LA CORSA AL QUIRINALE(La Stampa 090499)
di Fabrizio Rondolino
E adesso il nuovo presidente della Repubblica dev'essere un "Presidente bipolarista": parola di Veltroni e Fini. Che cosa significhi esattamente, non è chiaro a nessuno: perché un certo bipolarismo in Italia c'è sempre stato, dai tempi di Peppone e don Camillo, e un certo altro bipolarismo ancora non c'è, perché le riforme istituzionali non si fanno (né può farle il Presidente). Il gusto per l'aggettivazione abbondante e fantasiosa è una felice peculiarità italiana: un sostantivo solo soletto sembra, a noi figli del libretto d'opera, un po' rigido, un po' troppo chiaro. Anziché proporre un candidato (così, giusto perché gli italiani si facciano un'idea), s'abbonda in aggettivi. Ai tempi della Prima Repubblica, i Presidenti si dividevano in "cattolici" e " laici ": era un modo un po' curioso ma efficace per stabilire se erano democristiani o se non lo erano. Ora non basta più. E così, lasciando da parte il "Presidente donna" di Amato, abbiamo già visto il "Presidente presidenzialista" di Fini, il "Presidente
di garanzia" di Berlusconi, il "Presidente di maggioranza" di Veltroni e il "Presidente riformatore" di Segni. Presto arriverà il "Presidente tecnico" e, inevitabile come le code a Ferragosto, il "Presidente super partes ".Leo Pestelli scrisse una volta che gli aggettivi sono "come tutti i soccorsi, che quando sono troppi o male indirizzati, recano più danno che utile". La nostra Costituzione, infatti, recita che "il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale"; dopodiché ne elenca i poteri. Aggettivi non se ne trovano. Troppo poco per la politica italiana d'oggi: più si è confusi e più servono aggettivi, e più si aggettiva più si fa confusione.