da Il Foglio, venerdi' 2 aprile 1999
Roma. La voce triste di Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale, che con ben altra intonazione ascoltiamo nelle quotidiane rassegne "Stampa e regime", si accende e d'improvviso alle 16 e 58: "Aspetta, aspettaà mi stanno portando una notizia clamorosaà aspetta, fammi aprire l'Ansaà eccoà: Antonio Russo, corrispondente di guerra per Radio Radicale, si trova a Skopje". Sospiro di sollievo e poi: "Bene, adesso la dobbiamo verificare".
Questa intervista non si doveva fare. Bordin ci aveva detto di si', poi ci aveva ripensato: "Preferirei farla dopo che Antonio e' tornatoà". Poi s'e' deciso, e' iniziata parlando di Antonio, dell'assenza di notizie su di lui da 36 ore. E' finita con una notizia su Antonio, buona.
"Il suo e' un caso emblematico, un caso che forse poteva succedere solo a Radio Radicale, proprio per concepiamo l'informazione. Lui e' un personaggio sui generis, un cooperatore laico, un appassionato di diritto internazionale, un vero e proprio free lance, non so neanche se sia iscritto all'ordine. Lui ci fa le sue proposte noi le accogliamo dandogli il massimo di spazio e di liberta'. Non e' casuale quello che ci sta succedendo, sono strutture come la nostra quelle che possono valorizzare e sfruttare talenti di questo tipo".
Per giorni Russo e' stata l'unica voce occidentale in Kosovo. "Quello che ha documentato a noi e poi praticamente a tutte le televisioni nazionali e' enorme. Siamo stati i primi, grazie a lui, a dare la notizia che Pristina veniva bombardata, ma non dalla Nato, dai cannoni serbi. Ed erano bombardamenti che colpivano case dove non potevano esserci che civili. E' stato un servizio politicamente molto rilevante".
Bordin ci tiene a far emergere il giudizio politico su quello che sta succedendo guardando ai fatti dal punto di vista dell'informazione, nella quale, secondo lui "succedono cose strane". Si prenda ad esempio "il cosiddetto servizio pubblico, nel quale non si puo' dire che non esistano discrepanze fra le testate giornalistiche e le reti. Questa volta hanno deciso di risparmiare e di avere un solo inviato. Ma e' la voce di Belgrado, da dove ci sono giunte molte poche notizie e molta partecipazione ai dibattiti politici nostrani sulla guerra". La linea editoriale del Tg1 e della prima rete Rai e' per il direttore di Radio Radicale una sinfonia suonata con tutti i registri che ha saputo di volta in volta: "Osannare l'offensiva di pace, mandare in onda uno spezzone di TeleBelgrado confezionato da Lilli Gruber in uno speciale del Tg1, intervistare Giulio Andreotti, non potevano farlo fare alla Gruber, infatti hanno chiamato Federico Sciano'à". Intervista "assolutamente legittima, sottolinea Bordin, ma significati
va della polifonia in cui si e' dispiegata un'unica linea politica". Linea editoriale in cui e' incappato anche Antonio Russo che durante la "Porta a Porta" di Bruno Vespa "in collegamento da Pristina e' stato verbalmente aggredito da un ambasciatore jugoslavo ospite della trasmissione".
Nell'informazione italiana di questo mese di marzo Bordin segnala, inoltre, che "l'attenzione dell'opinione pubblica e' stata portata su questioni che ci qualificano come un paese effettivamente strano. Siamo in guerra ma il nostro governo vuole che si sappia che i nostri aerei non sparano. Il capo di un partito che sostiene il governo organizza uno sciopero contro l'esecutivo senza far dimettere i suoi ministri, possiamo vedere bei filmati sui concerti rock di Belgrado ma apprezzeremmo notizie e dibattiti piu' approfonditi".
Anche nella stampa che non appartiene al "filone negativo tradizionale della sinistra" fanno breccia argomentazioni "come quelle di Baget Bozzo e di Messori che risollevano contrapposizioni storiche fra cristiani e musulmani" che Bordin dice di non capire; o posizioni "come quella di Cervi" che non e' sicuro "che chi potra' venire al posto di Milosevic sara' migliore". "Occorre cominciare a capire che il rischio e' che nel cuore dell'Europa, si installi un'esperienza di tipo 'cinese', il cui modello produttivo e' il capitalismo, che ha il socialismo reale come regime politico e che salda il tutto con il nazionalismo panslavo". E i rischi che l'intervento armato porta con se ? "I rischi di questa guerra sono le ulteriori deflagrazioni che ne possono venire. Ma questo e' nella situazione instaurata da Milosevic nei Balcani, non e' dovuto all'intervento della Nato. La pulizia etnica non e' aumentata a causa dell'intervento della Nato, e' un elastico che si tende e si rilascia a seconda della strategia di Milose
vic. E poi, come giustamente ha scritto Vincenzo Caianiello sul Mattino, nei commenti storico-politici c'e' un'eccesso di considerazione per 'l'anima serba' e la battaglia del 1389. E' giusto tenerne conto, ma fatti di 600 anni fa non possono giustificare oggi l'equidistanza fra serbi e kosovari".