PARLA L'EREDE SAVOIA
VITTORIO EMANUELE: CARI PRESIDENTI, AIUTATEMI VOI A TORNARE IN ITALIA
Di Fabio Isman
Roma - "No, io non rientrerò in Italia con uno stratagemma, anche se molti, cominciando da Marco Pannella che ringrazio, mi suggeriscono di fare proprio così. E nemmeno mio figlio, Emanuele Filiberto, froderà la legge per conoscere, per la prima volta, un Paese che è anche il suo. Veda, non è che rinunciamo a questo passo per mancanza di coraggio: ma solo perché ce lo impedisce il nostro ruolo; se preferisce, il cognome che portiamo, o la stessa educazione che abbiamo ricevuto in famiglia, e che ci tramandiamo di generazione in generazione. Agire con dei mezzucci sarebbe come mancare di rispetto al nostro Paese, quasi insultare l'Italia. E chi si chiami Savoia, questo, francamente, non può proprio farlo".
Dalle nevi svizzere, Cantone di Berna, la voce di Vittorio Emanuele (non IV: il numero spetta solo a chi si sia seduto sul trono) è al solito pacata. Ma, altrettanto come sempre, il figlio dell'ultimo re d'Italia non riesce ad arrendersi".
IN PARLAMENTO, PERO L'EMENDAMENTO IN FAVORE SUO E DI SUO FIGLIO, PER ABROGARE LA XIII DISPOSIZIONE TRANSITORIA DELLA COSTITUZIONE, E IMPANTANATO: NON FA NESSUN PASSO AVANTI.
"Ma questo non dipende certo da me; e io, del resto, posso farci ben poco. O forse no: una cosa mi viene in mente".
E' LECITO CHIEDERLE CHE COSA? USARE DI MARCO PANNELLA COME DI UN'AGENZIA DI VIAGGI, E FARSI ORGANIZZARE IL RIENTRO?
"No: questo, glielo ho già detto purtroppo è impossibile. Invece, potrei chiedere aiuto proprio al Messaggero: perché non lancia un appello?"
MA GUARDI CHE NON SERVE NESSUN APPELLO: INVECE, OCCORRE UNA DECISIONE DEL PARLAMENTO.
"Infatti: siccome spesso la posta è assai lenta, vorrei che il suo giornale riferisse, che tra mezz'ora nel mio studio, scriverò ai Presidenti dei due rami del Parlamento, il senatore Nicola Mancino e l'onorevole Luciano Violante. Perché, siccome ormai da mesi le Camere hanno in calendario questa piccola legge, entrambi facciano quanto è in loro potere per accelerarne l'approvazione. Si, scriverò che non me la sento di tornare con un mezzuccio; che mi sembra quasi ridicola questa norma, che era transitoria ed è divenuta ormai permanente; che non mi pare il caso d'appellarmi, che so, alla Comunità Europea; che l'esilio è una pena indegna di qualsiasi Paese civile".
MA DAVVERO STA PER SCRIVERE UN APPELLO COME QUESTO?
"Glielo garantisco: lo farò oggi stesso. Del resto, per dire tutta la verità, non ne posso proprio più di quest'assurdo ostracismo. Vorrei vedere chiunque altro con una limitazione definita transitoria, che invece pesa sulle spalle da oltre mezzo secolo. Gli anni passano: credo proprio che dovrò fare tutto il possibile, pur di tornare; questo appello è forse un buon inizio. E sia chiaro, lo ripeto: una volta in Italia non farò nulla di speciale; mio figlio ed io vogliano solo tornare e per Emanuele Filiberto non è neppure un ritorno, come persone comuni; normali, normalissime".
Poi Vittorio Emanuele racconta di un Natale difficile: la suocera, 94 anni, è stata ricoverata d'urgenza, "ora, per fortuna, si è ripresa, e siamo potuti partire; anche mio figlio, che è in alto mare, nei Caraibi: troppo al largo per essere raggiunto, anche con il telefonino cellulare. No, il satellitare non ce l'ha ancora; ma anche questa è un'idea".
LEI PERO, CHE SPIEGAZIONE SI DA DELLA LENTEZZA CON CUI LE DUE CAMERE ESAMINANO L'ABROGAZIONE DEL SUO ESILIO?
"Di spiegazioni possibili ce ne sono poche. A parole, tutti sembrano d'accordo che debba finire; ma quando invece si tratta di passare a fatti più concreti, forse qualcuno avrà paura. Di che? Ma di se stesso: non certo di noi, speriamo. Per questo mi è venuto in mente l'appello ai due Presidenti: per chiedere anche se in ritardo, una grazia di Natale".
UNA GRAZIA IN VISTA DEL GIUBILEO, ORMAI NON PIU LONTANO?
"Ma il Giubileo sarà appena tra due anni: non vorrei dover attendere così a lungo. E mi fa rabbia essere esiliato da un Paese, che è il mio, ed ammette chiunque: fa delle giuste sanatorie, e lascia entrare anche Ocalan. Insomma, tutti: ma non noi due, me e mio figlio; ovvero, gli unici esiliati".
E sua moglie, Marina Doria, ammette: "Io sono un'impulsiva, assai più di mio marito e di Emanuele; al posto loro, l'idea di Pannella, dopo 50 anni, l'avrei già presa al volo. Ma non tocca a me decidere". E il figlio di Umberto II, conclude la conversazione: "Adesso, corro a scrivere il mio appello; se no che altro mi resta: essere costretto a frodare la legge? Sarebbe davvero l'ultima cosa da fare".