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Partito Radicale Roma - 2 novembre 1998
L'EUROPA ALLA RICERCA DI CANDIDE

Socialdemocratici al potere

Da La Stampa(pag. 1 e pag. 11), venerdi' 30 ottobre 1998

Di Barbara Spinelli

In un primo momento puo' sembrare strano, questo tranquillo e costante estendersi dei socialismi in quasi tutta l'Europa: socialismi di vario tipo, compreso il partito riformato di Massimo D'Alema.

Puo' sembrare strano questo rinascere inatteso, a dispetto di tanti fallimenti storici, dei Muri caduti, delle utopie seppellite. Naturali vincitrici della guerra fredda, le forze che avevano puntato sul liberismo economico sono a quasi tutte in ritirata, incapaci di spiegare a se stesse i difetti delle proprie dottrine. Si comportano come fossero state colte di sorpresa, da un vento che non avevano saputo ne' prevedere, ne' pensare. Non e' il vento di una

ideologia restaurata, a travolgerle con tanta forza. Non sono i reperibili sistemi compatti di pensiero o programmi circostanziati, nelle parole di Jospin o di a Schroeder, di D'Alema o di Blair. Quel che unisce i nuovi sovrani d'Europa e' piuttosto il contrario: e' un assenza ostentata di ideologie, e' il rifiuto di visioni sicure del futuro, a volte e' addirittura un procedere a tentoni nel buio, nell'incertezza. Una cosa sta loro veramente a cuore:

restituire al sovrano la legittimita' che negli ultimi decenni era andata perduta, rendere le promesse elettorali piu' compatibili con i vincoli sovrannazionali di disciplina economica, e soprattutto ristabilire il primato della politica su quelle che comunemente vengono chiamate: leggi naturali dell'economia - mondo.

E' l'infallibilita' di queste leggi che viene oggi messa, in discussione, in modo aspro: non solo attraverso sommosse popolari, ma piu' freddamente attraverso le urne. E' il loro aspetto fortemente dogmatico, impermeabile alle critiche, alle smentite che possono venire dalla realta' dei fatti. In questo i neoliberisti che hanno egemonizzato le menti

la caduta del Muto di Berlino fanno pensare a una chiesa: qualsiasi obiezione e' vista come eresia, qualsiasi tragedia o disastro diventa tassello di un piano provvidenziale ineluttabilmente salvifico. Precisamente qui e' la chiave, paradossale, delle recenti vittorie socialiste o socialdemocratiche in Europa. Proprio perche' hanno un passato fortemente ideologico, i nuovi politici di sinistra come Blair o Jospin, Lafontaine o D'Alema, hanno un fiuto per la patologie diaboliche delle illusioni utopistiche. Questo speciale diavolo lo conoscono, per averlo in altri tempi servito o comunque incrociato. Ne conoscono le lusinghe, le comodita' mentali, le menzogne, infine le cadute. Sono stati loro a intuire che il neoliberismo in Occidente era qualcosa di piu' che un metodo appropriato per risanare i deficit pubblici, qualcosa di piu' che una ricetta per laicizzare l'economia emancipandola dalle eccessive tutele della politica. Che era divenuto una vere e propria ideologia d'avanguardia: con i suoi dogmi, le su

e inoppugnabili ortodossie, i suoi sistematici appelli alle leggi naturali, le sue pretese all'infallibilita'. La vittoria dei socialismi e' in prima rivolta della politica contro le sicure certezze teleologiche del capitalismo occidentale, quale si e' sviluppato in concomitanza con la fine della guerra freddo. Ancora non e' chiaro il volto che assumera' tale rivolta, nei vari Paesi: se avra' le fattezze di una regressione ideologica, di una fiamma illusoria, o di nuove forme di chiusura nazionale. Se facilitera' una Unione piu' politica fra europei, o indebolira' le forme che l'Unione fin qui si e' data. Chiaro sembra essere invece lo scenario, in mezzo al quale ci troviamo da qualche tempo. Ecco l'Europa alle prese con le filosofie neoliberiste di Pangloss, come nell'apologo di Voltaire. Pangloss insegna la metafisico - teologo - cosmo- nigologia, e la sua dottrina e' evidente: tutto va bene, nel migliore dei mondi possibili; tutto e' ingranato necessariamente e si dirige verso il meglio. Possono sopravv

enire terremoti o guerre o disgrazie individuali, i politici possono perdere credibilita' o i disoccupati possono aumentare ancor piu': poco importa, visto che il fine e' buono. Tutte queste disgrazie sono indispensabili - decreta Pangloss - "e succedono per il bene pubblico: in modo che quante piu' disgrazie individuali esistono, tanto piu' tutto e' bene". Questa e' la grande illusione in cui si sono cullati gli ideologhi del liberismo economico, prima di naufragare sugli scogli dell'Asia o della Russia. Dal che si vede come le illusioni siano tutt'altro che perite, e abbiano un grande avvenire di fronte a se'. Il neoliberismo e' una delle ultime illusioni del secolo, e ha gia' fatto non pochi danni.

Piu' ancora che a una chiesa, l'illusione liberista somiglia per molti versi all'illusione bolscevica. Vi si scorge la stessa indifferenza per quel che accade nel mondo dei fatti reali, lo stessi profondo disprezzo per la gente ordinaria, la stessa disattenzione per i disastri che si preparano, la stessa visione teleologica della storia con l'accento messo sull'ineluttabile fine: fine escatologica che diventa infinitamente piu' importante del mezzo, del movimento, del cammino percorso. Apparentemente ostili a qualsiasi idea di pianificazione economica, i Pangloss neoliberali hanno pur tuttavia in mente un loro

esoterico Piano: il Piano che inevitabilmente guarira' le nazioni correggendole o castigandole.

