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Conferenza Rivoluzione liberale
Vagliasindi Paolo - 30 maggio 1999
Mi riferisco ad un intervento di Cinzia Caporale di qualche giorno fa,
in cui, a mio modo di vedere, si esprimeva una critica nel non avere considerato

tra i possibili temi di una campagna referendaria i tradizionali referendum

per i diritti civili.

In primo luogo vorrei osservare che, a mio parere, andrebbe più opportunamente

utilizzato il termine di diritti individuali o, meglio, di libertà individuali,

per marcare una differenza rispetto alla tradizione comunista, per la quale

sono le aggregazioni sociali a rivendicare i diritti (che comunque sono

concessi dallo Stato), mentre io credo alla pre-esistenza delle libertà dell'

individuo rispetto all' insorgenza dello Stato, che quindi non ha altro compito se non

quello di riconoscere tali libertà individuali e tutelarle (concetto dello Stato minimo).

A parte questa precisazione lessicale, io credo che la scelta di non proporre

tematiche sulle libertà individuali sia stata una scelta corretta, perchè ha posto

coloro i quali ci dicevano che, sì i temi economici erano giusti,

ma poi le tematiche scottantici alienavano il consenso dei "moderati", di fronte

alle loro responsabilità: ovvero che la presenza dei temi libertari era

un pretesto per non dover ammettere che loro contestavano in radice il metodo

referendario.

Penso che, laicamente, sia stato giusto credere alla loro buona fede e quindi

metterli alla prova proponendo un pacchetto referendario essenzialmente incentrato

sulle tematiche economiche.

Se una critica vi è da fare al gruppo dirigente, è semmai quella di non

essersi ancora resi conto della situazione.

A Treviso mi era sembrato di capire che non vi era alcuna intenzione di

fare una campagna referendaria come tutte le altre, ovvero da soli e basata

per l'ottanta per cento sui militanti ai tavoli. E l'idea di vendere i gioielli

di famiglia, ancorchè tardiva rispetto all'incombere dei tempi per la raccolta delle

firme, aveva una sua logica: ovvero quella di concentrare nei tre mesi

della raccolta firme un investimento in comunicazione dell' ordine di grandezza

di una cinquantina di miliardi, che avrebbe potuto consentire un utilizzo massiccio

da parte dei cittadini delle segreterie comunali e l'instaurare di relazioni

con altri soggetti che a loro volta avrebbero contribuito al buon esito dell' iniziativa in

tempi rapidissimi.

Ma la condizione necessaria per il successo, ovvero la disponibilità immediata o quasi

del ricavato della vendita, ad un mese di campagna non si è verificata se non in misura

di un decimo circa di quella che era la stima iniziale.

Da quel che ho capito la vendita di RR2 ha fruttato circa 7 miliardi che se ne sono

andati in campagna Emma for President e qualche pagina sui quotidiani.

Per usare un paragone storico, mi sembra che siamo commettendo lo stesso errore commesso

dal Comando supremo italiano nelle 48 ore successive alla rotta di Caporetto:

ovvero l'impiego delle riserve non concentrato, ma consumate a spizzichi per mantenere

delle linee successive che erano state superate dal corso degli eventi. Solo dopo

due giorni si ammise la sconfitta e si diede l'ordine di ripiegamento al Piave.

Fuor di metafora, mi sembra che l'impiego di risorse economiche che ancora non

sono disponibili, è assolutamente inadeguato a ciò che sarebbe necessario per

raddrizzare le sorti della battaglia. Non solo, ma l'impiego diluito di ciò che si ha

non porta altro che un suo lento consumo.

A questo punto credo che sarebbe necessario fare una riflessione amara, ma necessaria.

Con metodi violenti, sporchi, antidemocratici, infami e tutto quello che volete voi,

ma ci hanno battuto: hanno vinto loro e non ammetterlo è irresponsabile, perchè porta

al consumo di risorse economiche e di militanza che dovrebbero essere preservate.

A questo punto anche se domani vendessimo tutto, sarebbe ragionevole pensare di

cambiare le cose? Se tra un mese vendessimo tutto ci troveremmo con 50 miliardi in

tasca cosa ne faremmo?

La scorsa settimana avevo posto una simile domanda per e-mail durante il filo diretto

di Emma: mi hanno detto che a questa domanda non fu data risposta. La cosa

mi sembra grave perchè, forse, il problema posto era serio e non si sapeva ancora

come affrontarlo.

In conclusione quello che ci resta da fare in questo momento, sarebbe di porre un

termine entro il quale vendere (the shorter the better) e concerntrare ogni risorsa

sulla campagna per le europee, sperando che le previsioni dei sondaggi vengano

confermate.

A meno che la mia sensazione sia sbagliata i numeri di cui sento parlare sono sconfortanti;

per carità di patria mi asterrò da fare commenti sul triveneto.

Purtroppo i referendum nel duemila si terranno comunque anche se non saranno i nostri

(c'è quello legaiol-fascista sull' immigrazione).

Ancora una volta non prendere atto della sconfitta mi sembrerebbe irresponsabile o donchischottesco.

Scusate lo sfogo: spero che qualcuno possa trovare qualche motivo di ottimismo che

mi era sfuggito

 
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