IN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli ill.mi Sig.ri magistrati:
Prof. ANTONIO LA TORRE Presidente
Dott. GIUSEPPE VIOLA, componente
Dott. PASQUALE LACANNA, componente
Dott. MAURO DOMENICO LOSAPIO componente
Dott. CARLO DAPELO (Rel) componente
Dott. GIOVANNI DE ROBERTO componente
Dott. ANTONIO MORGIGNI componente
Dott. ADALBERTO ALBAMONTE componente
Dott. GIOVANNI CANZIO componente
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
SUL RICORSO PROPOSTO
K...
Nato a...
Avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino in data 19-3-97,
VISTO GLI ATTI,
LA SENTENZA DENUNZIATA ED IL RICORSO,
UDITA IN PUBBLICA UDIENZA LA RELAZIONE FATTA DAL CONSIGLIERE DOTT, CARLO DAPELO
UDITO IL PUBBLICO MINISTERO IN PERSONA DELL' AVV. GENERALE DOTT. UMBERTO TOSCANI che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza in data 19 marzo 1997 la Corte d'Appello di Torino confermava la decisione del GIP presso il Tribunale in sede con cui K.M. era stato condannato, in sede di giudizio abbreviato, alla pena di sei mesi di reclusione e di lire 3.000.000 di multa per il reato di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90 poiché aveva illecitamente detenuto grammi 0,0781 di sostanza stupefacente contenente mg. 13,4 di eroina pura.
Secondo la Corte di merito non aveva pregio la doglianza dell'imputato secondo cui l'eroina ceduta era da considerare sostanza inerte e perciò di natura non drogante essendo richiesta a tal fine la quantità minima di 25-30 mg. Di stupefacente in concentrazione pura in quanto "la sostanza sequestrata, unitamente a quella precedentemente alienata" - come doveva presumersi dalla somma di denaro trovata in possesso del prevenuto che non ne aveva giustificato la provenienza - era certamente tale da assicurare l'effetto stupefacente.
2. Proponeva ricorso in Cassazione il K. deducendo la violazione dell'art. 49 c.p. in relazione all'art. 606 c.l c.p.p. sotto il profilo che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale di questa Corte di legittimità non sarebbe ravvisabile il delitto previsto dall'art. 73 D.P.R. 9-10-1990 n. 309 quando la sostanza stupefacente o psicotropa ceduta, pur essendo compresa nelle tabelle allegate a tale legge, sia priva di qualunque efficacia drogante a causa delle percentuale insufficiente di principio attivo, da individuarsi nel contenuto minimo di 25-30 mg.. mentre, nella specie, il limite parametrico predetto non era stato superato essendo stata ceduta sostanza stupefacente contenente solo mg. 13,4 di eroina pura.
3. Il ricorso veniva assegnato alla quarta sezione penale della Corte dinanzi alla quale il P.G. concludeva per la remissione della questione alle Sezioni Unite Penali a causa della esistenza di un contrasto di decisioni della Corte stessa.
In tal senso decideva il Collegio osservando che, secondo un indirizzo diverso rispetto a quello evidenziato dal ricorrente, la "ratio" dell'incriminazione consisterebbe nella tutela della salute pubblica, sul presupposto, ritenuta dai clinici, dell'idoneità della sostanza ad incidere, comunque, sui meccanismi del sistema psichico; sicché il delitto di illecita detenzione e cessione di stupefacenti, per la sua sussistenza, prescinderebbe dalla quantità necessaria al conseguimento dell'effetto drogante.
Il Primo Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione assegnava il ricorso alle Sezioni Unite Penali fissando, per la trattazione, l'odierna udienza pubblica,
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve premettersi che non sussiste la causa di inammissibilità del ricorso invocata dal P.G., per essere stato dedotto il vizio di violazione di legge anziché quello di motivazione, avuto riguardo all'argomentazione della Corte di merito secondo cui l'effetto drogante della sostanza stupefacente detenuta dal K. Sussisteva dovendosi valutare unitariamente la dose ceduta e sequestrata con quelle, verosimilmente, in precedenza alienate dal K. Stesso, trovato in possesso di denaro di non accertata provenienza lecita.
