perché la "ricetta polacca" (una ricetta liberista) aldilà di facili distinzioni storiche e culturali non poteva e non ha funzionato. Non perchè i russi sono "mafiosi", ma perchè le famose condizioni strutturali sono ben diverse.
Spero, Caro Barletta, di essere stato sufficientemente chiaro e non eccessivamente noioso.
Morale, per il rappresentante del PR alle Nazioni Unite, signor Cappato:
mercato aperto e riforme sociali non sono in contrapposizione, non esiste una economia di mercato senza più o meno forti, più o meno efficienti correzioni sociali. Non si tratta di "liberismo Keynesiano" (anche se ricordo a qualcuno la "sintesi neoclassica di Samuelson-Hichs, che appunto cercava di mettere insieme esattamente l'economia Keynesiana con l'analisi neoclassica, quella del libero mercato...). Si tratta di ben altro: il mercato capitalistico privato, per funziona abbisogna di istituzioni e culture non-capitalistiche (come insegnano Schumpeter e Polany); e provoca effetti e conseguenze contradditori potenzialmente devastanti per il suo stesso sviluppo. La più rilevante di queste contraddizioni sono le crisi della domanda (un marxista le chiamerebbe "crisi di sovrapproduzione"). Le Grandi Crisi Deflazioniste scoppiano proprio a causa di questa contraddizione. Il capitalismo per esistere e per essere governato richiede altre istituzioni: la democrazia procedura e sociale, insomma la democrazia libera
le rappresenta la più importante di queste istituzioni. Non può esistere un'economia di libero mercato senza un banditore di asta che la garantisca e la governi (come ricordava uno dei fondatori dell'analisi neoclassica, Warlas, un liberista tutto di un pezzo). Se vi é qualcuno che pensa ad una economia di mercato senza intervento sociale costui é, nel migliore dei casi, un utopista anti-capitalista.
Egregio Cappato, come scrivevo poco fa, il vero punto centrale é un'altro: questa crisi finanziaria mondiale sta chiudendo una epoca dell'economia occidentale e mondiale, quella della stabilizzazioni disinflattive, quella del finanziamento dello sviluppo e dei consumi mediante la crescita dei mercati azionari, quella del ruolo di locomotiva esclusiva dell'economia Usa. Ho l'impressione che stia finendo, come dicevo, anche un ciclo politico, quello della politica "debole", la Bella Epoque di fine-secolo.
Non sarebbe il caso di ripensare alla "Nobiltà della Politica", specie di quella transanzionale?
Auguri