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Radio Radicale Sergio - 27 novembre 1998
SCIASCIA Il giorno del riscatto

DIBATTITI A Racalmuto, un incontro sui "professionisti dell'antimafia" a undici anni dall'editoriale

che li attaccava. Il mea culpa degli accusatori di allora, tra cui il pm Lo Forte

Corriere della Sera 25/11/1998

dal nostro inviato GOFFREDO BUCCINI

RACALMUTO

Undici anni dopo, le parole sono ancora pietre. "Quaquaraquà", gli dissero, come in un grottesco contrappasso. "Un quaquaraquà da mettere ai margini della società civile...". Undici anni dopo, Guido Lo Forte stringe le palpebre. Sorride in una smorfia: "Più che sbagliate, quelle parole del Coordinamento antimafia contro Sciascia furono comiche". Una pausa, poi il vice di Giancarlo Caselli aggiunge: "Sciascia fece il suo dovere di intellettuale. Però bisogna ricordare quei tempi, quelle tensioni, per capire...".

Qui a Racalmuto, "paese della ragione", diecimila anime che forse la sola vita di Sciascia ha salvato dal mutismo morale e dall'omertà mafiosa, si celebra ora l'ultimo atto di una storia di dolori e lacerazioni. Undici anni fa, tempi del maxiprocesso di Palermo, il 10 gennaio '87, l'autore de Il giorno della civetta pubblica sul Corriere il suo lungo articolo sui "professionisti dell'antimafia", dove spiega come e perché l'impegno contro le cosche possa diventare strumento di potere per qualcuno. Chiamati in causa sono il sindaco Orlando (seppure mai nominato) e il giudice Borsellino, appena mandato dal Csm a guidare la Procura di Marsala. E' una pagina che spacca in due l'Italia, un'Italia dove Cosa Nostra ha ormai alterato, avvelenato la dialettica civile: buoni contro cattivi, dunque, a seconda del punto di vista, con una durezza dogmatica che non può che sgomentare lo scrittore, il quale tenta invano di spiegare come il suo fosse un richiamo alle regole, perché lo strappo alle regole è il regalo più gran

de che si possa fare a Cosa Nostra. E' una polemica che riemerge come un fiume carsico ancora nel '93, quando Sciascia non può più rispondere: grandi firme del giornalismo si scambiano rasoiate. Una polemica che torna a ogni svolta del dibattito su antimafia e garanzie.

Undici anni dopo, oggi, forse si può chiudere. Ci provano quelli della Fondazione Sciascia, con questo incontro tra politici, avvocati e giornalisti, introdotto dall'inviato del Corriere Felice Cavallaro. Forse si può chiudere. Ci prova Lo Forte: "Sciascia avviò dall'alto della sua cultura un dibattito moderno, magari troppo moderno rispetto alle condizioni della Sicilia di allora. La nomina di Borsellino era fuori discussione. Ma quello di Sciascia fu un discorso Sicilia, ma anche nelle istituzioni dell'epoca", dice il procuratore aggiunto di Palermo: "Quello di Sciascia era un discorso alto, fu un errore ridurlo in ambito di politica locale o di correnti della magistratura". Lo Forte invoca "il rigoroso rispetto dello Stato di diritto come unica strada per battere davvero la mafia", e sorride a chi gli fa notare che qui pare davvero di sentire il Maestro di Racalmuto. C'è un lungo strascico in questa storia. Piero Ostellino, che da direttore del Corriere pubblicò e difese gli articoli di Sciascia, duelland

o con Giampaolo Pansa allora a Repubblica, medita: "Quando lasciai il Corriere, anche Sciascia fu indotto a lasciarlo... Ma certo quella era un'Italia diversa, divisa in due. Oggi sono convinto che il Corriere si terrebbe stretto Sciascia e ripubblicherebbe tutti i suoi articoli".

Undici anni dopo, forse non è finita. Non è finita per padre Ennio Pintacuda: "Quell'articolo fu peggio di una bomba atomica, se non fosse intervenuto Pansa ci saremmo sentiti addosso il mitra non solo della mafia". Parole come pietre, ancora oggi. Undici anni dopo, Angela Lo Canto, ex del Coordinamento antimafia, si rammarica per i toni dell'attacco allo scrittore, "non per il merito". Su corso Garibaldi, la statua di Sciascia, bassa, senza piedistallo, sbuca dal marciapiedi come un passante di bronzo cristallizzato nel vento. Perfino su quella statua ci si divide in rigide fazioni da due anni: "Splendida, come quella di Pessoa a Lisbona, immersa tra la gente com'era lui". "Un oltraggio, senza protezione, esposta a tutto e tutti". Dubbi, zero. Come per un paradosso pirandelliano, il lascito dell'uomo che insegnava a diffidare delle certezze si traduce in convinzioni di granito.

 
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