definitivamente ciò di cui si aveva già da tempo l'impressione: tra chinegli ultimi anni si è assunto il compito di diffondere da noi le idee
libertarie e (per chi ama il termine) anarco-capitaliste vi sono differenze
talmente nette, da non consentire un percorso comune.
In realtà è già da un po' che i "libertari" di estrazione leghista agiscono
come un partito, chiuso e compatto, che non ammette contaminazioni e nemmeno
discussioni. Il tutto attorno a una parola d'ordine (quella del
secessionismo) la cui valenza libertaria è tutta da verificare.
Quel che più preoccupa è che, avendo costoro dimostrato una buona capacità
di aggregazione (anche per la concentrazione geografica) e di organizzazione
(riviste, contatti accademici, attività di fidelizzazione, etc.), il loro
modo di intendere il libertarismo possa a breve diventare, se non si
predispongono i controrimedi, il modo, l'unico, di intenderlo.
Che cosa, in concreto, sostengono di inaccettabile questi nostri amici?
Il dissenso è tanto di metodo, quanto teorico, quanto politico.
Sul piano del metodo, essi hanno un'unica dogmatica fonte ispiratrice:
Murray N. Rothbard. Come disse il più autorevole del gruppo al momento della
pubblicazione italiana dell'"Etica della Libertà", "questo è il vangelo".
La dipendenza del gruppo dal verbo rothbardiano è del tutto acritica. sicchè
ogni considerazione in contrasto con Rothbard, e ogni riferimento ad autori
che Rothbard non mette tra i buoni, comporta l'estromissione dal
"libertarismo" dell'interlocutore.
E ciò mentre il pensiero libertario conosce una gamma di espressioni
differenziate (basti pensare a David Friedman, o per altro verso a James
Buchanan, o tutto il più moderno filone che si rifà alla teoria dei giochi),
che meritano tutte di essere discusse e confrontate.
Sul piano teorico, essi si rifanno a una visione addirittura fanatica dei
"diritti naturali" dell'individuo, che conduce a una concezione chiusa e
autoritaria della proprietà privata.
Come disse l'altro autorevole membro del gruppo, se un unico individuo
diventasse proprietario unico mondiale, questi avrebbe almeno teoricamente
diritto di espellere dal globo terracqueo tutti gli altri abitanti della
terra.
E ciò, nonostante che nello stesso Rothbard vi sia un'attenzione alla
questione della legittimità dei titoli di proprietà in atto. La questione,
che è basilare, viene invece da loro del tutto elusa, dando vita a una sorta
di "anarco-capitalismo dei padroni" talora davvero indigesto (per dare
un'idea, pensate all'affermazione secondo la quale rubare 10.000 Lire a un
miliardario per curare un lebbroso sarebbe un gravissimo crimine: sarà pure,
ma ci vuole un bello stomaco per difendere così a cuor leggero certi
miliardari di casa nostra sul piano della legittimità libertaria !).
Il problema più grave è però ancora un altro: nonostante Rothbard abbia per
una vita intera sacralizzato l'idea dell'individuo e dei suoi diritti di
proprietà, prima di morire, scosso dalle vicende dell'est europeo, ha
scoperto che tra i diritti dell'individuo vi è anche quello di avere una...
nazione. Ha scritto in proposito un mediocre saggetto, intitolato "Nation by
Consent", dai tratti talora deliranti. Il mio amico Riccardo LaConca (ossia
il primo italiano a essersi occupato di questi temi già venti anni fa, il
primo e l'unico ad avere intervistato lo stesso Rothbard, membro per qualche
tempo del Libertarian Party U.S.A.) dice che NbC è un testo nazista. Il che
è forse eccessivo, anche se è drammatico constatare che stanno cercando di
trasformarlo nel manifesto libertario del 2000.
I leghisto-libertari hanno così creduto di poter quadrare il cerchio tra
individualismo esasperato e secessionismo nazionalistico: l'ha detto
addirittura Rothbard che possono stare insieme.