da IL MATTINO, lunedi' 4 gennaio 1998di CAIANIELLO
Se si volesse stabilire quale sia il compito essenziale che i Costituenti intendevano assegnare al Presidente della Repubblica, ci si troverebbe dinanzi ad una serie ripetuta di espressioni retoriche o comunque evocative di interventi dai contorni molto sfumati. Cosi' uno dei piu' apprezzati ed autorevoli costituzionalisti, Livio Paladin, riassume in un pregevole saggio pubblicato nel 1986 il dibattito che si svolse in Assemblea Costituente sulla figura del Capo dello Stato. Fra le varie concezioni che allora furono enunciate, e' possibile tuttavia individuare il minimo denominatore comune nell'esigenza di conservare al titolare di quella carica, ancorche' inevitabilmente coinvolto nella politica del Paese, una imparzialita' ed indipendenza tali da mantenerlo estraneo al regime dei partiti. Una funzione di garanzia, dunque, che se avesse riflessi sulla politica non dovrebbe risultare incompatibile con l'idea di responsabilita' sullo stesso piano.
La genericita' della figura e la difficolta' di realizzare questa esigenza hanno alimentato in questi cinquant'anni le polemiche intorno al presidente della Repubblica quando e' stato oggetto di critica della parte politica che, di volta in volta, si e' sentita danneggiata dai comportamenti presidenziali. La dottrina costituzionalistica e' prevalente nel ritenere che il Presidente della Repubblica in quanto organo di garanzia non e' titolare di una funzione di indirizzo politico (che spetta al complesso: Corpo elettorale, Parlamento, Governo) ma di una funzione di indirizzo costituzionale, diretta cioe' soltanto ad assicurare, super partes, l'equilibrio fra le istituzioni repubblicane.
Quello che pero' manca nel nostro sistema, e' la previsione di una sede istituzionale nella quale si possa dibattere se un Presidente, nei suoi comportamenti, si sia attenuto alla sua funzione di garanzia o se sia stato il regista dei successi di una sola parte. E cosi' oggi non e' possibile un dibattito che possa concludersi con tanto di mozioni di maggioranza e di minoranza, per discutere se sia incontrovertibile la garanzia offerta dal Presidente Scalfaro, nell'ultimo messaggio augurale di fine d'anno, con il proclama che il Paese e' risorto. Una garanzia che, vuoi per il credito che puo' dare una fonte istituzionalmente definita neutrale, vuoi perche' ha attribuito la patente di buongoverno allo schieramento politico di maggioranza, ha in se' una sua indubbia carica capace di orientare l'elettorato in favore di questo schieramento senza che tuttavia possa essere esposto, da chi dissenta, l'eventuale diverso punto di vista da sottoporre al giudizio del Paese. Insomma da noi, mentre il Presidente puo' avva
lersi della propria posizione per approvare l'operato di uno dei due schieramenti politici e bacchettare l'altro, a nessun altro soggetto politico e' data una sede istituzionale per contraddirlo, a torto o a ragione. E' come il rendiconto con il quale annualmente l'imperatore di Cina nel Tempio del Cielo rassicurava Dio sull'andamento dei raccolti.
Nonostante l'obbiettivo riflesso politico di tutti i comportamenti presidenziali, non e' dunque possibile confrontarsi sulla affermazione fatta dal Presidente nel messaggio di fine d'anno circa l'avvenuta "resurrezione" del Paese.
Una resurrezione anche da quella che il Presidente, nello stesso messaggio, ha definito la "degenerazione" di quel sistema "consociativo" dei Partiti nei quali egli era stato fino all'ultimo intrinsecamente compenetrato per un cinquantennio e che, dopo averlo eletto nel 1992 prima Presidente della Camera e poi della Repubblica, furono mandati a casa dopo meno di due anni con lo scioglimento anticipato delle Camere fortemente auspicato dall'unico di essi predestinato a sopravvivere. L'impedimento costituzionale per un confronto in contraddittorio sta nell'articolo 90 della Costituzione blindato dall'articolo 279 del codice penale che - anacronistico retaggio del regime monarchico nel quale il Sovrano non riceveva dal popolo l'investitura e non doveva percio' rispondergli - estendono una prerogativa regia al Capo dello Stato elettivo, stabilendo che il Presidente della Repubblica non e' responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni. Eppure se le sue funzioni implicano "scelte" o dichiarazi
oni con riflessi politici, dato che non siamo nella vecchia Cina ma in democrazia, dovrebbe corrispondere una responsabilita' sul piano politico. Una responsabilita' che non deve necessariamente concludersi con misure sanzionatorie o riparatorie, ma che puo' esaurirsi nel fatto stesso che il Presidente debba "rispondere" di fronte a qualcuno del suo operato, per consentire il contraddittorio, specie se lo si voglia candidare per la rielezione. Se le preoccupazioni non del tutto infondate di derive "bonapartiste" dovessero continuare a far guardare con apprensione ad una elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica, dovrebbe almeno farsi cadere l'anacronistica prerogativa della irresponsabilita', per consentire di far discutere in contraddittorio, nel Parlamento che lo abbia eletto, di fronte al Paese, tutti i comportamenti di un Capo dello Stato elettivo. Ed invece, mentre puo' essere legittima questa aspirazione, l'unica risposta delle Istituzioni e' stata di impedire l'accesso ad una Piazza de
l Potere di qualche centinaio di manifestanti, le cui pacifiche intenzioni erano fuori discussione, i quali, a seguito dell'ultimo messaggio del settennato che essi auspicavano non rinnovabile, intendevano almeno, a torto o a ragione, esprimergli in una piazza significativa, il loro dissenso. Un divieto che e' stato dimostrazione di debolezza e, da parte di chi lo abbia sollecitato, di disprezzo della democrazia.