Da De Mita a D'AlemaDa IL CORRIERE DELLA SERA di giovedi 4 marzo 1999
di Giuseppe De Rita
E' passato molto tempo da quando, con la guida dell'interclassismo democristiano e con il rancore pasoliniano verso "il grande imborghesimento", siamo diventati un Paese di totalizzante ceto medio. Da allora molti sono stati i tentativi di uscirne nella direzione di una neoborghesia capace di prendersi la responsabilita' di guidare il sistema verso traguardi piu' ambiziosi. Ma nessuno di essi e' finora andato a buon fine.
Il primo tentativo fu compiuto da Ciriaco De Mita (con l'apertura verso "gli esterni", verso l'opinione scalfariana e confindustriale di allora e verso la andreattiana politica del rigore) per reinventare un ruolo egemone della Democrazia cristiana anche oltre il grande successo dell'imborghesimento collettivo: la cosa fini' in un bagno elettorale da cui il partito non riusci' piu' a riprendersi.
Il secondo tentativo fu opera di Bettino Craxi e Giuliano Amato da Palazzo Chigi, con la tensione ad una egemonia di modernizzazione centrata sul decisionismo economico (si pensi alla fine della scala mobile), sul decisionismo politico fino quasi alla personalizzazione, sulla stessa simpatia per il rampantismo della Borsa e delle griffes; la cosa fini', prima ancora di Tangentopoli, perche' il decisionismo ed il rampantismo non erano e non sono coerenti con un necessariamente largo consenso neoborghese.
Il terzo tentativo fu compiuto da Silvio Berlusconi quando opero' la sua discesa in politica facendo appello egemonico al ceto sociale piu' tipicamente neoborghese (i piccoli e medi imprenditori che si erano, come lui, fatti da soli e che erano disponibili a dare forza complessiva all'Italia); la cosa fini' due mesi dopo, con il grande successo alle elezioni europee che insinuo' nell'uomo una ambizione plebiscitaria che metteva in soffitta la guida necessariamente parziale del segmento sociale neoborghese.
Ed il quarto tentativo l'ha fatto il governo Romano Prodi-Carlo Azeglio Ciampi portando avanti un disegno, di buona caratura egemonica, volto a dare al sistema solidita' interna, piena appartenenza europea, capacita' competitiva nei processi di globalizzazione; la cosa fini' con un rigetto partitico diffuso che non sappiamo se Prodi riuscira' a superare nella reincarnazione che sta progettando.
Fare nuova egemonia politica su una base di classismo neoborghese si e' rivelato quindi un compito invitante ma non facile; come dimostrano anche le difficolta' attuali di Massimo D'Alema, sospettato di attenzione troppo squilibrata al liberismo imperante se non addirittura ai nuovi rampanti dell'industria e della finanza. Forse un giorno qualcuno riuscira' a coniugare voglie neoborghesi e leadership politica, ma per ora la cosa sembra molto al di la' da venire.
Forse per questo qualche segmento alto della societa' tende a far da solo proponendo una propria leadership di potere a tinte piu' o meno neoborghesi. L'hanno fatto i magistrati durante i primi anni Novanta, non avvertendo che non si puo' fare egemonia solo con il controllo sociale e giudiziario; l'hanno fatto particolari circuiti di opinionismo intellettuale, non avvertendo che non si puo' fare egemonia solo con le opinioni ed il potere mediatico; lo stanno tentando oggi in forme diverse alcuni "coraggiosi" capitani padani, non avvertendo magari il pericolo di apparire piu' attenti ai propri interessi di breve periodo che alla guida di piu' complessi processi economici e sociali.
La verita' e' che l'uscita neoborghese dal cetomedismo oggi non puo' fare a meno di una sponda politica, la sola che puo' dare ad essa connotazione di processo collettivo diffuso e partecipato.
Le diverse categorie che si cimentano con il problema - politici, opinionisti, magistrati, capitani coraggiosi - non riescono quindi a fare la sperata condensazione fra dinamica sociale ed egemonia di sistema. Forse ci vorra' del tempo, come e' naturale nei processi complessi e di lunga durata; ma forse ci vorra' anche anche un cambiamento di logica culturale e di strategia. Finora, come si e' v isto, si e' lavorato su un'impostazione di stampo categoriale, quasi alla ricerca politica di un nuovo "blocco sociale", ma si tratta di un'impostazione duplicemente vecchia, perche' ragiona comunque in termini classisti e perche' ragiona comunque in termini di e'lite nazionali e statuali.
Mentre invece il nuovo oggi si forma nell'intreccio fra il territorio e la globalizzazione. E' sul territorio che e' ormai avviata la formazione di classi dirigenti locali sempre piu' tese a prendersi responsabilita' collettive e di sistema (avviene nel Nord-Est in modo ormai rampante come avviene nel Sud con la piu' umile esperienza dei patti territoriali). Ed e' sullo scenario della globalizzazione e sui collegamenti internazionali che le classi dirigenti locali cercano le alleanze necessarie per sfruttare al meglio la propria vitalita' (come credo stia avvenendo per i coraggiosi capitani del triangolo Milano-Trieste-Bologna).
Solo chi riesce a coniugare localismo e globalizzazione puo' oggi fare egemonia neoborghese ed avere ambizioni egemoniche. Ogni scorciatoia di vertice, mediatica o politica che sia, non e' destinata a portar frutto.