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Radio Radicale Roberto - 26 aprile 1999
LE LACRIME DEI PACIFISTI
di Giorgio Bocca

La Repubblica, 25.4.1999 ( http://www.repubblica.it )

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Il senatore Cossutta, cresciuto nella propaganda pacifista al servizio dell'Unione Sovietica, ha proposto agli intellettuali italiani di prender su un ricambio di biancheria e partire per Belgrado, i ricchi magari sull'Orient Express, per offrirsi come scudi umani contro l'aggressione Nato. In pratica rischiare la vita per difendere Slobodan Milosevic che sara' un combattente per la pace ma usa per le pulizie etniche della Bosnia e ora del Kosovo le milizie di Arkan definite le tigri per la loro capacita' di non distinguere fra uomini, donne, vecchi e bambini.

PER principio di equita' avrebbe potuto proporre un'altra destinazione, qualche villaggio del Kosovo o la capitale Pristina appena bruciata per fermare anche li' qualcosa di poco pacifico, la deportazione di centinaia di migliaia di persone.

Questo pacifismo inteso come campagna propagandistica, spiega molti aspetti ambigui di questa guerra: non solo quella che si combatte in Serbia ma anche quella che divide la pubblica opinione italiana. Qualcuno ha osservato che le guerre di questo tempo non sono piu' paragonabili all'ultima mondiale che fu una guerra per la vita e per la morte, per la sopravvivenza della umana civilta', insomma una guerra che fu combattuta fino all'ultimo uomo e all'ultimo fucile attorno al bunker di Hitler. No questa guerra e' un'altra cosa come quelle che ogni tanto si accendono e poi spariscono nel tormentato pianeta: insieme militari e politiche, fatte, come quella del Golfo, per abbattere il dittatore Saddam Hussein, ma anche, a guerra vinta, per risparmiarlo come cuscinetto rispetto alla minaccia dell'integralismo iraniano. Sempre distinguendo i poveracci di cui fare carne da macello, dai nuovi signori, quasi una riedizione delle guerre medievali in cui i poveracci venivano messi ai remi o nelle galere mentre i cavalie

ri e i re erano subitamente riscattati con moneta sonante.

Nelle guerre totali mondiali per la sopravvivenza ogni intelligenza con il nemico, ogni strappo alla legge marziale veniva duramente punito a volte con la morte, adesso in occasione di questa "drole de guerre", il fatto che il Parlamento italiano, il governo italiano facciano parte di un'alleanza i cui membri hanno concordemente deciso la campagna contro la Serbia, non impedisce ai nostri pacifisti, autentici od opportunisti che siano, di andare a Belgrado alla corte del tiranno. Come se una buona parte della nostra pubblica opinione non sapesse bene che cosa e' una guerra e la confondesse con una specie di gioco, spesso feroce, ma sempre attento ai rispetti che si devono alle persone "importanti", alle professioni importanti come l'informazione televisiva.

In una guerra diciamo normale si entra in campo all'unico scopo di vincerla, e di conseguenza vengono considerati come obiettivi principali le armi e le difese piu' forti del nemico. Qui no, per tutti coloro che si sono sdegnati e hanno protestato contro l' attacco alla televisione di Stato serba essa non e', come e' evidente, una delle armi piu' forti di Milosevic, non e' lo strumento di propaganda e di menzogna che ha sistematicamente ignorato la pulizia etnica, fatto dei carnefici delle vittime, infiammato, ingigantito il sentimento nazional-etnico, il complesso di Davide contro Golia che agli occhi dei serbi e della loro passione nazionalista potranno anche sembrare ammirevoli ma che a chi ha deciso di risolvere la partita con le armi sono inequivocabilmente ostili.

Si dice da molti conoscitori della Serbia e di Milosevic che l' errore principale della Nato e' stato di sottovalutare l'avversario, di non sapere fin dove puo' spingersi il suo gioco. Una controprova e' il modo con cui l'informazione nostra e di altri paesi Nato ha accolto le manifestazioni patriottiche dei giovani, dei cittadini che sventolando bandiere nazionali si tenevano per mano sui ponti, esempio di quegli scudi umani a cui il senatore Cossutta vorrebbe destinare i nostri intellettuali. Ebbene c'erano due modi di reagire a quelle immagini, quello del pacifismo che scambia questa guerra per un gioco: ma guarda che coraggiosi, guarda che bravi. E quello di chi, avendo conosciuto altre guerre e altre dittature, e' inorridito vedendo che uso di un sentimento sincero e generoso abbia potuto fare un autocrate, un uso che neppure Hitler, neppure Stalin fecero ne' a Berlino ne' a Stalingrado, forse perche' sapevano molto bene che la guerra non e' un gioco e che mandare o lasciar andare dei cittadini inermi a

difesa di obiettivi militari e' complicita' in strage.

L'episodio della televisione bombardata e degli sdegni e delle proteste corporative e' un'altra prova di quanto le guerre totali per la sopravvivenza fossero diverse da queste che possono sembrare e forse sono anche disfida politica o gioco. La pretesa cioe' dei nuovi mezzi informatici e telematici dominanti di essere in qualche modo al di sopra delle parti quando e' evidente che ci stanno dentro fino al collo e che vengono usati dalle opposte propagande. Il povero Remondino corrispondente forzato da Belgrado, quella fotografia tessera che di lui appare sugli schermi mentre spiega "vorrei dire ma non posso", fa il pari con i corrispondenti americani a Bagdad. E sostenere che anche questa e' informazione equivale a scambiare un uomo libero con un ostaggio.

 
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