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Conferenza Rivoluzione liberale
Radio Radicale Sergio - 27 novembre 1998
1976: "Ecco perché milito nel Pci"

di LEONARDO SCIASCIA

Pubblichiamo una lettera inedita di Sciascia, scritta da Palermo il 24 giugno 1976 ad Antonio Motta, direttore del Centro Sciascia di San Marco in Lamis (Foggia). Con questa lettera, Sciascia rispondeva ad alcune domande postegli dal suo interlocutore. La lettera apparirà nel nuovo numero de "L'Almanacco dell'Altana" (Edizioni dell'Altana)

Corriere della Sera 25/11/1998

Caro Motta, La ringrazio di tutto (...).

Alle sue domande preferisco rispondere discorsivamente invece che, seccamente ad una ad una. La "questione meridionale". Per me è perfettamente naturale averla vissuta, viverla, rappresentarla. Sono nato in Sicilia, ci vivo da cinquantacinque anni, la soffro, mi duele ("me duele España", diceva Unamuno: come di una parte del suo corpo). Essendo scrittore, non potevo non "scriverla". Altrettanto naturalmente ne ho cercato le radici. E mi sono informato: nel senso che ho cercato quel che altri ne aveva scritto. Poi, ad un certo punto, la "questione", nella sua specificità, per me scrittore ha perso ogni interesse, anche se continuava ad averne per me cittadino. A quel punto, ho accettato la candidatura a consigliere comunale di Palermo che il P.C.I. mi offriva. Faccio il consigliere comunale a riparazione di quel che non faccio come scrittore. Come scrittore, vedo tutta l'Italia diventata "questione meridionale". Il contesto e Todo modo ne sono una rappresentazione: fantastica, magari fantapolitica, nel moment

o in cui questi libri sono venuti fuori (oltre che nel "modo" in cui sono scritti); ma, purtroppo, in questi ultimi tempi, la realtà vi si è adeguata. Todo modo era anche un libro di "confessione". C'era un conto aperto con la chiesa cattolica, un mio conto: da regolare, da chiudere. Montaigne dice: "forse erano dei buoni cattolici, ma non erano per nulla cristiani" non ricordo parlando di chi. Io ho voluto dire il contrario: che mi sento cristiano, ma per nulla cattolico (...). Si capisce che mi considero uno scrittore politico. In effetti, non c'è scrittore che non lo sia.

Ma lo si è in due modi: o si offre la propria "irresponsabilità" al potere o la propria "responsabilità" a tutti. Io ho preferito questo secondo modo. Ovviamente, lo esercito, lo esprimo come Lei osserva, "nei limiti della correttezza, anche stilistica". Ma ciò non per preoccupazione, ma per formazione - ed è perciò che dico ovviamente nel senso che appare chiara la mia formazione diciamo settecentesca (del settecento francese) e manzoniana. La rabbia di Voltaire era feroce: ma è decantata in una forma leggera e divertita. Casanova non aveva principi morali: ma scrive come se ne avesse. E potrei fare tanti altri esempi, per arrivare a Manzoni: scrittore nella cui pagina troviamo decantate fino alla trasparenza tante rabbie e tante nevrosi (...). Io penso che lo scrittore può anche, ad un certo momento, portare il proprio impegno dentro un partito politico: ma standovi sempre con occhio guardingo, critico. "La politica", diceva Savinio, "espelle l'intelligenza come corpo estraneo". Non è sempre vero. Ma ci so

no stati dei lunghi momenti, e possono tornare, in cui questo è stato vero. In questo momento non è vero, almeno nell'area del P.C.I. Il fatto che si rivolga agli "intellettuali", non è una tattica: è un bisogno reale, effettivo, maturato attraverso un travaglio magari non privo di contraddizioni, ma autentico.

 
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