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Conferenza Rivoluzione liberale
Vernaglione Piero - 26 settembre 1998
Approfitto dell'intervento di Bertipalazzi per integrare alcune informazioni da lui fornite sul sistema previdenziale cileno e per svolgere qualche considerazione sulla sua applicabilità all'Italia.
Nel sistema cileno il contributo è pari al 10% del reddito, da versare mensilmente in un libretto di risparmio personale. Questa aliquota è applicabile solo ai primi 35 milioni (in lire italiane) circa. Con l'aumentare del reddito si riduce la percentuale. Il contributo del 10% è deducibile dalle imposte.

I lavoratori possono aumentare volontariamente i contributi obbligatori fino ad un ulteriore 10%.

I fondi così creati vengono amministrati da compagnie private, le "Administradoras del Fondos de Pensiones" (Afp). Le Afp possono occuparsi esclusivamente della gestione dei fondi pensionistici; la gestione del portafoglio deve conformarsi ad alcuni criteri decisi dallo Stato.

I contribuenti possono passare da una compagnia ad un'altra.

L'età pensionabile è di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne. Una volta raggiunta l'età pensionabile, il singolo può utilizzare i fondi accumulati nel suo libretto di risparmio per finanziare la sua pensione, con modalità non rigide. Ad esempio, può usare tutti i suoi fondi per investire in un vitalizio presso una compagnia di assicurazioni, in modo da ottenere un reddito annuo fisso per tutta la durata della vita (e una rendita per i familiari a carico dopo la sua morte); oppure può prelevare liquidi periodicamente dai risparmi collocati presso le Afp (tali prelievi sono soggetti a limiti basati sulle aspettative di vita del pensionato).

Con tale sistema un lavoratore, in media, riceve una pensione pari a circa il 70% dell'ultimo stipendio, più una pensione per i familiari a carico dopo la sua morte (pari al 50% dell'ultimo stipendio). Naturalmente la cifra non può essere stabilita con certezza, perché la somma dipende dal rendimento degli investimenti effettuati dai Fondi.

Lo Stato garantisce una pensione minima a tutti i lavoratori e integra i contributi dei lavoratori a reddito molto basso. Chi aveva versato contributi nel vecchio sistema pubblico ed era poi passato a quello nuovo ha ricevuto un indennizzo in buoni speciali non trasferibili emessi dallo Stato.

Dopo 15 anni i dati a disposizione confermano il successo indiscutibile della riforma. Come diceva Bertipalazzi, più del 90% dei lavoratori è passato al nuovo sistema privato. E a conferma della superiorità del sistema a capitalizzazione rispetto ad uno a ripartizione, oggi le pensioni in Cile sono dal 50 al 100% più alte di quelle del vecchio sistema.

L'obiezione di Bertipalazzi è fondatissima: il problema cruciale è proprio quello della transizione. In maniera molto sintetica tento di indicare alcune soluzioni che potrebbero rendere meno oneroso l'aspetto della "doppia contribuzione". In Italia si potrebbe cominciare con tre interventi di riforma dell'attuale sistema al fine di rendere meno pesanti i contributi dei soggetti in attività: 1) eliminazione delle pensioni di anzianità, 2) allungamento dell'età pensionabile, 3) calcolo della pensione su tutta la vita lavorativa.

Tuttavia il vero "cuscinetto" in tale transizione sarebbe rappresentato dall' utilizzazione del Trattamento di fine rapporto. Se questo fosse convertito in azioni, dato il livello di accantonamento attuale (7,4% della retribuzione lorda) e dato l'orizzonte temporale di lungo periodo (che riduce fortemente il rischio finanziario), si determinerebbero montanti dalle dimensioni non trascurabili. Naturalmente resta sempre il problema del pagamento effettuato due volte dagli attivi. Ma, in primo luogo,grazie agli interventi indicati, l'onere sarebbe minore rispetto a quello imposto dalla normativa vigente. Secondariamente, i vantaggi in termini di rendimenti del sistema a capitalizzazione consentirebbero un'aliquota contributiva nettamente inferiore rispetto a quella necessaria oggi per mantenere il sistema in equilibrio, ciò che potrebbe convincere gli attivi a sobbarcarsi per un certo numero di anni la "doppia contribuzione". Infatti, considerando un rendimento reale dei fondi del 4% (tale tasso di rendimento è

realistico: infatti negli ultimi trenta anni il rendimento dei titoli nei principali paesi è stato pari al 2,8% per le obbligazioni e al 7% per le azioni), con un contributo pari al 10% della retribuzione, età lavorativa dai 20 ai 65 anni, retribuzione stabile, la rendita disponibile al 65 anno è una somma equivalente a più del 100% della retribuzione media degli ultimi dieci anni. Dunque, considerando l'attuale percentuale per il Tfr (il summenzionato 7,8%) il sacrificio richiesto agli attivi non sarebbe insostenibile (un 2,2% in più). Con la prospettiva che, una volta finita la transizione, le pensioni sarebbero circa doppie rispetto a quelle pagate dai sistemi a ripartizione (che mancano del rendimento derivante dall'investimento delle quote contributive).

 
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