Il Punto
Di Stefano Folli
Corriere della Sera - Giovedì, 17 Giugno 1999
Il terremoto del 13 giugno è equanime e sparge i suoi effetti a pioggia. Quella strana "rivoluzione liberale" nata dalle urne ha investito il centrosinistra, ma non risparmia il centrodestra. Lo abbiamo visto ieri. A Palazzo Chigi il Consiglio dei ministri si scagliava nella sua quasi totalità contro la riforma sanitaria: al punto di mettere in minoranza, anzi isolare, il ministro Rosy Bindi, bersaglio di critiche (comprese quelle del responsabile del Tesoro) che forse non ci sarebbero state se la coalizione, e in particolare il Ppi, avesse conosciuto un altro risultato domenica scorsa.
Ma tutto questo era quasi niente rispetto all'esplosione di An. Lo scontro tra Fini e la nomenklatura del partito va molto al di là del solito rituale, tipico dei giorni amari successivi a una sconfitta elettorale. L'obiettivo di Fini non sembra quello di restare in sella a tutti i costi, bensì di imporre alla destra una scelta di fondo: o la linea "liberale" che è stata inaugurata con pessimi esiti il 13 giugno, ma che è l'unica, a suo avviso, in grado di offrire una prospettiva; oppure la "subalternità" a Berlusconi, accettando che An si rinchiuda in un recinto protetto dall'egemonia di Forza Italia.
Fini ha capito che il vecchio Polo è davvero un'esperienza conclusa. L'evoluzione di Forza Italia, oggi grande partito moderato di centro collegato ai popolari europei, ne ha mutato il segno. L'irruzione sulla scena di Emma Bonino, con il suo 8,5 per cento portatore di germi "liberisti", ha fatto il resto. Il presidente di An ha capito che la sfida a Berlusconi non può essere lasciata cadere dopo il primo smacco elettorale perché questo significa rinunciare in sostanza a ogni ruolo politico.
Nello schema berlusconiano, infatti, al vecchio Polo si sostituisce un'alleanza in cui Forza Italia occupa incontrastata il centro, lasciando ad An il compito di coprire il lato destro, sia pure con un peso ridimensionato. All'incirca la condizione dell'antico Msi rispetto alla Dc, con la differenza che oggi i due partiti sarebbero uniti dal filo di un'intesa elettorale imposta dalla legge semi-maggioritaria.
Fini crede invece che ci sia uno spazio per An nel magma della nuova Italia che vota per la Bonino, in parte per Prodi, in parte per la sinistra modernista e referendaria. O che naturalmente sostiene il Berlusconi liberale, nemico dei "lacci e lacciuoli" di uno statalismo esasperato. Appunto l'Italia della "rivoluzione liberale": il popolo delle partite Iva, il fastidio verso un fisco esoso, la rivolta in embrione contro l'eccesso di spesa per lo Stato sociale e contro le ingessature del sistema produttivo.
La scommessa finiana poggia sull'idea di costituire il volto di destra, potremmo dire "reaganiano" e ultraliberale, di questo sentimento collettivo. E il fatto che la Lega sia stata sconfitta in casa sua dalla lista Bonino accresce la speranza che un simile progetto possa espandersi proprio al Nord, in aree fino a oggi precluse ad An. Tutto ciò comporta una profonda trasformazione politica di An. Ma impone anche un aumento della conflittualità con Berlusconi, al quale si vorrebbe sottrarre il voto liberale e dinamico dei ceti produttivi per lasciargli quello meramente moderato. Soprattutto si vorrebbe evitare che siano Berlusconi e Forza Italia a operare prima o poi una sintesi tra i valori etici cattolici e i valori liberal-radicali intercettati da Pannella e dalla Bonino. Se questo accadesse, An sarebbe tagliata fuori. Le resterebbe lo spazio di una destra "tradizionale", sotto il mantello di Berlusconi.
Si capisce che il bivio che Fini propone al suo partito è di tipo strategico, simile a quello che la sinistra ulivista offre alla Quercia: liberalismo contro statalismo. All'interno di An questo conflitto può risolversi oggi con un parziale compromesso destinato a rinviare il nodo al prossimo congresso. Ma la questione di fondo è ormai aperta sul tavolo. A destra come a sinistra. E il travaglio continuerà nei prossimi mesi.