Invero, l'imputazione ritualmente elevata a carico del prevenuto nel capo a) della rubrica, che non ha subito modificazioni o suppletive contestazioni, riguarda la violazione dell'art. 73 c. 1 del D.P.R. 309/90 poiché il predetto "... illecitamente deteneva, fuori delle ipotesi previste dall'art. 75 del citato D.P.R., e vendeva a D.G. , per un prezzo di lire 17.000, grammi 0,781 di sostanza stupefacente di cui alla tabella 1 prevista dall'art. 14 del D.P.R. citato".
La condanna del K. In quanto "colpevole del reato ascrittogli sub a)" concerne unicamente tale singolo episodio di detenzione e spaccio di eroina.
La decisione in tale limitato ambito è supportata dall'inequivoco apparato argomentativo della sentenza di primo grado secondo cui "la penale responsabilità del K. Per la cessione di eroina al D., a fronte dell'eccezione della difesa di un possibile errore nell'individuazione del cedente ad opera della polizia, emergeva dall'annotazione di servizio degli agenti operanti nella quale era stato dato conto dell'avvenuto scambio di denaro contro stupefacente, preceduto da breve contrattazione, che consentiva di escludere un errore visivo da parte di costoro.
Tale convincimento trovava conferma nella considerazione che l'imputato, pregiudicato per analoghi fatti, era stato trovato in possesso della somma di lire 287.000, provento presumibile di pregressa attività di spaccio in quanto richiamante "nelle migliaia di lire" la somma di lire 17.000 che il D. aveva dichiarato di aver corrisposto al cedente.
E' dunque evidente che il giudice di primo grado, nel dare atto della sussistenza dell'elemento indiziario di cui sopra, ha posto lo stesso esclusivamente a fondamento della penale responsabilità del prevenuto concernente l'unico episodio di detenzione e spaccio di sostanza stupefacente a questi contestato.
La motivazione della sentenza della Corte D'Appello che ha confermato la condanna inflitta al K. Per il reato di cui sopra, nella parte in cui ha dato rilievo all'entità complessiva dello stupefacente verosimilmente da lui detenuto anteriormente alla singola cessione oggetto di contestazione al fine di ritenere superata la questione della natura non drogante della sostanza ceduta, è conseguenza di un errore di diritto concernente il principio devolutivo dell'appello che non può concernere fatti diversi da quelli che hanno formato oggetto del giudizio di primo grado e che non sono stati devoluti alla cognizione di quello d'appello.
Deve pertanto procedersi alla correzione dell'apparato argomentativo della sentenza impugnata ex art. 619 c.p.p. nel senso di escludere ogni rilievo all'entità complessiva dello stupefacente verosimilmente detenuto del K. Anteriormente alla singola cessione a lui contestata e di ritenere configurato il reato di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90 in relazione alla singola dose ceduta contenente, come si è già detto, mg. 13,4 di eroina allo stato puro.
Deve, al riguardo, essere confermato il principio giurisprudenziale (si veda Cass. IV 23-2-1993 n. 1761; conforme Cass. I 18-1-1995 n. 9707) secondo cui la disposizione dell'art. 619c.p.p. trova la sua "ratio" nell'esigenza di scongiurare l'annullamento della decisione impugnata tutte le volte in cui la Corte di Cassazione, rimanendo nell'ambito della sua funzione istituzionale e nel rispetto del fatto quale ritenuto dal giudice di merito, possa ovviare ad errori di diritto, insufficienze motivazionali o cadute di attenzione da parte del giudice "a quo" lasciando inalterato l'essenziale del contesto decisorio assunto con la sentenza esaminata.
2. Deve ora esaminarsi la questione che ha determinato la remissione del ricorso a queste Sezioni Unite, riassumibile nel seguente quesito. "se l'illecita detenzione, cessione, importazione ecc. di sostanza stupefacente che contenga un principio attivo così modesto da farne escludere l'efficacia drogante, integri il reato previsto e punito dall'art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990 o configuri un'ipotesi di reato impossibile ex art. 49 c.p., o comunque sia penalmente irrilevante".
Un primo indirizzo giurisprudenziale, nettamente prevalente, ritiene che qualsivoglia sostanza qualificata, sulla base delle tabelle vincenti, come psicotropa o stupefacente, se frazionata in modo tale da contenere in principio attivo talmente basso da non assicurare l'effetto drogante, sia inidonea a rendere configurabile il reato di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90.
