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Conferenza Rivoluzione liberale
Vecellio Valter - 30 gennaio 1999
NO, NO, CARO MICHELETTA. NON CI SIAMO PROPRIO

Non ci siamo proprio, caro Micheletta, e il tuo intervento su Agorà, pur se lungo e ben articolato mescola troppe cose che è bene che siano invece distinte.

Procedo per gradi sommari.

Non ti illudere e non ci illudiamo che il Parlamento o come lo chiami tu, il legislatore, abbia varato e in parte approvato un fascio di norme tendenti a tutelare l'immagine tua, mia e di tutti. Non c'è nessun "encomiabile tentativo del legislatore".

E' accaduto che in un fascio di norme alcuni parlamentari - e alcuni sono stati, quando si dice il caso, magistrati - hanno inserito le norme "encomiabili" . L'unanimità dei parlamentari le ha poi approvate, salvo ammettere a posteriori che non sapeva bene per cosa votava (leggi dichiarazioni sincere e imbarazzate di Roberto Villetti, Marco Taradash, ecc.).

Io ci starei anche ad andare in galera per trenta o trecento giorni se pubblico materiale coperto da segreto istruttorio. Il fatto è che in galera ci mandano solo me giornalista. Mai nessuno che si sforzi di mandarci anche chi le notizie e i "segreti" me li dà: che sono, a seconda degli interessi in gioco, gli stessi magistrati, gli avvocati, o investigatori che per conto dei magistrati svolgono le indagini.

Ora io potrei personalmente raccontare una quantità di episodi dove il magistrato che il pomeriggio prima mi aveva dato le famose carte, voleva poi sapere la mattina dopo chi me le aveva date. Fa parte del gioco. Però non prendiamoci in giro con la storia di pene draconiane ai giornalistici. Piaccia o non piaccia, noi ci limitiamo a raccontare quello che ci viene detto o mostrato. Alcuni lo possono fare bene, altri meno bene, altri ancora male e malissimo. Non siamo tutti uguali, e neppure tutti i magistrati lo sono. Dunque anche i termini "ordine dei giornalisti e ordine dei magistrati" per quel che mi riguarda, lo centellinerei. Mi ricordo sempre che la responsabilità in fin dei conti, è personale.

Detto questo vorrei che si facesse attenzione a quanti con il pretesto della tutela dell'immagine del cittadino, in realtà mirano a tagliare le già tagliatissime unghie dei giornali e dei giornalisti. Perché è vero che in altri paesi come Stati Uniti o Gran Bretagna c'è molto rispetto per l'imputato. Ma la piccola differenza è che i processi, là sono molto più rapidi. Vogliamo indagare sul perché lo sono? Io credo che molti che in Italia invocano il rapido processo, se sapessero come la si ottiene questa rapidità in USA, forse sarebbero molto meno contenti. Certo là il reato vivaddio, non cade in prescrizione. Ma provate a dover sostenere il giudizio di una giuria che si assolve o vi condanna sulla base di una sua simpatia, non è costretta a perder tempo stilando la motivazione di una condanna o di un'assoluzione, non sa praticamente cosa sia l'appello, ecc.

Vorrei solo osservare che per esempio, tanti anni fa Lino Iannuzzi sull'Espresso non avrebbe mai potuto parlare della vicenda SIFAR. Io sono invece contento che l'abbia fatto. Nel caso della strage di Ustica se fossimo stati come taluno invoca, rispettosi e fiduciosi, a quest'ora a vent'anni dal disastro, avremmo scritto solo che 81 persone erano morte. Il processo ancora deve svolgersi, e mi permetto di dire che se da "cedimento strutturale" ad abbattimento si è arrivati, è perché qualcuno sui giornali ne ha scritto.

Di esempi del genere ne potrei fare tantissimi.

So bene che c'è stato per esempio il caso Tortora, e lo so tanto bene che credo di essere stato il primo o il secondo a denunciare abusi e storture. C'erano giornalisti - si fa per dire - che stavano comodamente in albergo a pasteggiare, e aspettavano di sapere dal magistrato quali nuove accuse di volta in volta riportare, senza preoccuparsi del fatto che si trattava di panzane. Vittorio Feltri, in un articolo mi pare per la Domenica del Corriere ha descritto molto bene quel clima. Ma anche lì, se per denunciare le infamità dei vari Melluso, Pandico, Barra e compagnia cantando, si fosse attesa la sentenza, si sarebbe stati freschi. E vogliamo parlare del caso Cirillo? E vogliamo parlare del caso Moro? Perché guarda che quell'encomiabile legislatore, è a questo che pensa; non al diritto di immagine tua o mia o di chi

Quindi non è limitando la pubblicazione degli atti che si tutela l'immagine del cittadino. Piuttosto imparando a leggerli, e sapendone cavare le notizie che contengono. Non fidandosi sempre e solo della "fonte", sapendo che la "fonte", se riferisce qualcosa lo fa per il suo interesse. Ma qui il problema del giornalista e della sua coscienza è come quello del coraggio: o c'è, oppure nessuna legge te la può dare.

Altra cosa poi è la diffamazione e il diritto di riparazione rapida e nello stesso spazio e modalità dell'offesa avuta. Ma questo non ha nulla a che fare con il problema della pubblicazione di atti coperti da segreto istruttorio.

Io sono pronto a chiedere scusa mille volte al senatore Di Pietro se mi sbaglio. Ma sono grato a quei giornalisti che mi hanno dato modo di conoscere che Pacini Battaglia al telefono con l'avvocato Petrelli diceva d'essere stato sbancato. E sono grato anche a chi mi ha fatto conoscere storie di prestiti milionari, Mercedes, telefoni portatili, appartamenti nel centro di Milano; e mi ha fatto sapere che alcuni investigatori stretti collaboratori di Di Pietro e che indagavano su Pacini Battaglia, da Pacini Battaglia prendevano svariati milioni Sarò forcaiolo e poco attento all'immagine; ma è cosi.

Diverso sarebbe stato se il Parlamento e il legislatore avesse previsto che so, una norma del tipo: il giornalista viene condannato, ma la condanna si trasferisce alla fonte nel caso la indichi. Se poi vogliamo una stampa che si occupa solo di Sabrina Ferilli, Valeria Marini, Maria Grazia Cucinotta, di che freddo fa a gennaio e di che caldo fa d'estate, va bene. Ma per questo non c'è bisogno di norme, basta aver fiducia e aspettare un po', ci arriveremo da soli senza aiuti. Chiudo, per ora: capisco il ragionamento che sta alla base del tuo "a proposito di libertà di stampa". Ma non ci illudiamo: non lo fanno per noi, a loro non interessa un fico di difendere la nostra immagine. E' altra, temo e credo, la posta in gioco.

 
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