da LA STAMPA, venerdi' 15 gennaio 1999, cultura
di Filippo Ceccarelli
Dalle illusioni degli Anni 70 al cimitero di quesiti bocciati negli Anni 90: storia della consultazione elettorale
Tanti, troppi, troppo pochi, utili, inutili, cassati, votati, disertati, caduti, assorbiti. Di primavera e d'estate, da soli o a ondate, decisivi e assurdi, ripresentati e traditi...
Comunque referendum. Anche se la Corte Costituzionale, tra qualche giorno, dovesse far fuori quello elettorale, l'Italia degli Anni Novanta restera' comunque il Paese dei referendum. Non e' una consolazione - ne' tantomeno una speranza - ma un semplice, freddo dato statistico. Schede bianche, gialle, verdi, arancioni, marroncine, azzurre, chi se le ricorda piu'. In ogni caso: "Volete voi..."? Dal 1990 a oggi sono stati posti in votazione 31 quesiti. Piu' di tre l'anno, oltre il doppio di quanti ne siano stati presentati nel ventennio precedente, a partire dal 1970, anno in cui venne istituito questo strumento che in un primo momento ha manifestato la volonta' della societa' civile e poi, con una serie di scosse, ha senz'altro contribuito ad aprire le crepe e a scardinare il sistema politico della Prima Repubblica.
Le materie su cui si sono svolte queste continue elezioni parallele spaziano dall'ambiente all'ordine pubblico, dal ruolo dei partiti alla magistratura, dall'economia alla pubblica amministrazione e ai sindacati, senza dimenticare televisione, pubblicita', droga, sanita', carcere, obiezione di coscienza, orario dei negozi. Fuori dalla contesa referendaria, insomma, restano davvero pochi argomenti.
Se poi si contano i temi su cui, sempre nell'ultimo decennio, si sono raccolte le 500 mila firme necessarie si supera agevolmente quota sessanta. Con quelli falliti si superano i cento. Ma il vero cimitero dei referendum e' alimentato in buona parte dai giudici della Consulta; altre votazioni sono stati evitate grazie leggi fatte su stimolo referendario; mentre una decina di quesiti, sottoposti alla scelta del corpo elettorale nel 1990 e poi nel 1997, non hanno ottenuto il quorum. Per due volte, in particolare, le consultazioni sulla caccia sono andate a monte - con il che confermando "la maledizione del cacciatore".
In compenso ci sono pure referendum che dopo aver ottenuto le firme necessarie, e superato il vaglio della Corte, sono stati sostanzialmente disattesi. Tipico caso il finanziamento dei partiti, che nonostante un 90 e piu' per cento di elettori contrari, hanno continuato a prendere soldi pubblici; ma anche quello del ministero dell'Agricoltura che, una volta abrogato, si e' limitato a cambiare nome (in Risorse Agricole); cosi' come il ministero del Turismo e Spettacolo, che non doveva piu' esistere, si e' semplicemente sdoppiato.
Cosi', anche il raggiro post-elettorale, insieme alla quantita' degli argomenti e alla crescente varieta' dei promotori (radicali, maggioritari, cattolici, sindacalisti, consigli regionali, leghisti) finisce via via per intorbidire la storia dei referendum e confonderne la memoria, ogni giorno piu' magmatica, sfilacciata, in bilico tra un quesito del tutto marginale sui segretari comunali e il tracollo della Prima Repubblica.
Ah, i bei referendum di una volta... Il divorzio, l'aborto, tutto piu' chiaro, allora. Si', si', no, no. La vicenda degli Anni Novanta s'intreccia invece con la crisi del sistema, Tangentopoli, le nuove forme della politica, l'affermarsi di un "partito dei media" che per la prima volta, proprio sull'onda referendaria, scalza il potere dei partiti e per la prima volta si pone come agenzia autonoma di comunicazione e identificazione. Per poi ritirarsi, dopo il fallimento dell'ideologia maggioritaria, ma forse e' gia' pronto a ripartire, in vista di questo possibile 32 referendum.
Storia recente e oltremodo incompiuta, caotica, piena di buchi, di dubbi, di incertezze. Si e' mai votato sul Csm? E sulle nomine delle Casse di Risparmio? Berlusconi vinse su tutti i quesiti in quel "giudizio di Dio" che pure contribui' a blindargli il possesso di tre reti televisive? E quante volte, e con quali motivazioni, la Corte ha falcidiato i referendum elettorali?
In pochi - anche tra gli addetti ai lavori - saprebbero rispondere. E tuttavia, per la maggioranza degli italiani, e' facilissimo ricordare i protagonisti di questa stagione cosi' concitata, fitta di equivoci e difficilmente catalogabile. Sono pochi personaggi, in fondo, che proprio la febbre referendaria degli Anni Novanta ha come trasfigurato, reso ancora piu' personaggi.
In prima fila, certo, resta Marco Pannella, specie di Prometeo ogni volta disposto a fronteggiare qualunque difficolta', qualsiasi ostacolo con un'azione politica dentro cui senti la piu' nobile realizzazione di se stesso, della sua vita e anche di quella di coloro che credono in lui. E per Pannella, per l'obiettivo referendario da lui fissato, per lo piu' senza speranze, hanno smesso di bere, digiunato, parlato per ore alla radio o sotto un tendone, di notte, con la pioggia o un caldo tremendo; oppure sono vestiti da fantasma, o addirittura si sono denudati su un palco, mentre Marco, dietro le quinte, leggeva un brano del profeta Isaia.