Si sono pronunciate in tal senso: Sez VI 14-3-1984, Z...; idem 15-10-1990, F...; idem 15-10-1996, P.G. c. B....; Sez IV 1-10-1993, E.....; idem 3-11-1993, E...; idem 9-11-93, N...; Sez. I 25-6-1982, D... ed altri; idem 22-12-1984, C... .
Si è osservato, al riguardo, che:
a) il legislatore ha inteso punire la condotta di cui all'art. 73 Legge Stupefacenti non già per l'azione in sé e per se considerata, che le sostanze psicotrope o stupefacenti esplicano sulla psiche qualora vengano assunte, bensì per gli effetti conseguenti, ipnotici, ansiolitici, eccitanti o allucinogeni, propri di ciascuna di esse, come risulta dalla costante presa in esame di detti effetti nella previsione dei criteri per la formazione delle tabelle e dalla disposizione di chiusura ad "ogni sostanza naturale o sintetica che possa provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali", relativa alla tabella I;
b) allorché il principio attivo presente nello stupefacente sia così scarso da non poter produrre alcun effetto drogante si è in presenza di una sostanza inerte che non consente di configurare l'ipotesi criminosa prevista dall'art. 73 D.P.R. 309/90, ricorrendo in tal caso la fattispecie del reato impossibile per inidoneità dell'azione a norma dell'art. 49 c.p. che si correla al principio di legalità poiché impone di accertare, non la semplice ed esteriore conformità del fatto al modello legale, ma la sua conformità sostanziale al medesimo.
Un secondo indirizzo giurisprudenziale (Cass. VI 13-1-90, P...; IV 24-1-96, P.G. c. C...) ritiene configurabile il reato in questione in caso di detenzione, per fini di spaccio, di una pluralità di confezioni di stupefacente che, sommate tra loro, superino il limite minimo necessario per la produzione dell'effetto drogante; a nulla rilevando che ciascuna di tali confezioni contenga, in concentrazione pura, una quantità di principio attivo inferire a tale limite.
Si è precisato al riguardo, che:
a) un'azione può essere considerata inidonea ex art. 49 c. 2 c.p. solamente se la sua incapacità a produrre l'evento dannoso o pericoloso sia intrinseca ed assoluta;
b) l'evento di pericolo del reato "de quo" può ben prodursi con riferimento all'eventuale cessione ed assunzione, in una sola volta, della sostanza contenuta nelle singole bustine in modo da superare, in concentrazione pura, la quantità generalmente indicata come idonea a produrre l'azione stupefacente tipica di essa.
Un terzo indirizzo giurisprudenziale, al quale sembra riferirsi la Sezione remittente allorché sottolinea che l'interpretazione prevalente sia affida ad "incerti parametri valutativi", sostiene la giuridica irrilevanza del quantitativo di principio attivo contenuto nella dose in concreto presa in esame "perché la legge non lo prende in considerazione come elemento apprezzabile" sicché il riferimento da farsi è quello alla sola specie farmacologica individuata nelle tabelle secondo criteri predeterminati (Cass. I 20-2-87; s...).
3. Le diverse linee di interpretazione giurisprudenziale rendono necessario chiarire il quadro normativo penale vigente in materia di sostanze stupefacenti alla luce della convenzioni internazionali e delle affermazioni e considerazioni effettuate dalla Corte Costituzionale con pluralità di pronunce che hanno investito, sia pur di riflesso, anche il tema oggetto della presente indagine.
3.1. Deve anzitutto precisarsi che il processo legislativo del nostro Paese è stato influenzato dalle convenzioni internazionali con particolare riferimento all'ambito di individuazione delle sostanze, stupefacenti e psicotrope, da sottoporre a controllo penale.
Sono state, infatti, introdotte nel nostro ordinamento: a) la convenzione unica sugli stupefacenti adottata a New York il 30-3-61, emendata dal protocollo di Ginevra del 25-3-72, con la legge 5-6-74 n.412; b) la convenzione sulle sostanze psicotrope adottata a Vienna il 21-2-71, con la legge 25-5-81 n.385; c) la convenzioni delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, con annessi atto finale e raccomandazioni, con la legge 5-11-90 n. 328.
Le prime due convenzioni hanno adottato un criterio analitico per qualificare le sostanze come stupefacenti o psicotrope essendo stata l'individuazione di esse rimessa all'elencazione in tabelle apposite.