E' perche' coltivano questo piano lineare di salvezza che i neoliberisti non hanno visto quel

che stava maturando, nei singoli Paesi asiatici e poi in Russia. L'ottimismo li guidava, e l'ottimismo li rese ciechi alle avvisaglie che pure non mancavano.

L'Asia restava ai loro occhi l'EIdorado della crescita o dell'economia mondializzata, mentre gia' quelle terre tremavano. Poche settimane prima del collasso, il Fondo Monetario preannunciava tassi eccezionali di crescita in Indonesia, pari all'8 per cento, e tassi analoghi nelle restanti nazioni d'Oriente. Le economie di questa regione venivano elogiate

fino alla vigilia del crack: Erano i tempi in cui si vagheggiava un capitalismo del tutto sconnesso dagli Stati, dalla politica, dalla democrazia di tipo occidentale.

Poco meno di un anno dopo crolla anche la Russia, dove la filosofia panglossiana si era piu' virtuosamente esercitata. Ed e' proprio qui che il neoliberismo diventa ideologia, illusione utopistica che non bada ne' alla realta', ne' alle storie delle nazioni, ne' a quel che si muove nei loro bassifondi. Si ricordera' l'entusiasmo di tanti neoliberisti per l'ascesa mafiosa delle nomenclature post comuniste. Si ricorderanno le leggende sul ladro post

sovietico che un giorno diverra' ottimo capitalista: leggende ripetute per anni da giornali come l'Economist, o Wall Street Journal. Non siamo molto lontani dalla fiaba dell'Uomo Nuovo, che il comunismo prometteva di edificare. Si ricorderanno gli ottimistici piani di salvataggio, che i responsabili finanziari d'Occidente avevano immaginato per la Russia: importante era versare soldi, ininterrottamente, senza badare all'uso che ne veniva fatto. Importante era la nascita di forme sia pur primitive, illegali, di capitalismo: forme che anche l'Occidente aveva peraltro conosciuto in passato, e dalle quali si era liberato in seguito a lotte lente, lunghe. Cosi', guardandosi allo specchio e senza mai vedere veramente quel che avevano di fronte, i neoliberisti si sono rivolti alla Russia, diseducata da 75 anni di comunismo. Non hanno visto l'erosione di ogni regola, di ogni legge. Non hanno vi'sto l'estendersi di nomenclature post e neo comuniste sempre piu' criminali. Hanno fatto attenzione solo al numero delle

privatizzazioni, all'emancipazione formale dell'economia dallo Stato, e non si sono preoccupati quando e' apparso chiaro che non esisteva praticamente piu' uno Stato funzionante in Russia, ne' una classe di politici legittimati a imporre sacrifici e rigore alla nazione.

Il politologo Anatol Lieven parla di' vera e propria "bolscevizzazione del discorso capitalista rivoluzionario": rivoluzionario perche' pronto a sacrificare tutto in nome del finale "progresso" (Prospect, ottobre '98). Nello sue dogmatiche certezze, l'ideologia neoliberista ha perso perfino la memoria della propria storia. Ha dimenticato che il capitalismo fu si selvaggio in Europa, ma che al contempo esistevano Stati forti, istituzioni dotate di legittimita', antiche tradizioni di diritto. Sono queste istituzioni che vengono meno, quando il neoliberismo si ideologizza. I moderni Pangloss non amano molto lo politica - con le sue lentezze, con i suoi bisogni di legittimazione popolare - e non ammettono che essa abbia il primato sui propri piani di salvezza mondializzata.

Si puo' capire meglio in simili circostanze la rivalsa della politica, quale si esprime oggi nell'avvento dei socialismi d'Europa. Il neo liberismo ha affrancato le menti e le ha rese piu' lucide - cosi' lucide da concepire l'idea della Moneta Unica, negli Anni 80 - ma le ha anche addormentate: con Il suo ottimismo, con la sua imperturbabili indifferenze alle ferite che puo' aprire una prolungata, rigida disciplina economia.

Nella versione neo-bolscevica, questo liberismo ha fallito in maniera colossale: sia in Asia che in Russia. Il vigore dei socialisti nasce da queste impotenze, da questi fallimenti.

In maniera contraddittoria, essi si fanno portavoce di una domanda diffusa: domanda di nuovo regole nel sistema finanziario internazionale, domanda di un Euro accompagnato da progetti politici, domanda sulla natura profonda dalle mutazioni che stiamo attraversando - mutazioni delle famiglie, del lavoro, del tempo libero.

Ma c'e' soprattutto domanda di uomini politici stile Candide, per l'Europa. Non se ne vedono molti in giro, ma un accostamento al modello non e' impossibile. Candide ha preso congedo dalla ideologie, ha demistificato Pangloss. Sa ormai che non tutto va per il meglio, in questo mondo. Sa che non sempre il reale e' razionale, e non sempre il razionale e' reale. Candide ha gli occhi spalancati sulla realta', e non racconta ne' a se stesso ne' ai propri elettori favole ottimistiche sulle prestabilite armonie che inevitabilmente verranno.

 
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