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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 10 novembre 1998
RICORDARE CHE IL RIFORMISMO E' ANCHE LIBERALDEMOCRATICO. IL FILONE CHE ANNOVERA GOBETTI, SALVEMINI, PARRI NON PUO' STARE NELL'OBLIO
L'intervento di Antonio Maccanico

Da IL CORRIERE DELLA SERA, lunedi' 9 novembre 1998

Caro direttore,

il convegno sui riformisti al governo d'Europa organizzato dalla Fondazione di cultura Italianieuropei, ad Orvieto, nei giorni scorsi e' stato un notevole evento politico-culturale. La larghissima partecipazione di uomini di cultura e di personalita' dell'economia, il contenuto assai elevato dei contributi e primo fra tutti quello di Giuliano Amato, ma soprattutto la presenza di Walter Veltroni e del Presidente del Consiglio Massimo D'Alema - che e' anche intervenuto con un discorso molto denso di indicazioni e di impegni - hanno significato una scelta assai decisa e convinta nel senso della costruzione di un disegno riformistico di alto respiro europeo della sinistra italiana.

Non sono mancati i riferimenti ai notevoli costi e ai rischi che una tale scelta comporta, in un quadro economico internazionale che e' tutt'altro che rassicurante e in una condizione politica, sociale ed istituzionale del Paese, che conserva forti elementi di instabilita' e di incertezza. Ma, sicuramente, questo larghissimo e serio dibattito svoltosi pochi giorni dopo la nascita del primo governo a guida di un uomo della sinistra, per cosi' dire, storica e' un importante viatico ed una sollecitazione forte a politiche innovative e coraggiose, pur nel senso della continuita' con la straordinaria esperienza del governo Prodi.

E' particolarmente apprezzabile che tutti gli interventi e le stesse relazioni siano stati svolti con uno sguardo al futuro, ai nodi da sciogliere, alle complesse problematiche da fronteggiare, ai numerosi ostacoli da rimuovere, alla necessita' di contrastare vecchi pregiudizi e rendite di posizione alle innovazioni anche culturali che e' indispensabile affrontare.

Eppure una carenza si e' notata, ed e' bene rilevarlo, anche perche' il dibattito apertosi ad Orvieto non e' chiuso dominera' i mesi e gli anni futuri ci occupera' a lungo.

Quando in Italia si parla di riformismo non si puo' dimenticare che il riformismo italiano, inteso nel senso piu' largo e' un fiume con diversi affluenti. Oltre al riformismo classico dei Turati e dei Prampolini, v'e' un riformismo di matrice liberal-democratica laica e un riformismo dei cattolici democratici.

V'e' un filone politico culturale liberal-democratico e liberal-socialista che non e' stata mai classista. Gobetti, Salvemini, Rosselli, il movimento Giustizia e Liberta', il Partito d'Azione, con Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Adolfo Tino, Bruno Visentini, Altiero Spinelli, Mario Pannunzio, Ernesto Rossi e gli "amici del Mondo", la schiera dei meridionalisti: Dorso, Rossi Doria, Compagna. Furono sempre minoranze coraggiose che hanno lasciato nella vita italiana semi assai fecondi. La cultura democratica italiana, l'europeismo, devono molto all'impegno intellettuale e morale di questi uomini, prima del fascismo durante il fascismo e dopo il fascismo.

Il liberalismo riformista italiano ha una storia gloriosa che ci attenderemmo di vedere ricordata e rivalutata, sotratta all'oblio. Soprattutto quando si parla di Europa, che fu la stella polare della vita di questi uomini. Non si tratta di costruire un'agiografia del riformismo italiano, ma di richiamarsi ad alcune figure che incarnarono grandi valori che al presente appaiono appannati, e di riconoscere una identita' politica a questa tradizione.

E' giusto guardare innanzitutto ai problemi della globalizzazione dell'economia, a quelli della integrazione dell'Unione europea, a quelli dell'occupazione e della riforma del welfare. Ma non credo abbia minore importanza ricordare e sentirsi legati ad una tradizione politica che si richiamava anche all'esigenza di un rinnovamento profondo della politica e del costume, ad una visione alta della vita istituzionale e democratica, ad una vera rivoluzione liberale, quando v'e' diffuso il timore di una ripresa di vecchie prassi spartitorie e partitocratiche. Forse il convegno di Orvieto non era la sede adatta per questa "rivisitazione", come ora si dice. Ma non sarebbe male se la Fondazione pensasse ad una occasione nuova per trattare questi temi che non mi paiono secondari.

Gli eredi del movimento operaio italiano sono arrivati con determinazione e coraggio dopo molti travagli alla sponda del riformismo e dell'europeismo, ma su questa sponda si intravedono le grandi ombre di coloro che con fede li hanno attesi.

 
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