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Conferenza Rivoluzione liberale
Vernaglione Piero - 11 novembre 1998
A proposito delle combinazioni proposte da Dell'Alba relativamente a liberali, liberisti e libertari, credo che dobbiamo intenderci sul significato dei termini, altrimenti qualunque affermazione rischia di rimanere un puro giochetto semantico. Propongo la seguente classificazione:

Liberale è colui che: 1) applica l'individualismo sul piano metodologico, e dunque pone come fine della società e dell'organizzazione politica la libertà individuale. L'individuo è il fine, la fonte di valore, il soggetto che ha il primato sulla società e sullo Stato. Da ciò deriva: riconoscimento e difesa dei diritti civili (e, nel Novecento, dei diritti politici). 2) Si preoccupa di controllare e ridurre il potere dello Stato. Dunque: divisione dei poteri, certezza del diritto attraverso poche norme generali e astratte e il rispetto delle procedure, garantismo in materia giudiziaria. 3) Afferma l'uguaglianza degli individui di fronte alla legge (uguaglianza giuridica, formale, non sostanziale). 4) E' convinto che l'antagonismo fra gli individui, i gruppi, i ceti e le classi sia estremamente fecondo; il confronto e il conflitto in campo economico, sociale, politico e culturale determinano il progresso della società. La società pluralistico-conflittuale è enormemente superiore a qualsiasi società omogenea e

organicistica, che è statica e stagnante. 5) Ritiene che il compito dello Stato, o di qualsiasi altra autorità, non debba essere quello di rendere gli uomini "virtuosi", ma solo di impedire che si aggrediscano reciprocamente. Anche perché la volontà di rigenerare l'umanità produce regimi autoritari e dispotici. 6) Pretende la laicità dello Stato.

Liberista: teoricamente è il termine di più immediata comprensione, in quanto riguarda la sfera economica. Tuttavia il grado di liberismo delle singole misure varia nel giudizio delle persone. Ad esempio, misure considerate radicalmente liberiste dalla sinistra nel mondo, come i buoni sanità o i buoni scuola o l'imposta negativa sul reddito (proposte da Milton Friedman negli Stati Uniti e dal Polo delle libertà nel 1994) sono considerate moderate dai "libertarians" americani perchè comportano un intervento redistributivo da parte dello Stato. Comunque, a grandi linee possiamo dire che il termine è abbastanza esplicativo.

Libertario: questo è il termine che a mio avviso crea più problemi interpretativi. Io contesto l'identificazione del libertarismo con l'anarco-liberismo, come fanno ormai molti filosofi della politica nelle loro classificazioni (lo fa ad esempio Cubeddu in Italia). In un recente articolo ho suggerito un criterio diverso per distinguere il libertarismo dal liberalismo tradizionale: il discrimine dovrebbe essere costituito dalla tematica dei cosiddetti "crimini senza vittime". Il libertario è contrario alla proibizione giuridica delle droghe, dell'aborto, della prostituzione ecc., insomma di tutti gli atti che non danneggiano direttamente altri individui, e che si basano su scambi fra consenzienti. Ammetto che tale criterio non possiede una nettezza assoluta, perchè molti liberali moderati potrebbero riconoscersi in alcune di queste tematiche (ad esempio l'aborto), tuttavia mi sembra inaccettabile sul piano culturale non considerare libertari autori come Nozick o Friedman o Hospers, solo perchè sono favorevol

i ad uno stato minimo e non all'estinzione dello Stato come gli anarco-liberisti.

Date tali premesse, mi esercito anch'io sulle possibili permutazioni del trittico liberale-liberista-libertario.

Non concordo con l'affermazione secondo cui si può essere liberali senza essere liberisti. Gran parte del pensiero liberale dalle origini ad oggi (Locke, Humboldt, Kant, Constant, Smith, Spencer, Jellinek, Mises, Hayek) è nettamente schierato a favore del "laissez faire". Chi si riconosce nei punti che ho indicato alla voce liberale, ma è favorevole ad un deciso intervento dello Stato in campo economico, non è un liberale, è un liberal, senza la "e", che è un'altra cosa.

E' evidente che si può essere liberisti senza essere liberali (nè libertari), basta far riferimento agli autoritarismi di mercato del sud-est asiatico o al Cile di Pinochet.

Dissento sul fatto che si possa essere libertari senza essere liberali: continuo a trovare insopportabile che, ad esempio, quelli di Rifondazione comunista si proclamino libertari solo perchè strizzano l'occhio a chi si fa qualche spinello. Il libertarismo comporta la completa autonomia degli individui nelle loro scelte, in quanto ognuno è il miglior giudice dei propri interessi e dei propri bisogni; il paternalismo sociale e la solidarietà obbligatoria praticati e proclamati dalla sinistra conduce ad esiti antitetici rispetto agli auspici del libertarismo (lo si vede in materia di bioetica, di prostituzione, di telecomunicazioni e in tanti altri campi della vita sociale).

 
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