Per l'inserimento in tali elenchi di una sostanza nuova la convenzione di Vienna prevede, all'art. 2 la sua idoneità a provocare abusi ed effetti nocivi paragonabili a quelli, tipici, di altra sostanza già inclusa nelle tabelle ed in particolare che abbia attitudine a provocare uno stato di dipendenza ed una stimolazione o una depressione del sistema nervoso centrale.
Conformemente a quanto previsto nelle citate convenzioni internazionali in Italia vige, ex art.13 D.P.R./90, il sistema analitico-elencativo che consiste nell'individuazione delle sostanze, stupefacenti o psicotrope, in virtù del loro inserimento in tabelle emanate con decreto del Ministro della Sanità.
L'art. 14 della predetta normativa identifica le sostanze, ai fini tabellari, con riferimento alla struttura chimica di esse ed agli effetti che ne possono conseguire, sia diretti - allucinogeni, induttivi di distorsioni sensoriali ecc. - sia indiretti - idoneità a determinare dipendenza fisica e/o psichica nell'assuntore.
Le tabelle attualmente in vigore, elencative delle sostanze stupefacenti o psicotrope - intendendosi per tali quelle di derivazione sintetica -, sono di due tipi: quelle ricomprese sub 1 e 3 , che si riferiscono alle droghe pesanti, idonee a produrre effetti sul sistema nervoso centrale di natura depressiva - eroina, morfina, codeina ecc. -, oppure eccitante - cocaina, anfetamine -, e che hanno attitudine a determinare dipendenza fisica e/o psichica nell'assuntore; quelle previste sub 2 e 4 concernenti le droghe leggere, idonee a produrre effetti di natura allucinogena, come la cannabis indica e i suoi derivati - hashish, marijuana - per le quali i pericoli di dipendenza fisica e/o psichica sono considerevolmente minori.
3.2. La Corte Costituzionale ha affermato, in tema di fattispecie penali concernenti le sostanze stupefacenti, i seguenti principi:
a) Dal novero delle condotte contemplate nell'art. 73 legge stupefacenti, il successivo art. 75 ne estrapola tre - l'importazione, l'acquisto e la detenzione - per riferirle ad una finalità specifica dell'agente, che è quella di farne uso personale; a seguito dell'abrogazione referendaria è caduto il criterio della dose media giornaliera che tracciava un confine tra l'illecito perseguito penalmente e quello sanzionato solo in via amministrativa per quanto concerneva il consumatore sicché, attualmente, le tre condotte di cui sopra, ove finalizzate all'uso personale, sono interamente attratte nell'area dell'illecito amministrativo e sono divenute estranee a quella del penalmente rilevante.
In tal modo è risultata anche in parte modificata la stessa strategia di confermato contrasto delle diffusione della droga nel senso che è stata isolata la posizione del tossicodipendente e anche del tossicofilo, rendendo tale soggetto destinatario soltanto di sanzioni amministrative.
b) Le ragioni della depenalizzazione referendaria attengono, integralmente, alla persona dell'assuntore e le condotte prossime, con nesso di immediatezza al consumo, in tanto sono attratte nell'area della depenalizzazione in quanto si è voluto evitare ogni rischio di indiretta criminalizzazione al consumo.
Queste ragioni vengono radicalmente meno quando dalla persona dell'assuntore si passa a considerare altri soggetti diversi, onde si giustifica l'atteggiamento di rigore serbato dal legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, diretto a reprimere qualsiasi ipotesi di cessione, anche se gratuita e di modica quantità, qualunque sia il fine perseguito dal cedente.
