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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale David - 16 maggio 1999
Sarajevo
il passato

che ritorna

Sarajevo in bianco e nero

di ADRIANO SOFRI

MI SONO ricordato di un giorno della mia vita. Il 5 febbraio del 1994. Ero a Sarajevo, e ci fu la strage del mercato. Ma non questo: non solo questo.

Devo cominciare dalla sera prima. Non avevo ancora preso casa, ero all'Holiday Inn, come i giornalisti. Avevo una telecamera amatoriale, mi ero fatto prendere la mano, e avevo finito la scorta di cassette. L'indomani mattina sarebbe partito un convoglio di profughi dalla sinagoga, mi premeva riprenderlo. C' era un operatore che lavorava per la Rai, Miran Hrovatin. Era triestino come me, ma lui davvero, e aveva una bella faccia cordiale. All'ora dell'ultimo telegiornale and al palazzo delle televisioni.

CI METTEMMO d'accordo: se non avesse fatto troppo tardi ci saremmo rivisti, per una partita a scopa. Fece tardi, ma aspettai. Si stava al buio, ad ascoltare gli scoppi, e calcolare la distanza. Quando Miran torn era ora di andare a dormire - a provarci. Arriv con due cassette per la mia telecamera, se le era fatte regalare da un collega americano. Miran sarebbe stato ucciso un mese dopoi·, e qualche donna coi bambini. Arrivavano davanti alla sinagoga, e le famiglie giß si separavano. Gli esuli entravano a sbrigare i documenti, i parenti restavano fuori, tenuti dal lato opposto della strada da una milizia cortese ma rigida. Per un paio d'ore stettero cosø, a parlarsi da un marciapiede all' altro, persone che non sapevano se si sarebbero mai pi· viste, o anche solo a guardarsi in silenzio. Solo i cani attraversavano inosservati, cani di Sarajevo, che si erano abituati a perdere gli umani, e a esserne perduti. Arrivarono le corriere, tre, malconce, e cominci l' appello dei partenti. Allora la folla composta

si ruppe, si alzarono grida, qualcuno spingeva per rubare un ultimo abbraccio, e veniva ricacciaø.

Ma era ancora presto. C'era la prima di un film, alle undici, in un teatro del centro. Il film di un giovane regista, forte, pieno di rimandi letterari: l'incendio di una biblioteca moresca di Sarajevo commentato con citazioni di Dante e di Shakespeare. La sala era strapiena, come sempre sotto le bombe. Uscii a guardare la strada, il crocevia dei cecchini lø accanto, le corse dei passanti. C' erano esplosioni di granate, vicine, fragorose. Era normale. D'improvviso si sentirono i clackson di tante auto, e un' agitazione inspiegata: un contagio di facce spaventate e di corse affannose. Saltammo su un'auto e corremmo verso il punto da cui veniva lo spavento. Era vicino, ma bisognava fare un giro di sensi unici e di cecchini. Alla curva del Ponte Latino, sull'angolo delle rivoltellate di Gavrilo Princip, qualcuno ci grid : a Markale, il mercato della cittß vecchia. Arrivammo in mezzo alla strage, cominciavano appena a raccattare i corpi e i feriti. C'era un rumore terribile di pianti, di urla, di richiami conci

tati, di auto caricate alla rinfusa che sgommavano via. C'era una gamba artificiale, staccata e diritta sul suolo. C'erano scarpe, incredibile come le scarpe si spandano nelle carneficine. C'erano uomini grandi e grossi che soccorrevano e piangevano a dirotto. Toni Capuozzo si butt nella falcidie, io non seppi fare niente. Da giorni avevo adottato, e viceversa, una banda di ragazzini che faceva capo a quella piazza del mercato. Avevo appuntamento con loro lß, ogni giorno fra le tre e le quattro. Conoscevo ormai quasi una per una le persone del mercato, le vecchie che vendevano calzettoni fatti a mano e bacche selvatiche, il bambino che vendeva a malincuore un gallo, i vecchi che vendevano rubinetti e distintivi e medaglie, le fioraie: ero il pi· prodigo compratore di fiori della cittß. Anche quando mancavano il pane e le candele, a Sarajevo le case avevano voglia di fiori; e poi tutti avevano qualche tomba fresca alla quale destinare un fiore. I morti di Markale furono 68, i feriti nessuno li ha contati.

La cittß si svuot . Era un ordine delle autoritß: ai cetnici piace duplicare le stragi. Ma non c'era bisogno di ordini. C'era troppo dolore, troppa disperazione. Tornammo in albergo. I giornalisti erano frenetici: notizie da trasmettere, articoli da scrivere. Io non avevo niente da fare, se non essere disperato. I miei ragazzini sarebbero rimasti chiusi in casa. Ma se qualcuno fosse andato lo stesso all'pi umani. L'Onu faceva piazza pulita, anche lei in un silenzio interrotto da ordini brevi in francese - che bella lingua il francese - e da quella lugubre percussione di motore. Dur a lungo il risciacquo. Potei guardare il punto in cui era caduta la granata: la solita buchetta con la rosa di scalfitture attorno, mutata giß in pozzanghera. Qu vita, in un triangolo, fra sinagoga incrocio dei cecchini e mercato, di neanche cinquecento metri per lato. Anzi, il giorno non era neanche finito, ma non me ne viene in mente altro, dopo che ebbi trovato la casa di qualcuno dei miei ragazzini, e saputo che erano vivi.

Non me n'ero pi· ricordato, di quel giorno, tant' vero che adesso mi sono stupito che fossero successe insieme, tutte quelle cose: la delicatezza di Hrovatin e il corteo ebraico per i fuggiaschi, la strage e la vista intima delle Nazioni Unite all'opera, corvi bianchi e blu, spazzini postumi nelle cittß assediate e tra i popoli deportati.

 
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