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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Esperanto - 16 maggio 1999
Seminario ERA: Relazione di Andrea CHITI-BATELLI
UNO STATUTO DI "MINORANZA LINGUISTICA" PER GLI ESPERANTISI?

Comunicazione al Seminario della E.R.A., (Bruxelles, 28-30 aprile 1999)

Premessa: perché una relazione scritta

Anzitutto una premessa. Una delle ragioni per cui siamo esperantisti sta nella difficoltà delle traduzioni, ma soprattutto delle interpretazioni simultanee, che richiederebbero, nell'interprete, capacità sovrumane, e dunque impossibili. Per questo - è stato più volte notato - un vero "colloquio" nel senso profondo del termine, è molto difficile, per non dir impossibile, in un'assemblea plurilingue, come ad es., il Parlamento Europeo. E per tale ragione che questa volta ho preferito scrivere la mia comunicazione, il che faciliterà - spero - il compito degli interpreti.

La proposta della ERA richiede un giudizio "sfumato"

Vi è poi una seconda ragione che mi ha suggerito di mettere il mio testo per iscritto: ed è il carattere sfumato, per dir così, di questa comunicazione, nel senso che ora chiarirò.

Come sapete, l'argomento principale di cui dobbiamo discutere qui a Bruxelles è costituito dalla proposta della Radikala Esperanto Asocio, e in particolare del suo Segretario che gli esperantisti - o, almeno, gli esperantisti europei - si diano uno statuto di minoranza linguistica, affinché tale qualità sia loro riconosciuta a livello internazionale, e in specie - almeno in avvenire - in seno al Bureau européen des langues moins diffusées.

Tale proposta mi rende, almeno a prima vista, molto perplesso, come vi dirò fra un momento: è appunto per questo parlavo del carattere "sfumato" della mia comunicazione.

Il mio modo di essere zamenhofiano

Coloro che mi conoscono sanno che io resto fedele agli esperantisti detti pracelanoj, che continuano a proporre l'esperanto come lingua ausiliaria iinternazionale e si oppongono pertanto agli esperantisti detti manifestanoj - probabilmente la maggioranza - che considerano ormai anacronistico l'ideale di Zamenhof e ritengono che l'esperanto serva ormai solo come lingua di una piccola comunità esperantista - l'esperantistaro - sparsa sul pianeta.

Sono favorevole ai primi - ai pracelanoj - perché ritengo che, se l'esperanto si riduce a una sorta di giuoco a carte fra amici, non avrà avvenire. Ma mi separo da loro perché sono convinto che una lingua ausiliaria internazionale non possa affermarsi solo grazie alle sue qualità d' idioma chiaro, semplice e facile. Ciò che è decisivo è sempre il potere politico dominante che impone internazionalmente la propria lingua, come è stato ieri per il latino, nel mondo antico, e oggi per l'inglese.

Per questo ho spesso affermato che l'esperanto dovrebbe "darsi una politica": e cioè battersi, almeno in Europa, affinché l'Unione Europea si trasformi in un vero Stato federale, che avrà un duplice interesse a scegliere una lingua ausiliaria pianificata e neutra come propria lingua ufficiale: all'interno, per mettere tutti i suoi membri su un piano d'uguaglianza; e verso l'esterno, per affermare la propria indipendenza, anche nel campo culturale e linguistico. E questo, secondo me, il primo passo indispensabile, da realizzar domani, perché dopodomani ci si possa batter per l'esperanto lingua franca del pianeta.

Orbene: se questa è la battaglia che si deve combattere, è difficile immaginare in essa dei gradus ad Parnassum, delle tappe di carattere tattico che siano davvero in grado di avvicinarci, progressivamente, al fine perseguito. Tali vie traverse non ci sono: Hic Rhodus, hic salta.

Le mie perplessità di fronte alla proposta della ERA: tale

proposta rischia di aggravare la "deriva" dell'esperantistaro

Vista in tale prospettiva, la proposta della Radikala Esperanto Asocio appare pertanto - almeno, ripeto, a prima vista - più che discutibile. Infatti non solo essa è presentata da un'organizzazione che è, in pratica, solo italiana; ma, ciò che è ben più grave, essa sembra destinata a rafforzare la posizione degli esperantisti manifestanoj, e cioè a contribuire a rinchiudere ancora di più l'esperantistaro in un piccolo hortus conclusus e a fargli dimenticare sempre più il grande obiettivo zamenhofiano, deviando al tempo stesso l'attenzione, con questo ripiegamento su se stessi, dall'obiettivo politico, indicato un momento fa, e che io considero essenziale e préalable. Esattamente il contrario di ciò che io sostengo.

Una conferma:: l'84 Congresso dell'U.E.A. a Berlino

Tutto ciò mi sembra tanto più da evitare, dato che i manifestanoj costituiscono ormai - vi ho già fatto cenno - la maggioranza degli esperantisti, a tal punto che, per quanto ne so, anche l'occasione dell'84 Congresso universale dell'U.E.A., che avrà luogo nel mese di agosto prossimo a Berlino e sarà dedicato al problema della globalizzazione, specie nell'ambito culturale-anche tale occasione, dicevo, non sarà accolta per riproporre sotto questo punto di vista l'esperanto "lingua internazionale", in alternativa all'inglese.

E quanto ho cercato di porre in luce in una comunicazione, indirizzata a tale Congresso e inviata recentemente a un certo numero di esperantisti, che tengo a Vostra disposizione e che potrete trovare presso l'E.R.A.