E come non è dubbio che il controllo della diffusione della droga costituisca un legittimo obiettivo di politica criminale così anche non è incoerente, ed è quindi legittimo, che il legislatore intenda ostacolare in ogni caso la fase terminale costituita dalla distribuzione al minuto, che è quella connotata dalla finalizzazione all'uso personale del cessionario (Corte Costituzionale sentenza n: 296/96);
c) Scopo della vigente normativa penale è quello di combattere il mercato della droga al fine ultimo di espellerlo dal circuito nazionale per la tutela sia della salute pubblica, sempre più compromessa dalla diffusione delle sostanze stupefacenti, sia della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico negativamente incisi dal prosperare attorno a tale mercato dal fenomeno della criminalità organizzata, sia infine delle giovani generazioni (Corte Costituzionale sentenza 333/91 con riferimenti al preambolo della Convenzione di Vienna ed alla raccomandazione 4-10-88 n.1085 del Consiglio d'Europa);
d) La verifica del principio di offensività come limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore ordinario nel perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio di disvalore implica la ricognizione dell'astratta fattispecie penale depurata dalla variabilità del suo concreto atteggiarsi nei singoli comportamenti in esso sussumibili (sentenza n. 360/95) e non è carente di tale connotato la condotta relativa alla fase terminale del narcotraffico, consistente nella cessione al consumatore, fase che normalmente si realizza proprio mediante la cessione capillare di modesti quantitativi di sostanza stupefacente (sentenza n.296/96 già citata);
e) Diverso profilo è quello dell'offensività specifica della singola condotta in concreto accertata, ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio i beni giuridici tutelati viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta poiché l'indispensabile connotazione di offensività in generale di quest'ultima, implica, di riflesso, la necessità che, anche in concreto, l'offensività sia ravvisabile, almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (sentenze n. 333/91, 133/92, 360/95).
4. Il problema dell'offensività specifica della singola condotta dell'agente, concernente l'illecita detenzione, importazione ecc. di sostanza stupefacente si pone, dunque, con riferimento alla previsione di cui all'art. 49 c.p. che, al secondo comma, disciplina la figura del reato impossibile sotto il duplice profilo dell'inidoneità dell'azione e dell'inesistenza dell'oggetto.
4.1. In dottrina si è osservato che, malgrado il nostro legislatore abbia considerato il delitto impossibile una figura a sé, esso, in sostanza, non sarebbe altro che un tentativo rimasto senza successo sicché l'inidoneità dell'azione andrebbe intesa con gli altri criteri che vengono utilizzati, rovesciati, per giudicare dell'idoneità degli atti nel tentativo.
Secondo un'altra corrente dottrinaria l'art. 49 c. 2 c.p. avrebbe ad oggetto - almeno per ciò che concerne il reato impossibile per inidoneità dell'azione - una figura distinta dal tentativo inidoneo in quanto la norma permetterebbe di sostenere la necessità che ogni comportamento, per essere reato alla stregua del diritto, leda effettivamente l'interesse tutelato dalla norma, con conseguente dichiarazione di non punibilità di un'azione, la quale, benché formalmente conforme al tipo descritto dal modello legale, sia incapace di esprimere l'evento dannoso o pericoloso.
A tale assunto interpretativo è stato obiettato che il criterio atto ad accertare l'offensività o meno di un comportamento conforme al tipo descritto dalla norma non è offerto dall'articolo in questione che si limita ad enunciare una prescrizione a carattere generale dalla quale esorbita qualsiasi riferimento ad interessi specifici e determinati.
Conseguentemente, poiché l'interesse tutelato dovrebbe essere dedotto, dall'intera struttura della fattispecie, comprensiva delle modalità dell'azione, dell'oggetto materiale, dell'effetto naturalistico, delle situazioni scriminanti, delle circostanze del reato e dell'elemento soggettivo, non sarebbe possibile rinvenire l'interesse tutelato se non sulla base della descrizione normativa delle singole figure di illecito.
Secondo altra autorevole dottrina, pur dovendosi ammettere che il principio dell'offensività dell'azione è l'unico idonea a fornire una ragione di essere all'art. 49 c.p., il cui autonomo inserimento nel codice penale non sarebbe altrimenti giustificabile, è tuttavia criticabile perché esprime un'interpretazione di detta norma capace di esaltarla a cardine dell'ordinamento come disposizione che imporrebbe, in ogni caso, la determinazione ulteriore della lesività o meno di ogni condotta pur conforme al modello legale delineato da una norma incriminatrice.
Le ragioni del distinguo tra reato inidoneo e delitto impossibile andrebbero ravvisate sulla base della non conformità del fatto al modello legale, da valutarsi con giudizio ex ante, quanto al primo, e mediante l'accertamento della mancata violazione dell'interesse oggetto a tutela, malgrado la tipicità dell'azione posta in essere, tenuto conto della concreta situazione verificatasi, con apprezzamento ex post, quanto al secondo.