Quasi ogni volta un miracolo. Eppure, nonostante la fantasia, il vigore, la piu' spiccata intelligenza del momento e l'inconfessabile fede di essere investito di una missione salvifica, ecco, a un certo punto l'astro referendario di Pannella e' stato oscurato. E nel cielo dell'immaginazione popolare e' comparsa un'altra stella.
Mario Segni e' l'eroe limpido, ingenuo, malinconico, caparbio. Poi - come si capira' presto - anche sfortunato ed errabondo. Pure lui nel 1991 (preferenza unica) e poi nel 1993 (legge elettorale) compie una sorta di prodigio che consiste nel mettere fine a un ciclo storico. Eppure, e' anche e forse soprattutto un prodigio di contraddizioni, di paradossi.
Perche' Segni, pure uscito da una grande dinastia democristiana, e' l'uomo che con i referendum uccide la dc, ma non riesce a sostituirla; rianima la societa' civile, senza poi intercettarla; contribuisce alla personalizzazione, ma non ne e' il beneficiario; aggrega, ma litiga. Vince, insomma, ma perde. E se non bastasse lo si capisce soltanto dopo, quando conquistata una legge elettorale maggioritaria a furor di popolo, sembra l'unico l'uomo forte fuori dai partiti. Ma per un beffardo scherzetto della storia quell'immagine si adatta perfettamente a Berlusconi - che oltretutto ha la crudelta' di dirglielo: "Vedi, il capo di Forza Italia dovevi essere tu".
Segni, che nella sorte del referendum all'esame della Consulta vede una specie di risarcimento esistenziale, e Pannella, che qualche mese fa ne ha annunciati 43, segnano i due estremi di tutta un'umanita', un'iconografia, un'utensileria e una mitografia referendaria.
Perche' oltre ai leader, in questo decennio ci sono i dotti, professori politologi e costituzionalisti che via via si sono esercitati (Pasquino, Barbera, Galeotti, Chimenti, Motzo, Onida, Caravita, Sorrentino) intrecciando passione e dottrina. Cosi' come, in modo del tutto intermittente, ci sono i compagni di strada, i politici che per ragioni piu' o meno alte si sono avvicinati o allontanati dal movimento (da Amato a Cossiga, da Occhetto a Martelli, da Bossi a Berlusconi) ricavandone non s'e' mai bene capito cosa.
Del tutto coerente, invece, e tecnicamente indispensabile, un altro singolare personaggio mezzo politico e mezzo professore (seppur ingegnere) che costituisce senz'altro l'anello di congiunzione referendaria tra il pannellismo e la strategia di Segni. In una rappresentazione fantasiosa dei ruoli, Peppino Calderisi e' il trickster , il maestro dei trucchi, il sublime briccone per cui la politica e' un campo di trappole, una fiera di inganni, e solo per questo e' in grado di svelare l'arcano degli arcani, mettendo al servizio del referendum l'essenza della grande illusione cosmica.
A Calderisi, figura di esoterista che trae ispirazione e illuminazione da leggi e leggine, scadenze e strettoie temporali, formule di inammissibilita' e perfino distorsioni lessicali, si deve "Una storia segreta dei referendum", pubblicata a suo tempo su Epoca , che ancor oggi e' alla base di qualsiasi epos referendario a base di moduli, notai, cancellieri, memorie tecniche, firme (anche nella accezione di firme illustri, conteggio e rivelazione dei dati), scatoloni, pulmini e foto-ricordo in Cassazione. All'accademia enigmistico-referendaria di Calderisi appartengono - a conferma del salto di generazione e quindi della perpetuazione del genere - i due giovani dioscuri, a nome Emilio Colombo e Marco Nardinocchi, che hanno compilato il quesito dell'eventuale 32 referendum.
Detto anche, come accennato all'inizio, "referendum Di Pietro". E' lui, infatti, l'ex pm di Mani pulite, la supernova. Un Di Pietro dedito al culto del "banchetto" (o tavolino), per lo piu' senza giacca, o in maniche di camicia, a fianco al cancelliere, o al notaio; un Di Pietro con megafono che per raccogliere personalmente le firme gira come un forsennato per l'Italia, un giorno ha un mezzo coccolone, un altro va a sbattere con la macchina. E alla fine dice, con qualche legittimita', ma anche suscitando il brivido di chi teme una deriva populistica e plebiscitaria: "Il referendum, per favore, e' mio".
Anche questo, come tutti gli altri, presentato all'opinione pubblica come la panacea di tutti i mali, una specie di soluzione miracolosa. Via la proporzionale e tutti saranno piu' felici. Anche a costo di dimenticare le aspettative tradite di qualche anno fa, quando gli ideologi del maggioritario - scrive Mauro Calise nel suo recentissimo La Costituzione silenziosa (Laterza) - riuscirono a vendere a trenta milioni di italiani "una chimera". A Napoli, aggiunge lo studioso, si direbbe "un pacco". A Roma una " so'la "; in italiano un "bidone". Mai, infatti, scommettere tutto su un solo referendum.