da LA STAMPA, giovedi' 24 dicembre '98
Di Gian Enrico Rusconi
I "big antiproporzionali", sorridenti in prima fila alla manifestazione per il referendum dell'altro ieri, e' una di quelle scene che non fermeranno l'astensionismo. L'ingenuo cittadino infatti si chiede: se sono tutti cosi' d'accordo, perche' non hanno combinato niente prima?
In realta', alla manifestazione della Ripetta, c'erano disinvoltamente uniti quelli che domani saranno tenacemente divisi. Anzi, gia' oggi sono contemporaneamente uniti e divisi, perche' meta' di loro sostiene il governo, mentre l'altra meta' non vede l'ora di abbatterlo. Ma le cose non cambiano se ci spostiamo nel campo degli avversari del referendum: uniti nel respingerlo, disuniti nel giudizio sulla situazione politica cui dovrebbe rimediare. Per tacere del grande assente, Cossiga, dai cui umori dipende letteralmente la tenuta dell'equilibrio politico generale. Di fronte a questa situazione, come si puo' pretendere che l'elettore si orienti? O vada a votare senza il timore di essere preso in giro?
L'astensionismo italiano non nasce da disinteresse dalla politica, ma da frustrazione: nasce da promesse dissoltesi nel nulla, senza che nessuno se ne sia assunta la responsabilita'. Pensiamo al modo in cui e' fallita la Bicamerale o alla fine dell'Ulivo (quantomeno della sua fase originaria). Sara' ora la volta del referendum antiproporzionale? O meglio delle aspettative di rinnovamento coltivate da chi ha intenzione di andarlo a votare?
Di fronte alla eterogeneita' dello schieramento pro referendum sorgono alcune alcune perplessita'. La prima dipende dal suo carattere surrogatorio di una riforma mancata del sistema elettorale. Non disturba il fatto che il referendum abbia un carattere "punitivo" per iniziative politiche fallite nella Bicamerale, ma che tramite esso non siano punite le forze partitiche responsabili di quel fallimento, bensi' altre forze minori colpevoli soltanto di puntare sulla propria sopravvivenza. I sostenitori del referendum sono spinti dalla lodevole preoccupazione di favorire un sistema elettorale che dia maggiore efficienza al governo. Ma al di la' dell'obiettivo negativo della rimozione della proporzionale, rimangono nascoste, elusive e malamente spiegate le differenti ipotesi alternative di sistema elettorale. Rimangono vaghe e poco comprensibili per l'elettore perche' nascondono imbarazzi e riserve sul punto cruciale: quale spazio riservare ai gruppi politici minori che nessuno (quasi) vuole sopprimere ma che sara
nno sempre indispensabili per ricostituire i grandi schieramenti bipolari.
Chi ci garantische che il referendum non si risolva alla fine in un grande botto semplicemnte per poter ricontrattare da capo "a mani libere" le nuove/ vecchie alleanze, con buona pace delle aspettative dei volonterosi elettori che saranno andati alle urne? I promotori del referendum, anziche' compiacersi del loro numero crescente, dovrebbero preoccuparsi di chiarire quale progetto comune hanno in testa. Il messaggio "eliminiamo la proporzionale e poi si vedra'" non e' certamente adatto a motivare un elettorato gia' frustrato.