Sulla base di tale distinzione, dunque, per accertare se il bene protetto dalla norma abbia corso un reale pericolo, non sarebbe sufficiente limitarsi ad un giudizio prognostico nella sola ottica del soggetto agente, effettuato cioè con gli stessi criteri predisposti dall'art. 56 c.p., in quanto, a tale prima verifica, se ne dovrebbe aggiungere una seconda, da compiersi nell'ottica della vittima come titolare del bene posto in pericolo, cosicché dovrebbe tenersi conto, non soltanto delle circostanze conosciute o conoscibili dall'agente, al momento dell'azione, ma anche di tutte le circostanze presenti nella situazione data, quale che sia il momento in cui vengono conosciute.
4.2. In giurisprudenza si è configurata l'incapacità dell'azione a produrre l'evento indipendentemente da tutti quei fattori estranei che abbiano, in concreto, impedito la lesione dell'interesse giuridico protetto, essendosi dato rilievo all'ìnefficacia intrinseca ed originaria degli atti, sotto il profilo esclusivamente potenziale, a ledere il bene tutelato dalla norma, con giudizio "ex ante" (Cass. Sez. Un. 30-4-83, lettera B...; Cass. I 24-4-88, M...; VI 12-3-82, T...; idem 4-6-90, P...).
In particolare è stato evidenziato che l'inidoneità dell'azione ai sensi dell'art. 49 c. 2 c.p. da valutare sulla base dell'efficienza strutturale degli atti, deve avere natura intrinseca ed originaria e presentare, altresì, il carattere dell'assolutezza, tale cioè da non consentire neppure un'attuazione eccezionale del proposito criminoso (Cass. VI 4-6-90 P...).
4.3. Tale impostazione merita di essere condivisa perché, dando rilievo alla mera potenzialità dell'azione a ledere il bene tutelato dalla norma, riconduce al momento deliberativo la valutazione sull'idoneità o meno della stessa, escludendo la rilevanza di fattori esterni, sopravvenuti e, talvolta, occasionali, del tutto al di fuori di ogni possibile rappresentazione che non eliminano la pericolosità degli atti come previsti dal soggetto attivo.
Peraltro, a differenza dell'ipotesi del tentativo, in cui l'idoneità degli atti va valutata sulla base di tutte le conoscenze dell'uomo medio in applicazione del principio dell'adeguatezza dei medesimi rispetto alla produzione dell'evento, l'inidoneità dell'azione ai sensi dell'art. 49 comma 2 c.p. deve essere ritenuta anche quando l'evento, per particolari condizioni potenzialmente rappresentabili - tra cui vanno ricomprese quelle concernenti il soggetto passivo - si presenti, "ab origine" come di possibile anche se non di probabile realizzazione.
4.4. L'oggetto giuridico del reato, rappresentato dal bene del soggetto passivo direttamente offeso dalla violazione della norma penale - vita, integrità personale, libertà, onore, patrimoni, ecc - costituisce la vera essenza del reato stesso, che, se formalmente appare come la violazione di un precetto giuridico munito di sanzione criminale, sostanzialmente consiste nell'offesa del bene da esso protetto.
Per l'individuazione di tale bene, talvolta tutelato da più norme contemporaneamente, talaltra individuabile, congiuntamente ad altri, nella medesima disposizione - reati cosiddetti plurioffensivi - è stato fatto riferimento, tanto in dottrina che in giurisprudenza, al più ampio concetto di "ratio" della norma, rappresentata dall'esigenza sociale che l'ha imposta in rapporto alla realtà che essa sottende nell'ambito della comunità in cui è entrata in vigore.
In tema di stupefacenti, come si è già in precedenza sottolineato, sulla base di principi affermati in sede internazionale e ribaditi dalla Corte Cotituzionale, scopo dellincriminazione delle condotte previste dall'art. 73 D.P.R. 309/90 è quello di combattere il mercato della droga, espellendolo dal circuito nazionale poiché, proprio attraverso la cessione al consumatore viene realizzata la circolazione della droga e viene alimentato il mercato di essa che mette in pericolo la salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni.
