Ne approfitterei quindi per esporre ancora qualche punto sul tema:Innanzitutto sgombro il campo da ogni possibile equivoco: io non voglio mandare in galere proprio nessuno; anzi, la mia posizione (da radicale) è quella della maggiore depenalizzazione possibile ed in prospettiva magari anche dell'abolizione del carcere.
Ciò premesso, puoi avere certamente ragione quando dici che al parlamento (in questo caso specifico) non frega assolutamente nulla del diritto all'immagine dei cittadini e quel che gli preme è imbavagliare la stampa sugli argomenti che scottano. Io però mi sono limitato a constatare che a fronte di un'iniziativa parlamentare che a mio avviso va oggettivamente nella direzione della tutela dell'immagine, etc.(che reputo encomiabile), abbiamo assistito a due giorni di fuoco sulla stampa, di pura disinformazione (questi alcuni titoli dei più importanti quotidiani: "Pugno di ferro sulla stampa, rischio manette per chi rivela notizie coperte dal segreto"; "Bavaglio ai giornalisti, protestano Fnsi e Ordine: calpestata la Costituzione"; "Per la libertà di stampa è l'inizio della fine"; "Giustizia, la Camera "imbavaglia" i cronisti"; "L'indignazione di D'Ambrosio, il procuratore di Mani pulite grida alla restaurazione: "Prima le censure ai magistrati, ora tocca ai giornalisti""; "In carcere il cronista che svela segr
eti"; "Arresto per i giornalisti, CSM: la Camera sbaglia"; "Vogliono farci tornare al Medioevo", etc. etc.).
Disinformazione perché (lo ripeto) esiste già una disposizione (art. 684 c.p.) che prevede, nel caso in cui taluno pubblichi "atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione", l'arresto fino a trenta giorni e, in alternativa, un'ammenda (irrisoria) che va da centomila a centocinquantamila. La Camera non vorrebbe far altro che aumentare l'ammenda, lasciando per il resto invariata la pena detentiva. Non è vero quindi che la Camera ha introdotto una norma che manderebbe "in carcere il cronista che svela segreti"; questa norma già esisteva !
Disinformazione perché quando si parla di atti coperti da segreto istruttorio non si sta parlando di atti "imparziali" emessi da un giudice, frutto di un contraddittorio, ma semplicemente di "atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria" ovvero atti di una parte, che non sono (anzi, non dovrebbero essere) MAI, MAI, MAI e poi MAI delle prove di colpevolezza, ma dei meri atti dei quali l'accusa si dovrebbe servire per esercitare l'azione penale una volta chiuse le indagini. Ad oggi questi atti "sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari" (art. 329 c.p.p.). Se passasse la modifica, gli atti di indagine sarebbero "coperti dal segreto fino alla chiusura delle indagini preliminari" e comunque il PM, se proprio volesse, perché lo ritenesse necessario per la prosecuzione delle indagini (magari indagini di rilevanza pubblica come Ustica o il caso Moro) potrebbe sempre disporre che singoli
atti siano pubblicati in deroga al generale divieto.
Quello che succede oggi lo sappiamo tutti: il PM, o chi per lui (magari anche gli avvocati), nella maggior parte dei casi viola sic et simpliciter il segreto, spifferrando al cronista che pubblicherà tacendo la fonte; se poi è "raffinato", quando deciderà di rendere pubblici atti, per convenienza, porrà in essere, nel momento più opportuno, atti ai quali l'imputato deve partecipare (interrogatorio, ad es.).
In un modo o nell'altro è quindi dunque nella più totale discrezione del PM rendere pubblici o meno atti di indagine. Con questa modifica si porrebbe un chiaro ed inequivocabile limite alla possibilità di rendere pubblici atti (che poi il problema vero sia quello della lungaggine delle indagini sono d'accordo; ma per me non dovrebbe valere prendere ad alibi un indicibile malcostume per derogare a giusti principi)
L'obiezione poi è sempre la stessa: non sono i giornalisti a dover essere puniti, ma coloro che forniscono le notizie.
Io dico: certo! Giustissimo! Sacrosanto!
Così dovrebbe essere. Infatti esiste già una norma (art. 326 c.p., rivelazione ed utilizzazione dei segreti di ufficio) che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni il pubblico ufficiale che rivela notizie coperte dal segreto di ufficio.
Quindi, secondo la legge VIGENTE il PM che "spiffera" dovrebbe andare in galera per tre anni, il giornalista che pubblica la spifferata, per trenta giorni.
A me non risulta che mai nessuno PM e nessun giornalista, ma proprio nessuno, sia mai andato in galera per questo. Mi risulta invece che è all'ordine del giorno il massacro dell'immagine delle persone sottoposte alle indagini (innocenti o meno che siano).
Il nodo quindi è sempre lo stesso, e si chiama sistematica violazione della legge da parte di chi è chiamato ad applicarla.
Perché molti giornalisti parlano oggi di bavaglio alla stampa se di fatto ieri le norme erano le stesse e da loro sempre violate impunemente?
Perché molti magistrati (vedi dichiarazioni della Paciotti) affermano che le sanzioni penali non sono efficaci "perché non vengono mai applicate e rimangono grida manzoniane", se sono proprio i magistrati che non le applicano?
Perché il cronista giudiziario che viene a conoscenza di un atto segreto non lo pubblica svelandone la fonte? Semplice: perché altrimenti la fonte non parlerebbe più. Ma se il non parlare è il dovere della fonte, perché il cronista si presta ad essere "strumento" consapevole di un illecito e pretende poi di non esserne complice?
Io non affermo che la legge sia giusta, io voglio che sia applicata, giusta o ingiusta che sia. Se poi, una volta applicata, si rivelasse insostenibile, allora facciamo la lotta per mutarla, ma non alziamo barricate ipocrite contro leggi che già oggi violiamo impunemente e che ci apprestiamo a violare domani !!
Certo, mi rendo conto che la questione è molto meno banale di come la sto ponendo io, ma quello che voglio dire è che alla fin fine chi ci rimette è sempre e comunque la singola persona che ci va di mezzo, con la sua immagine e la sua reputazione.