da IL CORRIERE DELLA SERA, giovedi' 28 gennaio 1999di PIERO OSTELLINO
Nel corso della sua visita a Milano, Massimo D'Alema ha detto alcune cose importanti che anche chi e' per il capitalismo, il mercato e la separazione fra societa' civile e societa' politica da piu' tempo di lui non puo' non apprezzare e condividere: dalla critica alle fondazioni quando sono veicolo di lottizzazione delle banche, a quella delle privatizzazioni senza liberalizzazione; dalla denuncia della fragilita' del nostro mercato azionario a quella della rigidita' del mercato del lavoro.
Ora, pero', tutti gli chiedono di far seguire alle parole i fatti. Ma, per passare ai fatti, il presidente del Consiglio e, forse piu' ancora di lui, l'intera maggioranza di governo devono fare culturalmente quattro passi avanti. In sintesi: recuperare alla politica autonomia e capacita' dirigente (attenzione: dirigente, non dirigistica).
Primo: convincersi che il capitalismo, anche nei Paesi a capitalismo avanzato, e' sempre cio' che la politica gli consente di essere. E' del tutto sterile condannare il capitalismo protetto e assistito, o lamentarsi della struttura "familiare" del nostro, contando che siano gli stessi capitalisti a rinunciarvi spontaneamente, se non si fa nulla per cambiare le regole del gioco che, finora, gli hanno consentito di essere, legittimamente quanto proficuamente, protetto, assistito, familiare.
E' comprensibile che a pensare che il capitalismo sia buono o cattivo, a seconda della bonta' o della malvagita' soggettiva dei capitalisti, e non oggettivamente la piu' efficiente "tecnica" di accumulazione della ricchezza, sia rimasto solo il Papa (in ossequio al principio morale del libero arbitrio); lo sarebbe assai meno se lo pensassero anche un capo di governo e i suoi ministri (dalla cui politica dipende in concreto la natura del capitalismo nel loro Paese).
Secondo: riconoscere che, anche la' dove e' piu' libero e attivo, il mercato, "in natura", non esiste, bensi' che esso e' un prodotto degli uomini, cioe', ancora una volta, della politica. Non basta auspicare in astratto la liberalizzazione dei mercati come panacea contro le mezze privatizzazioni (Eni) e quelle zoppe (Telecom), se non si pone mano, subito, qui, ora, a una riforma della Borsa e dell'organismo (la Consob) preposto al suo controllo, non si facilita la nascita di investitori istituzionali e la corretta gestione di fondi comuni e di fondi pensione, non si combatte seriamente l'insider trading, il falso in bilancio, se, insomma, si fa ancora troppo poco (e troppo lentamente) per rendere piu' efficiente, ma anche piu' trasparente, il mercato.
E' quanto un uomo non sospetto di simpatie politiche di destra o di antipatie sociali anticapitalistiche, come Guido Rossi, predica da anni, qualcuno dei quali passato persino nelle vesti di senatore nelle liste del partito del presidente del Consiglio, senza grandi risultati, ne' in Parlamento, ne' all'interno del partito.
Terzo: rinunciare alla concertazione come supplenza della politica o, peggio, come una sorta di ammortizzatore delle divisioni all'interno della maggioranza di governo. La concertazione e' un'anomalia della politica italiana; forse utile, e sottolineo forse, nei momenti di emergenza, ma contraddittoria e illiberale per un Paese che dovrebbe fare della competizione e, entro certi limiti, persino del conflitto, una propria regola permanente di vita e assegnare allo Stato solo la funzione di arbitro fra le parti sociali.
Quarto: ammettere che il sindacato, dove ci sia davvero separazione fra societa' civile e societa' politica, non puo' essere la "cinghia di trasmissione" di nessuno, neppure di una politica moderata. Pena la perdita della propria autonomia e della propria funzione.
Con l'ipotesi di consentire temporaneamente alle imprese con meno di 15 dipendenti di superare tale soglia senza sottostare ai vincoli in materia di mercato del lavoro previsti per le imprese piu' grandi, D'Alema e' entrato, di fatto, in rotta di collisione con il sindacato. Che il governo faccia il suo mestiere, gli imprend itori, che hanno plaudito all'iniziativa, e il sindacato, che ha manifestato il suo dissenso, facciano il loro e' nell'ordine delle cose in un Paese di cultura liberale. Sarebbe davvero singolare, e persino pericoloso, se il governo si illudesse, con il ricorso alla concertazione, di mettere d'accordo tutti, magari a spese del bilancio dello Stato, o con l'imposizione di nuove tasse, come vuole la prassi neocorporativa e come hanno fatto finora tutti i governi che l'hanno preceduto.
In conclusione, D'Alema, nel suo discorso alla Bocconi, ha lasciato trasparire l'intenzione di fare questi passi avanti. Ma, ad esempio, anche nella Costituzione dell'ex Unione Sovietica era riconosciuto programmaticamente al cittadino il diritto all'abitazione. Poi, pero', nessuno costruiva le case e il cittadino continuava a vivere in coabitazione.
Non vorrei che, alla resa dei conti con la composita e litigiosa maggioranza di governo, anche i propositi di D'Alema in tema di modernizzazione del Paese facessero la stessa fine del diritto sovietico all'abitazione.