Gli aspetti positivi della proposta della ERA ...

Si potrebbe a questo punto chiedersi perché io non trasformo la mia perplessità, di fronte alla proposta della Radikala Esperanto Asocio, in una franca opposizione. La ragione è la seguente.

Tale organizzazione ha sempre accettato - almeno a parole - la strategia politica che io considero essenziale e che ho riassunto poc'anzi. E, come i suoi dirigenti hanno spesso ripetuto, essi presentano la proposta qui avanzata (fare degli esperantisti, almeno in ambito europeo, una sorta di minoranza linguistica a sé, con un proprio Statuto o addirittura una Costituzione propri) come un primo passo tattico per meglio perseguire il fine strategico che io propongo, grazie a una possibilità accresciuta di presenza, di pressione d'azione. E la nostra debolezza è tale, che non può esser lasciato intentato alcun mezzo che possa ridurre tale debolezza.

Ecco l'argomento più forte che mi spinge a mitigare le mie riserve, che non riesco tuttavia a dimenticare interamente-il che mi obbliga, lo ripeto ancora, a incedere per ignes.

... e la mia opinione su questa: sì, ma a condizione che...

Gli aspetti particolari dell'iniziativa in questione e i diversi vantaggi che si spera di trarne saranno meglio chiariti dal Segretario della Radikala Asocio. Il mio compito è qui di esprimere un giudizio generale su quanto ci viene proposto. Posso riassumerlo nei termini seguenti.

Quanto suggerito dalla ERA è in linea di massima da approvare, se in tal modo si riescono a ottenere dei vantaggi pratici reali, che possano rendere meno difficile il perseguimento dell'obiettivo politico sopra definito. Non dispongo, personalmente, d'informazioni sufficienti per dare una risposta affermativa o negativa in proposito. Attendo, come dicevo, che la discussione ci dia conferme convincenti.

Invece non esito a considerare come indispensabili, per l'approvazione di ciò che ci viene proposto, le tre altre condizioni seguenti.

Anzitutto occorre che nel prender questa decisione - di cui ho indicato un momento fa i rischi - ci s'impegni fermamente a prevenirli, e cioè:

- in primo luogo a evitare con tutti i mezzi che tale decisione costituisca un pretesto per racchiudere ancor più gli esperantisti in una sorta di "vaso chiuso", o, come avrebbe detto Leibinitz, in una "monade senza finestre";

- inoltre ad agire considerando sempre la "mutazione" degli esperantisti in minoranza linguistica non come un fine in sé, ma come un mezzo per render più facile la battaglia per la fondazione degli Stati Uniti d'Europa, battaglia che deve restare la nostra principale preoccupazione.

In secondo luogo occorre che la decisione di cui sopra (e cioè la proposta presentata da un'associazione, come la Radikala Esperanto Asocio, che è, lo ripeto, un'organizzazione quasi solo italiana) sia condivisa dagli esperantisti di altre nazioni.

In terzo luogo è opportuno - las but not least - metter in primo piano, fra le attività previste per la istituenda Comunità linguistica, gli sforzi compiuti, presso le autorità europee, dal Gruppo di Lavoro di Bruxelles ("Comitato Erasmus").

Une suggerimento per il "Comitato Erasmus"

A tale proposito mi permetto di suggerire che detta attività del Gruppo di Lavoro sia completata nel modo seguente.

Attualmente l'attività del Gruppo è volta soprattutto a promuovere:

- l'uso dell'esperanto come lingua-ponte nelle traduzioni, e soprattutto nelle traduzioni simultanee, in seno all'Unione Europea,

- e l'insegnamento dell'esperanto nelle scuole, allo scopo di ottenere conferme supplementari circa il valore di questa lingua come strumento propedeutico dell'apprendimento delle lingue vive ("metodo di Paderborn").

Propongo che una tale attività sia completata da una pressione costante, su dette autorità europee, volta a porre in luce in quale misura l'assenza, in Europa, di una lingua ausiliaria neutra implichi - molto più spesso e molto più profondamente di quanto non si creda - una violazione delle norme dei Trattati istitutivi dell'Unione, e in specie delle disposizioni che impongono il rispetto della parità delle lingue e culture nazionali e regionali, quali gli articoli 92 e 128 del Trattato di Maastricht.

E quanto ho avuto occasione di meglio chiarire in una lettera, in esperanto, indirizzata recentemente ai membri di detto Gruppo di Lavoro, e che potrebbe ugualmente trovare presso l'E.R.A.

Conclusione

Il mio "sì" alla proposta della Esperanto Radikala Asocio è dunque alquanto "sfumato" come avevo detto fin dall'inizio, e sottoposto a diverse condizioni sine quibus non.

Spero, ripeto, che la discussione fornirà argomenti suscettibili di dissolvere interamente i miei dubbi, che per il momento rimangono.

BIBLIOGRAFIA

Ho svolto in modo meno sommario la mia tesi politica (La Federazione Europea, primo passo indispensabile per l'affermazione dell'esperanto) e ho fornito la bibliografia essenziale nel mio saggio, Il luccio e il pescecane. C'è un rimedio alla glottofagia dell'inglese?, estratto dalla rivista "Federalismo e Libertà" (Bologna), 1998, n. 3, (può anch'esso esser richiesto all'E.R.A.)

 
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