"Hanno nascosto i loro tank allo stadio e negli ospedali. I raid aerei? Non servono"Antonio Russo e' arrivato in Macedonia viaggiando sul treno con i profughi
Da Il Corriere della Sera, venerdi' 2 aprile 1999
DAL NOSTRO INVIATO
SKOPJE - E' sano, salvo e stanco Antonio Russo, l'inviato di Radio Radicale, unico testimone italiano della tragedia di Pristina. E' arrivato a Skopje, nascosto in uno dei vagoni del treno dei profughi, dopo aver vissuto per giorni sotto le bombe della Nato e quelle degli uomini di Milosevic, impegnati nella pulizia etnica della regione.
Non mangia da due giorni, e indossa l'unico abito che gli e' rimasto: "Giacca e pantaloni con dentro un uomo, cioe' il sottoscritto", dice, per annegare nell'ironia la sua condizione di profugo fortunato. "Almeno io, attraversata la frontiera, ho trovato un italiano che mi ha accompagnato in albergo. La gente che ho lasciato non so come fara' a sopravvivere".
Sembra un fascio di nervi, il giornalista. E' l'ultima risorsa, che lo aiuta a trovare la forza per raccontare, ai giornalisti, quanto ha visto, vissuto, sofferto. "Voglio subito dire che i bombardamenti della Nato su Pristina sono stati inefficaci al 100 per cento. Hanno colpito le case dalle quali gli albanesi erano gia' fuggiti e installazioni militari svuotate, inerti. Le squadre speciali di Milosevic hanno portato i loro blindati nel cortile dell'ospedale, trasformando i malati in scudi umani, e nei sotterranei dello stadio, dove la gente era stata ammassata".
Quello che segue e' un racconto carico di passione. I colleghi domandano: hai visto dei morti? "Certo. Nel villaggio di Mantica, a un chilometro dal centro, hanno giustiziato tre persone. Analogo destino per due vecchi, che non volevano abbandonare la loro casa". Nel taccuino di appunti, l'unico strumento professionale che gli e' rimasto visto che ha perduto tutto - computer, telefonino -, sono annotati con puntiglio localita', notizie, urla raccolte nel silenzio di Pristina, che, dice Russo, e' "una citta' vuota, spettrale".
Sono stati alcuni studenti universitari albanesi a salvarlo dall'inferno, dopo che il giornalista aveva cambiato per tre volte il suo rifugio, per sfuggire ai rastrellamenti. Pero' mercoledi' mattina, assieme agli altri, e' stato portato via: "O ve ne andate, o vi ammazziamo". Prima allo stadio, poi alla stazione ferroviaria di Pristina, dove - racconta Russo - "c'erano oltre duecentomila persone in attesa di un treno. Non certo un pendolino, ma una catena di vagoni, in ciascuno dei quali erano ammassate cinquecento persone. La sera di mercoledi' c'era un convoglio alle 20, ma la calca era tale che non siamo riusciti a raggiungerlo. Siamo partiti stamane (ieri, ndr), alle 6, senza sapere dove saremmo andati: verso Skopje? verso l'Albania? Ogni tanto il treno si fermava. Dentro c'era un clima soffocante: caldo, sete. Poi, magari, staccavano un vagone, e correvi il rischio di restare a terra. Gli albanesi sapevano che ero un italiano, anzi l'unico occidentale del convoglio, e mi hanno protetto. Ho visto scene
che mi hanno ricordato i film sugli orrori nazisti".
"Quando siamo arrivati alla frontiera con la Macedonia, hanno detto che il confine era chiuso. Ancora una volta, avevamo l'incubo che ci avrebbero fatti tornare a Pristina. E allora, dopo una rapida consultazione, abbiamo deciso, tutti assieme, di scendere dal treno e di incamminarci lentamente verso la liberta'. Alla fine, sono riuscito a passare, ed eccomi qui. Desidero che scriviate quanto vi ho raccontato, senza distorsioni". La passione non lo abbandona. C'e' da giurare che, se potesse, dopo una notte di riposo, Russo ripartirebbe un'altra volta, per tornare da dove e' venuto.
A. Fe.