Ciò premesso va osservato che:
a) in alcune delle sentenze riconducibili all'indirizzo secondo cui la sostanza rientrante nell'elencazione delle vigenti tabelle sarebbe da considerare inerte e perciò inidonea a formare oggetto dell'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 73 legge stupefacenti qualora non superi la soglia dell'effetto drogante, il riferimento alla percentuale di principio attivo è stato effettuato sulla base della dose media di principio attivo per quanto concerne sia l'hashish (Cass. VI 4-12-88, B...) che la marijuana (Cass. I 25-6-82, D... ed altri);
b) tale parametro è frutto di un'interpretazione giuridicamente non corretta dell'art. 49. C.p. in quanto, anche a voler seguire la tesi dell'inoffensività delle sostanze stupefacenti prive di efficacia drogante, la valutazione da compiere, alla luce dei principi sopra enunciati, al fine di ritenere intrinsecamente inidonea, in senso assoluto, l'azione dello spacciatore è quella che riguarda la condizione soggettiva dell'assuntore in relazione al peso corporeo, all'età, alla reattività al prodotto ed al comportamento del medesimo in ordine alle modalità di assunzione, valutate in negativo, in misura cioè corrispondente alle condizioni minime di resistenza alla tossicità del prodotto;
c) I parametri di riferimento concernenti il limite minimo drogante sono stati tutt'altro che uniformi.
In particolare, per quanto concerne l'eroina la soglia dell'effetto stupefacente è stata fissata in 25-30 mg di principio attivo (Cass. IV 9-11-93 N...; VI 15-10-96, P.G. c. B...), in 18,4 mg (Cass. IV 24-1-96, P.G. c. C...), in 5-6 mg (Cass. VI 13-1-90, P...).
d) L'incertezza che ne è derivata, sotto il profilo della repressione penale relativa al mercato della droga, imposta al nostro Paese dalla convenzioni internazionali alle quali ha aderito è basata sull'erroneo presupposto che il bene giuridico della salute pubblica, ricompreso tra quelli oggetto della tutela penale di cui trattasi non sia suscettibile di essere messo in pericolo dall'assunzione di sostanze elencate come stupefacenti o psicotrope che non superino la cosiddetta soglia drogante;
e) E' stato più volte, al contrario, sottolineato in sede scientifica che le sostanze in questione agiscono esplicando un'attività farmacologica a danno del sistema nervoso centrale e sono idonee ad alterare le funzioni psichiche particolarmente quando l'assuntore sia un soggetto debole e giovane.
5. Ma una considerazione di fondo si impone.
Il legislatore non ha fornito una definizione delle sostanze stupefacenti o psicotrope essendosi limitato ad individuarle e catalogarle.
Il riferimento fatto dal medesimo alla struttura chimica delle stesse ed agli effetti diretti ed indiretti, che producono in danno dell'assuntore in caso di dosaggio drogante, se rileva al fine della loro individuazione per la composizione delle tabelle non rileva invece alk fine dell'individuazione delle condotte penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 73 del D.P.R. 309/90;
Nel nostro ordinamento, invero, in mancanza di una definizione farmacologica, la nozione di stupefacente non può che avere natura legale, nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti.
Il fatto che il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio possa non superare la cosiddetta "soglia drogante", in mancanza di ogni riferimento parametrico previsto per legge o per decreto, non ha rilevanza ai fini della punibilità del fatto.
L'inidoneità dell'azione, relativamente alle fattispecie previste dall'art. 73 legge stupefacenti va dunque valutata unicamente avuto riguardo ai beni oggetto della tutela penale, individuabili, come già si è detto in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico, nonché della salvaguardai delle giovani generazioni.
Tali beni sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante sia per le considerazioni già svolte, concernenti la salute pubblica, ulteriormente minacciata dal possibile impiego antigienico di determinati mezzi di assunzione, sia perché trattasi di attività riconducibili al mercato della droga, alimentato dalla cessione al consumatore finale, qualunque sia il quantitativo di volta in volta ceduto, ed attorno al quale prospera il fenomeno della criminalità organizzata.
Alla luce di tali considerazioni l'assunto del ricorrente secondo cui l'illecita detenzione e vendita di sostanza stupefacente contenente mg. 13,4 di eroina base sarebbe priva di rilevanza penale per inidoneità dell'azione, trattandosi di principio attivo al di sotto della soglia che assicura l'effetto drogante, appare infondato.
Il ricorso del K... deve pertanto essere rigettato ed il medesimo va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 24 giugno 1998
Seguono firme