Roma, 30 settembre 1998
Fra due settimane, il prossimo 14 ottobre, molti dirigenti e militanti della Lista Pannella e del Partito Radicale - a partire da Marco Pannella e dai deputati europei Gianfranco Dell'Alba e Olivier Dupuis Segretario del PR, da Sergio Stanzani e da Rita Bernardini - saranno impegnati in veste di imputati nell'udienza preliminare per il processo relativo ad alcune distribuzioni pubbliche e gratuite di hashish compiute nello scorso autunno.
La scelta di sfidare il proibizionismo su di un terreno giudiziario, di eleggere in qualche modo, con azioni di disobbedienza civile, le aule dei tribunali a luoghi di contraddittorio pubblico e "privilegiato" sugli effetti del proibizionismo, esce confermata e rafforzata dalla sentenza della Corte di Cassazione resa nota nella giornata di ieri.
La Cassazione ha infatti stabilito che, nella sostanza, anche chi non spaccia "sostanze droganti" è da condannarsi per spaccio di droga; che la legge sulla droga non chiede ai giudici di valutare il comportamento, ma "l'identità" criminale degli imputati e impone loro di non essere amministratori della giustizia, ma servitori dei tribunale speciali della 'war on drugs' (e in guerra, come è noto, non si può andare tanto per il sottile).
La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione porta dunque alle estreme e ridicole conseguenze un sistema per il quale la norma penale vale alla stregua di un "manganello ideologico". Sostenere che l'esistenza o meno di un effetto drogante nelle sostanza sequestrata è del tutto irrilevante ai fini della contestazione del reato di spaccio significa abolire ogni residuo e tenue legame fra il fatto e la pena: cosa ancora più grave se con essa si giunge a punire non più una condotta concreta ma, in generale, il legame dello spacciatore con un "mondo" (quello della droga) che minaccia la salute e l'ordine pubblico.