I programmi del governo e l'anomalia Enel
Corriere della Sera - Giovedì, 17 Giugno 1999
di FRANCESCO GIAVAZZI
Il decreto 79 del 16 marzo scorso, che recepisce la direttiva europea sulla liberalizzazione dell'industria elettrica, il cosiddetto decreto Bersani, aveva avviato, seppur timidamente, lo smantellamento del monopolio dell'Enel. Sono stati sufficienti tre mesi perché il monopolista si riprendesse dal colpo subito. Sotto gli occhi consenzienti del suo azionista unico, il ministero del Tesoro, l'Enel ha rapidamente cambiato strategia: costretto dalla nuova legge a ridurre la propria attività nel settore elettrico, si appresta a entrare, dopo i telefoni, dove già opera con Wind, nel settore del gas.
Il risultato finale sarà un'azienda pubblica (lo Stato venderà la maggioranza delle azioni, ma non cederà, come è accaduto per Eni, il controllo della società) che non solo manterrà una posizione dominante nel settore elettrico, ma la rafforzerà divenendo un importante distributore di gas e uno dei maggiori gestori telefonici. E, da monopolista, potrà trasferire sugli utenti elettrici parte dei costi sostenuti nelle sue nuove avventure industriali.
Dallo scorporo di alcune centrali elettriche (15 mila megawatt che il decreto impone all'Enel di cedere) e dalla vendita ad alcune aziende elettriche municipali (nei centri in cui la distribuzione è oggi suddivisa tra Enel e un'azienda comunale) di alcune reti locali, l'Enel incasserà, nei prossimi mesi, circa 20 mila miliardi.
Lo spirito che finora ha contraddistinto le privatizzazioni, e la legge che nel 1995 istituì il Fondo di ammortamento del debito pubblico, richiederebbero che questo incasso venisse trasferito allo Stato sotto forma di un dividendo straordinario. Ciò non accadrà perché l'Enel oppone un argomento convincente: se non potesse reinvestire il ricavato di queste vendite in altri settori l'Ente sarebbe costretto a ridurre i suoi dipendenti. Osserva Carlo Scarpa, ripreso anche da Guido Gentili (Corriere della Sera 12 giugno), commentando il decreto Bersani sulla nuova rivista Mercato, Concorrenza, Regole diretta da Giuliano Amato: "La retribuzione media effettiva del settore elettrico risulta essere la più elevata fra i settori produttivi nazionali, anche comprendendo alcuni servizi quali il credito e controllando per livelli di anzianità, titolo di studio e qualifiche professionali".
Illustrando i principi del Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) che il governo approverà la prossima settimana, il ministro del Tesoro ha detto che il documento indicherà anche misure per accrescere la flessibilità del mercato del lavoro; il tema delle pensioni è invece scomparso dall'indice del Dpef.
Io penso che in Italia sia difficile affrontare questi problemi anche perché si fa poco per evitare l'impressione che i lavoratori dipendenti privati siano gli unici a subire il costo delle nuove regole. Si chiede ai lavoratori dell'industria di rinunciare ad alcuni privilegi, ma non si eliminano i privilegi dei dipendenti dei grandi monopoli pubblici, o le rendite dei professionisti protetti dagli Albi (che ne è del progetto di eliminarli?), si fa poco per controllare la produttività dei giudici, o dei dipendenti pubblici, inclusi gli insegnanti delle scuole e delle università. Le riforme sociali richiedono un ampio consenso. Il modo per ottenerlo è diffondere la concorrenza, liberalizzare i mercati in modo che coloro i quali devono accettare nuove regole si rendano conto che "il mondo sta cambiando" e che tutti, non solo loro, stanno perdendo i vecchi privilegi.